La lunga costa croata corre di fronte alla nostro litorale; siamo divisi solo un breve tratto di mare, l’Adriatico, che da Venezia scende giù giù per tutta la penisola fino alla Puglia. Una prossimità geografica così marcata non può non aver avuto un ruolo di interscambio fra le popolazioni che vissero sulle due sponde di un mare ‘amico’, pescoso , tendenzialmente calmo e quindi navigabile con una certa facilità.

Prima e dopo Venezia

Si tratta di una posizione strategica, che portò a continui contatti di tipo commerciale ed economico risalenti almeno al Medioevo: protagonista fu Venezia con il suo stato da mar, sviluppato nei territori che si affacciano sull’Adriatico e oltre. Nel 1150 il Doge assunse il titolo di Totius Istriae inclitus dominator: il leone alato di San Marco, simbolo della Serenissima, da allora si troverà ovunque, dall’isola di Veglia dove comparve per la prima volta nel 1250, a tutte le città istriane e dalmate. Le vicende istriane e dalmate sono complesse ma sostanzialmente da allora e fino alla fine del XVIII secolo la storia di queste zone si identificò con quella di Venezia.

Questo pacifico dominio ebbe fine nel 1797 con il trattato di Campoformido. La regione passò nelle mani dell’Austria che regnò, fatta salva la parentesi francese del Regno napoleonico d’Italia, fino al 1918. La vittoria della Grande Guerra, cui parteciparono molti volontari istriani e dalmati, portò a far parte del Regno d’Italia non solo Trento e Trieste, ma tutta l’Istria con Pola, la città di Zara in Dalmazia, le isole di Cherso e Lussino, Lagosta e Pelagosa, fino a Fiume dal 1924. Dopo poco più di vent’anni, con i trattati di Parigi del febbraio 1947, l’Istria, Fiume e Zara e le isole passarono alla Jugoslavia di Tito. Il 10 novembre 1975 con il Trattato di Osimo l’Italia rinunciò al suo diritto su quei territori. Con la disgregazione della Jugoslavia e la nascita dei due nuovi Stati sovrani (1992), l’Istria fu divisa in una parte settentrionale fino al fiume Dragogna che entrò a far parte della Slovenia, mentre la parte a sud dell’Istria, il Quarnaro, la Dalmazia costituirono la Croazia.

I ‘rimasti’

Slovenia e Croazia sono dunque storicamente accomunate fino agli eventi recenti; è per questo che gli italiani ‘rimasti’ dopo l’esodo forzato che si verificò a partire dalla fine della seconda guerra mondiale decisero di riunirsi sotto una comunità condivisa, che è l’Unione Italiana, «libera espressione della comunità nazionale italiana», con sede a Fiume per la Croazia e a Capodistria per la Slovenia (link). Delle molte attività che l’Unione svolge per la tutela della lingua e della cultura italiane si è già detto nell’articolo in cui si parla dell’italiano in Slovenia. Possiamo aggiungere qui qualche dato che renda conto della reale diffusione delle comunità italiane sul territorio. I soci effettivi maggiorenni dell’Unione Italiana sono 37.444, di cui 3.099 in Slovenia e 34.345 in Croazia. Sono 53 le Comunità degli Italiani: 7 in Slovenia e 46 in Croazia. La grande maggioranza delle Comunità degli Italiani, 42, si trova in Istria, 4 Comunità si trovano nelle regione liburnica (Fiume, Cherso, Lussinpiccolo e Veglia), 3 in Slavonia (Lipik, Ploštine e Kutina), 2 in Dalmazia (Spalato e Zara) e 1 a Zagabria.

I****strioto, dalmatico, veneziano «de là da mar» e... italiano

L’italiano di questa minoranza è lingua ufficialmente riconosciuta, ed è parlato nelle occasioni di ufficialità. Esistono (ed esistevano) altre varietà linguistiche d’uso: le più antiche sono l’istrioto e il dalmatico, la prima parlata da poche centinaia di persone, la seconda ormai estinta.

L’istrioto è una varietà romanza autoctona parlata nell’Istria meridionale, fra Rovigno e Sissano, usata ormai quasi esclusivamente come lingua familiare. L’attacco di una poesia del rovignese Eligio Zanini (1927-1993) recita: «La nostra zì oûna longa cal da griebani: /i spironi da Monto inda uò salvà, / e ’l brasso da Vistro uò rastà scuio / pei grutoni pioûn alti del mar, /ca ruzaghia sta tiera viecia-stara» (trad.: La nostra è una lunga strada irta di sassi: / gli speroni di Monto ci hanno salvato, / ed il braccio di Vistro è rimasto scoglio / per le grotte poste più in alto del mare, / che erode questa antica terra).

