Scendendo dall’autostrada sulla costa, l’impercettibile frontiera tra la Francia e Monaco è segnalata dal cartello bilingue che recita “Principauté de Monaco – Principatu de Munegu”. È un sintomo a suo modo vistoso, questo, dell’identità linguistica del piccolo paese, ulteriormente certificata da un’insistente presenza della “lenga munegasca” nella toponomastica, nei nomi di esercizi commerciali e in altre circostanze in cui il suo uso scritto si aggiunge a quello predominante del francese. Il monegasco non è infatti la lingua ufficiale del Principato, ma ne è, questo sì, la lingua nazionale, che ricorre ad esempio nel testo del rutilante inno di stato e nella formula conclusiva “viva u nostru Munegu”, con la quale il sovrano regnante, Alberto II,  conclude i suoi interventi pubblici.

Un "dialetto" come lingua istituzionale

Unico caso di varietà italoromanza dotata di prerogative paragonabili, dal 1976 il monegasco, smentendo clamorosamente con la sua posizione gli atteggiamenti passatisti presenti in alcuni ambienti accademici del nostro paese intorno al ruolo e alle possibilità di utilizzo dei “dialetti” in contesti pubblici e istituzionali, viene inoltre insegnato obbligatoriamente nelle scuole del Principato, è ammesso nel sistema universitario francese ed è oggetto delle cure di un apposito “Cumitau Naçiunale”; a quest’ultimo si aggiunge dal 1982, sempre per iniziativa del governo locale, un’attiva “Académie des Langues Dialectales”, attualmente diretta da Claude Passet, che ha funzioni di studio, attraverso i suoi convegni biennali, della lingua monegasca nel confronto con altre varietà parlate nei territori circostanti.

Proprio l’ultimo di questi convegni, dedicato qualche settimana fa a “La langue génoise, expression de la terre et de la mer, langue d’ici et langue d’ailleurs”, ha ribadito il diretto rapporto di filiazione del monegasco dal genovese e i suoi rapporti con l’area ligure, in seguito al ripopolamento medievale del paese, quando, nel 1297, il fuoriuscito guelfo Francesco Grimaldi si impadronì con uno stratagemma della fortezza, dando vita a una signoria indipendente fortunosamente sopravvissuta, sempre sotto l’egida del suo casato, fino ai giorni nostri.

Figlia del genovese

Il monegasco è dunque a tutti gli effetti un varietà genovese, ben riconoscibile nelle sue caratteristiche fonetiche, morfologiche, sintattiche e lessicali, anche se i secoli dell’esposizione al contatto col dialetto nizzardo di matrice provenzale (mai parlato però sul territorio monegasco), con l’italiano in passato lingua ufficiale, con lo spagnolo nelle fasi del protettorato imperiale, e da ultimo col francese, ne hanno modificato i caratteri, facendo di esso un tipo dialettale originale nel contesto ligure, assimilabile in ogni caso più alle parlate arcaizzanti della Riviera di Ponente che al genovese cittadino: del resto la stessa emigrazione dalla Liguria occidentale, a partire dalla metà del sec. XIX, ha a sua volta contribuito ad assicurare la piena intercomprensione tra monegaschi e ventimigliesi, ad esempio, e sanremaschi.

Monaco fu per secoli una piccola realtà appartata nel contesto internazionale, molto diversa dall’immagine di centro mondano e cosmopolita che la circonda attualmente. Vissuto per secoli all’ombra di Genova e del sistema politico che faceva capo alla Spagna, transitato poi nell’orbita francese e sabauda, il Principato vide poi cambiare il proprio destino alla metà dell’Ottocento. In quell’epoca, in seguito alla perdita di Mentone e Roccabruna, proclamatesi città libere e annesse al Regno di Sardegna (che le cedette in seguito alla Francia insieme a Nizza), il Principato si vide ridotto a un fazzoletto di terra di poco più di un chilometro quadrato di superficie, costituito dalla città vecchia (a Roca de Munegu) e da un breve tratto costiero dove, a partire dal 1858, si sviluppò il quartiere di Montecarlo, così chiamato in onore del sovrano allora regnante.

Montecarlo: da quartiere a Principato

Allo sviluppo di quest’ultima località come centro di villeggiatura elegante, agli albori del turismo internazionale, si devono le successive fortune del Principato, divenuto ben presto una delle mete più frequentate dal jet set internazionale, anche se Monaco non è – e non è mai stata – soltanto un luogo di mondanità e di divertimento, vantando tra i suoi sovrani uno scienziato illustre come Alberto I e un abile statista come Ranieri III: quest’ultimo in particolare, forte anche del suo prestigio personale, seppe assicurare al paese un rinnovato ruolo internazionale, affermandone in più occasioni la sovranità rispetto all’incombente vicinato francese.

