L’articolo sulla figura del grande giornalista e scrittore Gianni Mura, composto di due parti (la seconda sarà pubblicata tra due settimane), costituisce un ponte tra – chiamiamola così – la prima “stagione” del ciclo “Un treno di parole verso gli Europei di calcio 2021”, focalizzata sulla lingua del calcio e delle persone che di calcio vivono (giocatori, allenatori, cronisti di giornali, radio e televisione, tifosi), e la seconda che, a partire da ottobre, riguarderà in particolare la relazione tra la lingua del calcio e altri settori o dimensioni della lingua. A Gianni Mura Rocco Luigi Nichil dedica l’intero ciclo da lui curato.

Prima della prima

Tentare di riassumere l’esperienza professionale di un grande giornalista (e scrittore) come Gianni Mura in due brevi scritti non può che rivelarsi un’impresa fallimentare fin dalle premesse. Valutarne le scelte linguistiche e al tempo stesso i temi principali, prendendo spunto da qualche sparuto esempio tratto da una produzione sterminata e varia, rischia persino di essere fuorviante, come cercare di descrivere le acque oceaniche restando a guardare dalla riva.

Mura è morto il 21 marzo scorso a Senigallia. Era nato 74 anni prima a Milano: suo padre era un maresciallo dei carabinieri originario di Ghilarza, piccolo centro della provincia di Oristano, sua madre era un’insegnante elementare. Nel 1964 esordì come praticante alla Gazzetta dello Sport, divenne giornalista professionista nel ’67, passò poi per varie testate: Il Corriere d’informazione (1972-1974), Epoca (1974-1979), L’occhio (1979-1981). Iniziò a collaborare con Repubblica nel 1976, nel 1983 entrò in pianta stabile nella redazione del quotidiano, per il quale scrisse migliaia di pezzi e curò diverse rubriche, tra cui la domenicale “Sette giorni di cattivi pensieri”, ad oggi la più longeva del giornalismo italiano.

Alla sua morte, qualcuno ha parlato di lui come del più grande giornalista sportivo italiano – titolo di cui, forse, si sarebbe schernito –, qualcun altro, correggendo il tiro, lo ha definito uno dei più grandi giornalisti italiani del secondo dopoguerra, probabilmente per via dei suoi molteplici interessi, che andavano dalla musica alla cucina, dalla politica alla letteratura, riversati con una naturalezza disarmante in una scrittura che, se necessario, sapeva travalicare – malgrado quanto egli stesso sosteneva («sono abituato a scrivere cose che durano al massimo un giorno», Mura 2015, p. 25) – la dimensione giornalistica (è il caso di ricordare, a questo proposito, i due romanzi Giallo su Giallo [2007] e Ischia [2012], entrambi basati sulle indagini del commissario parigino Jules Magrite, evidente omaggio anagrammatico al Maigret di Simenon).

Esercizi di stile

Nella prefazione a una raccolta antologica di scritti di Gianni Brera (Il principe della zolla, Milano, Il Saggiatore, 20152 [19941]), Mura ci regala un divertente aneddoto legato al suo primo articolo giornalistico, ai tempi della Gazzetta dello sport (p. 26):

Sessanta righe, le mie prime sessanta righe. Ci misi dentro struggle for life e se capiss, crapottone e Weltanschauung, pirlare e saudade. Consegnai l’articolo fierissimo, dopo dieci minuti mi mandò a chiamare il direttore, Gualtiero Zanetti. Teneva i due fogli di carta rosa in punta di dita. Mi disse che potevo arrotolarli e ficcarmeli proprio lì, che Brera dovevo scordarmelo ed ero fermamente pregato di riscrivere il pezzo in un italiano normale. Era davvero un brutto pezzo e finì nel cestino di Zanetti, cui sono molto grato. In cinquant’anni non ho più riscritto un pezzo, una lezione era bastata.

Scordarmi Brera quanto a scrivere sì, ma il resto no.