Il dalmatico era una lingua, pure autoctona, del gruppo romanzo, parlata un tempo in Dalmazia. Oggi vi si parla la varietà dialettale ciacavo-ecavo-icava, nella quale sono stati assunti a livello di prestiti diversi vocaboli italiani e veneti e nel quale sono ancora riconoscibili diversi elementi lessicali di probabile origine dalmatica.

Più recente è una varietà romanza proveniente dalla nostra penisola. Con la sottomissione di Istria e Dalmazia al dominio della Repubblica di Venezia, il veneziano divenne predominante. Questa varietà di importazione, chiamato veneziano coloniale o veneziano de là da mar o – con sfumatura più generale - istroveneto, si usava in tutti i settori più importanti della vita pubblica, si diffondeva mescolandosi con le preesistenti varietà romanze e con le varietà slave, come il ciacavo.

Veneziano e venezianismi, cioè parole di origine veneziana (più o meno) adattate, sono penetrati non solo per la necessità di nuovi termini, ma anche per il prestigio di cui il veneziano godeva, un prestigio dovuto alla dominante funzione politica che la Serenissima esercitava sui territori in suo possesso, come pure al fatto che Venezia era il centro economico e culturale non solo dell’Adriatico, ma di tutto il Mediterraneo. L’espansione commerciale e economica era inevitabilmente accompagnata da quella linguistica, e il veneziano divenne così lingua di comunicazione.

Ancora oggi a Spalato si sente parlare di teća, ven. tecia ‘padella’, o di kučaro, in ven. cuciaro ‘cucchiaio’, kužina, in ven. cusina ‘cucina’, šjor, in ven. sior ‘signore’; meno connotati dal punto di vista dialettale, e quindi italianismi, sono borša ‘borsa’ e šporko ‘sporco’.

Anche il veneziano ricavò alcuni termini di origine slava. È il caso di una parola che abbiamo letto nella poesia di Zanini, grebano, che è presente anche nel famoso Dizionario del dialetto veneziano di Giuseppe Boerio, con il significato, al plurale, di «Greppi; Balze; Dirupi; Rocce; Grotte; Deserti, Luoghi alpestri e sassosi», derivata dallo slavo greben ‘rupe, cresta di montagna’. La parola è variamente diffusa nei dialetti di tutto il Triveneto, dalla stessa Istria al bellunese, al trevigiano e al padovano, per citarne alcuni. A questo significato si è aggiunto in seguito anche quello di ‘persone che vengono da luoghi impervi’ e quindi ‘persone poco civilizzate’, e con questo significato si è esteso anche ad altre zone (come al genovese, al toscano, ecc.) della nostra Penisola.

Riferimenti bibliografici essenziali

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Il veneziano «de là da mar». Contesti, testi, dinamiche del contatto linguistico e culturale, a cura di Daniele Baglioni, Berlin/Boston, de Gruyter, 2019.

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Flavia Ursini, Sedimentazioni culturali sulle coste orientali dell'Adriatico. Il lessico veneto-dalmata del Novecento, Venezia, Atti e Memorie della Società Dalmata, 1987.

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Uriel Weinreich, Languages in Contact: Findings and Problems, The Hague/Paris, Mouton, 1974.

Le puntate del ciclo Europa e Mediterraneo d'Italia. L'italiano nelle comunità storiche da Gibilterra a Costantinopoli (a cura di Fiorenzo Toso)

Introduzione: Le lingue d'Italia fuori d'Italia, di Fiorenzo Toso (link)

1. Il monegasco del Principato di Monaco, di Fiorenzo Toso (link)

2. Le lingue d’Italia a Nizza e nel Nizzardo, di Fiorenzo Toso (link)

3. L’italiano della Svizzera di lingua italiana, di Laura Baranzini e Matteo Casoni (link)

4. L’italiano nel Cantone dei Grigioni: una duplice minoranza linguistica, di Maria Chiara Janner e Vincenzo Todisco (link)

5. L’italiano in Slovenia, di Anna Rinaldin (link)

Immagine: Vista su Pola

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