Proprio nel quadro dell’affermazione sempre più decisa della propria autonomia dalla Francia (con la quale si verificarono a varie riprese, durante il Novecento, contenziosi di varia natura), il recupero dell’identità linguistica del Principato divenne nel secolo scorso un elemento importante della politica culturale monegasca.

Da Notari a Ranieri III

Già negli anni Venti, per iniziativa di Luì Notari, autore del poema nazionale A legenda de Santa Devota (1927) aveva preso avvio un processo di recupero della parlata locale, già all’epoca in grave crisi, anche attraverso il raccordo con le iniziative di promozione delle parlate liguri d’oltreconfine; ma fu proprio Ranieri III a incentivare queste dinamiche, sostenendo nel 1982, all’atto della costituzione dell’Accademia, che «le fait d’enseigner notre langue aux jeunes monégasques est l’un des plus sûrs moyens de sauvegarde de notre Identité et non pas comme, hélas, beaucoup le pensent encore, l’expression d’un chauvinisme passéiste et naïf», e che «Laisser mourir une langue, c’est ternir à jamais l’âme profonde d’un peuple, c’est renoncer pour toujours à l’un des legs les plus précieux de son passé». In tal modo, le iniziative a favore del monegasco crebbero ulteriormente, anche grazie al contributo di studiosi locali, tra i quali spiccano la figura del canonico Giorgi Franzi e quella del diplomatico René Novella.

Oggi il monegasco, dopo gli studi scientifici di Raymond Arveiller pubblicati nel 1967 (in un’epoca in cui si temeva addirittura l’imminente estinzione dell’idioma), dispone di una grammatica, di un dizionario normativi (opera di Louis Frolla) e di materiali didattici aggiornati, mentre la produzione letteraria è in aumento accanto a un crescente utilizzo pubblico.

Poco più del 20 per cento lo parla

Tutti questi aspetti a vario titolo positivi non debbono peraltro suscitare un soverchio entusiasmo sul futuro del monegasco: se si pensa che su 36.000 abitanti complessivi, i 7.600 cittadini monegaschi, pochi dei quali conservano l’uso della lingua, sono una minoranza all’interno del loro stesso paese (poco più del 20%), dove la restante popolazione appartiene a  oltre 100 nazionalità differenti (francesi per il 28%, italiani al 19%, inglesi al 7% e così via), ci si rende conto della difficoltà di mantenere in vita una lingua così fortemente localizzata: essa deve competere non solo con l’ufficialità del francese, ma anche con l’internazionalità dell’inglese e con la stessa presenza dell’italiano, che pur senza disporre di uno status ufficiale è molto diffuso a Monaco anche per la presenza di numerosi lavoratori frontalieri.

Il destino tra salvaguardia e volontà

Il destino del monegasco appare quindi legato, in particolare, alle scelte del governo locale, che peraltro sembra orientato a continuare la politica di salvaguardia del patrimonio culturale del Principato, proprio per assicurarne la specificità in un contesto in cui la globalizzazione da un lato, e la pressione francese dall’altro rischiano di mettere in discussione l’originalità stessa della secolare esperienza monegasca: secondo processi che hanno visto nel tempo, in Europa e altrove, l’emergere di altre “piccole” lingue rappresentative di sovranità nazionali fortemente localizzate (come nel caso ad esempio del lussemburghese, e in precedenza del maltese, peraltro caratterizzati da una più consistente base demografica), il futuro del monegasco passa, oltre che attraverso la volontà della popolazione (fortemente sensibile a questi temi) proprio attraverso la continuità di decisioni improntate a una seria volontà istituzionale.

Bibliografia essenziale

Raymond Arveiller, Étude sur le parler monégasque, Monaco, Comité National des Traditions Monégasques, 1967

Louis Frolla, Dictionnaire monégasque-français, Monaco, Ministère d’État, 1967

Louis Frolla, Grammaire monégasque, Monaco, Comité National des Traditions Monégasques, 1998

Claude Passet, Bibliographie de l’écrit en monégasque et des études relatives à la langue monégasque, Monaco, Académie des Langues Dialectales, 2019-11-23

Fiorenzo Toso, Nota sul monegasco, in «Plurilinguismo. Contatti di lingue e culture», 7 (2000), pp. 239-249

Sito dell’Accademia (link)

Sito del Cumitau Naçiunale dë Tradiçiue Munegasche (link)

Le puntate del ciclo Europa e Mediterraneo d'Italia. L'italiano nelle comunità storiche da Gibilterra a Costantinopoli (a cura di Fiorenzo Toso)

1. Le lingue d'Italia fuori d'Italia, di Fiorenzo Toso (link)

Immagine: Vista panoramica del Principato di Monaco sempre da Levante

Crediti immagine: Diego Delso [CC BY-SA 4.0 (https://creativecommons.org/licenses/by-sa/4.0)]