Appurato che lo stile di Mura non può essere ricondotto sic et simpliciter alla maniera breriana, come pure certuni hanno inteso fare, resta da stabile quali siano i tratti caratterizzanti della sua scrittura. Anche non tenendo conto delle esperienze narrative, tuttavia, sarebbe improprio ricondurre l’intera produzione muriana a un unico registro stilistico: se, ad esempio, nella rubrica “Sette giorni di cattivi pensieri”, l’autore opera sul contrappunto, mescolando con leggerezza temi differenti, che scivolano gli uni negli altri con ritmo serrato, altrove la sua scrittura cambia decisamente carattere, sa distendersi, acquista spessore, si fa evocativa, pur conservando la consueta vivacità. Né si possono negare le differenze tra il suiveur del Tour e del Giro, le cui digressioni appaiono determinate dal paesaggio, che rimanda di continuo al passato (vedi Champagne, Boardman e Anquetil, 6.7.1997), e il cronista di calcio, a tratti flemmatico, altre volte incalzante, quasi a mimare l’andamento delle azioni in campo (Inter fuori, viva l’Inter, 17.4.1986); tra il Mura che racconta piccole e grandi storie di sport (“Sono uguale a voi”. Quel volto bianco accanto ai pugni neri, 28.6.2012, su Peter Norman, Tpmmie Smith e John Carlos) o dipinge quadretti su personaggi piccoli e grandi, sovente in occasione della loro morte («Ti sia lieve la terra, Giovanni. Comincio come avresti concluso tu se fossi morto io, come hai concluso tante volte i coccodrilli. Sono pezzi che toccano ai più vecchi, o a quelli che hanno più memoria, e del calcio di Repubblica il più vecchio adesso sono io», 20.12.1992, per la morte di Gianni Brera), e il Mura malinconico e poetico che passeggia lungo i Navigli ricordando la Milano d’un tempo (L’Acqua perduta di Milano, 8.1.2006) o percorre la strade di Parigi alla ricerca dei luoghi del Commissario Maigret, che il tempo ha ormai cancellato (La Parigi di Maigret, 15.10.2006); senza dimenticare, ovviamente, l’esperto di musica (più volte inviato al Festival Tenco, raramente a Sanremo, che non amava), il critico gastronomico e il finissimo conoscitore di vini (assieme alla moglie Paola Gius curò per anni la rubrica Mangia e Bevi per il Venerdì).

Etica, ironia e invettive

Eppure, anche al netto delle peculiarità testuali (cronaca, racconto, commento, intervista, lettera, recensione) con cui si presentano gli scritti di Mura, è possibile trovare alcune costanti che ne definiscono il linguaggio, sia dal punto di vista della forma, sia per ciò che concerne i contenuti. Concentriamoci su quest’ultimo punto, rimandando il resto ai prossimi paragrafi.

Ciò che colpisce di Mura – che tra il 2011 e il 2012 diresse assieme a Maso Notarianni la rivista di Emergency E - Il mensile – è senz’altro l’attenzione rivolta al mondo circostante, che non si riduce mai a una mera cornice della narrazione, e una vibrante tensione etica, talvolta scambiata per eccessivo moralismo, che lo portano a osservare uno striscione durante i funerali del tifoso genoano Vincenzo Spagnolo («per la famiglia e gli amici Claudio»), ucciso poche ore prima di una partita di calcio («Davanti al circolo Anpi di via Bologna c’è il tricolore a mezz’asta e uno striscione con scritto: Claudio grazie di essere stato nostro amico», 3.2.1995), o lo conducono ad attraversare i confini dello sport, giungendo alle periferie più povere del Messico, in occasione dei Mondiali del 1986 (Dalla parte dei respinti, 30.5.1986) o nel carcere di Danbury, dov’era rinchiusa Silvia Baraldini, nei giorni di Usa ’94 (Silvia racconta le sue prigioni, 26.6.1994).

Del resto, se uno dei contrafforti dello stile muriano va ricercato nella sua sottile ironia («[Di Maradona] Dicono abbia scavalcato san Gennaro, che non ha il vantaggio di esibirsi tutte le domeniche», 5.11.1985; «[...] Dio è brasiliano ma qualche volta ha dei vuoti di memoria», 30.5.1986; «Il vecchio adagio era che la storia la scrivono i vincitori, adesso c’è meno lista d’attesa», 12.11.2000; «Di sicuro c’è che Aru, alto 1.83, pesa 59 chili, e ogni volta che lo vedo penso che avrebbe bisogno di un panino più che di domande», 7.7.2017; imperdibile poi Il dialogo in versi tra Totti e Capello, 26.7.2004), a volte indirizzata anche verso sé stesso («Feltri mi definisce Gattosardo (sempre meglio che Gattolardo e Gattotardo) mi va bene, anche se son nato a trecento metri dal Duomo di Milano e parlo il dialetto meglio di Feltri», 4.6.2011), egli sapeva sorprendere il lettore anche con improvvise e violente invettive:

Riconoscersi in un momento di dolore, non di vittoria, non è da tutti e io credo che quella sia l’Italia vera, l’Italia che ne ha piene le palle di Berlusconi e dei suoi attacchi ai giudici, di Nicole, di tante cose che riempiono i giornali e i telegiornali, di liti finte e vere, di poteri spartiti, di un Paese col lifting spacciato per realtà, con la guerra che si deve chiamare con un altro nome, con i morti sul lavoro che non hanno l’eco di Weylandt, morto in diretta tv al Giro dei 150 dell’unità d’Italia, un’unità che a volte si fatica a intravvedere, ma per Weylandt c’è stata. Unità. Rispetto. Dolore condiviso. Silenzio (11.5.2011).

Un po’ dell’una, un po’ dell’altra aveva un noto articolo (C’eravamo tanto amati, Mura 2013, pp. 366-370) pubblicato prima della finale mondiale tra Italia e Germania del 1982, in cui Mura irride beffardamente l’opportunismo camaleontico degli italiani, limitandosi a riportare «[n]ella colonna a sinistra [...] voci popolari e giudizi critici (giornali, tv)», raccolti dopo la deludente fase a gironi, «[n]ella colonna a destra, le stesse cose, ma dopo la riscossa della Nazionale, cominciata con l’Argentina» (p. 366); basterà qui riportare i commenti relativi al capitano di quella nazionale, Dino Zoff (p. 367):

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Sintassi ed espressività

Dal punto di vista sintattico, è evidente come Mura prediliga la coordinazione, che realizza attraverso un ritmo frammentato («Hai scritto un messaggio pieno di speranze, di sogni, di cuore. Come quando pedalavi. E di umiliazioni, ferite, come quando non pedalavi», 22.2.2004), segnato da frasi nominali («Sera del 15 ottobre 1961. Tel Aviv, partita di qualificazione ai mondiali in Cile. L’Italia: Buffon; Robotti, Losi; Bolchi, Maldini, Trapattoni; Mora, Lojacono, Altafini, Sivori, Corso. All’intervallo, 2-0 per gli altri», 23.8.2011; «Età media del pubblico piuttosto altina», 1.2.1986) o ellittiche della principale («Ai muri, la foto di Coppi e Bartali che si passano la borraccia, un grande Piola, molte foto aggredite dal tempo», 1.2.1986) e da varie altre formule brachilogiche («Sócrates ha la solita fascia-messaggio sulla fronte», 22.6.1986; «Scuola danubiana, aveva conosciuto la realtà argentina e uruguagia», 2.10.2009), che, come le inversioni («Di esultante, con questo tempaccio, c’è davvero poco», 8.2.1986) e le dislocazioni («I morti calcisticamente illustri ero già andato a trovarli», 8.2.1986; «A Berlino la finale l’hanno giocata meglio i francesi», 11.7.2006), paiono legate alla ricerca di espressività, prima ancora che alla brevitas giornalistica.

Altrettanto significative, sempre dal punto di vista sintattico-stilistico, le strutture bipartite, sia all’interno della frase («Clima ostile e squadra tesa», 9.5.2010) sia tra frasi diverse («Gianni Rivera lo conoscono tutti e Gianni Brera anche. Uno gioca, l’altro scrive», Mura 2013, p. 358; «I poveri sono matti, diceva Zavattini. Anche i ciclisti, vorrei aggiungere», 11.5.2011), ma anche i tricolon («sofferenza, sacrificio, volontà», 11.7.2006; «Persi via via in mare i palloni per gli allenamenti, mezza squadra scossa dal mal di mare, subito eliminati dalla Svezia», 9.5.2010) e gli elenchi («Tumburus, cognome bellissimo, evocativo di monti caucasici, rulli di tamburi, versi dattili, paesini sardi», 2.10.2009; «Insofferente agli schemi, anarchico, imprevedibile, lunatico, geniale, per noi Mario Corso era la libertà, ma non lo sapevamo», 23.8.2011), più spesso coordinati per asindeto.

Ripetizioni

Una delle cifre stilistiche che maggiormente caratterizzano la scrittura di Mura è senza dubbio la ripetizione, ottenuta mediante echi sonori (allitterazioni: [di r] «Regalata una realtà [...]», 22.5.1984, [di v] «Nel calcio la forza non arriva per investitura divina, è un valore variabile che ogni volta va rapportato con la forza degli altri», 11.7.2006; rime: «Notato che Raboni non si sottrae alla rima raggio-Baggio. Ha coraggio», 29.6.1990; «Ed è partito il rap del nandrolone. Signora, se ne faccia una ragione e moderi la sua indignazione», 25.11.2001), talvolta con la volontà di creare paronomasie («Gli azzurri sono campioni del mondo e anche del fondo», 11.7.2006; ��l’Unto dal Signore [Berlusconi] ha definito Putin “un dono del Signore”. S’ignora a chi, il dono», 12.9.2010; «Sola e Zola, occupiamoci di questo», 28.12.2014), più spesso per mezzo di iterazioni lessicali, complete o parziali, che si risolvono in poliptoti («Lui doveva fermare la Juve e lui l’ha fermata», 5.11.1985), figure etimologiche («Riporta il corridore al centro della corsa e il corridore è un uomo che corre in bici portandosi addosso sogni e speranze», 29.7.2019), anafore («C’era l’Italia dei comuni [...] e c’era naturalmente Pertini. C’era anche la Germania, ci voleva la Germania per rendere più grossa la festa» 22.5.1984; «Ho visto cose che voi umani eccetera. Ho copiato Blade Runner», Da Angellillo a Ibra i cento anni dell’Inter, 8.3.2008, articolo tutto giocato sulla stessa formula introduttiva, che si ripete 28 volte), anadiplosi («Tanti negozi di scarpe e di dolci. I dolci messicani hanno un aspetto goloso [...]», 30.5.1986; «Per non dimenticare. Dimenticare Bulgarelli è impossibile», 2.10.2009), complexio («Ricorda che erano tutti studenti, tranne Mattea, tutti casalesi tranne Mattea, di Torino, che tutti non beccavano una lira, tranne Mattea», 8.2.1986; «Battuta l’Argentina, zitti. Battuto il Brasile, zitti. Battuta la Polonia, zitti», 24.4.2013), epanadiplosi («E forse non tutti sanno della manifestazione. Forse. Rosaria. Rosaria Costa, la vedova di Vito Schifani», 25.8.1993), epanalessi («E qui gli italiani furbi, gli italiani cinici e arrivisti, gli italiani del massimo risultato col minimo sforzo, qui gli italiani in maglia azzurra si sono fatti un mazzo così pur di non finire nella fossa che si erano scavati con la loro inferiorità tecnica», 30.6.2000), chiasmi («Il mundial è in Messico ma il Messico non è nel mundial», 30.5.1986; «Gli speronatori si salvano tutti, tutti gli speronati muoiono», 18.12.2002; «È così che il cattivo Materazzi [...] diventa buono e il buon Zidane cattivo», 11.7.2006) o in altre formule ancora («un viaggio altare-polvere-altare-polvere-altare che non sembra finito», 22.5.1984).

*Gli articoli citati esclusivamente per data sono tratti dall’archivio on line di repubblica.it, che parte dal 3 gennaio 1984 e arriva ai nostri giorni (il sito non riporta i caratteri in corsivo, che saranno quindi da attribuire a chi scrive).

Con Mura 2013 (seguito dal numero di pagina), invece, ci si riferisce alla raccolta Non gioco più, me ne vado. Gregari e campioni, coppe e bidoni (Milano, Il Saggiatore, 2013), da cui sono tratti alcuni brani scritti prima del 1984 (in questi casi il corsivo è dell’autore).

Altri articoli di Mura sono rintracciabili nelle antologie La fiamma rossa. Storie e strade dei miei Tour (Roma, Minimum fax, 2008) e Il mondo di Gianni Mura (Roma, GEDI, 2020).

Il ciclo Un treno di parole verso gli Europei di calcio 2021 è curato da Rocco Luigi Nichil

Pasolini e il campo di gioco. Appunti su calcio, lingua e letteratura di Rocco Luigi Nichil

Il calcio alla radio di Marcello Aprile

I soprannomi dei calciatori di Francesco Bianco

Immagine: Mura (a sinistra) e Gianni Brera a Milano nel 1975

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