Perché un migrante extracomunitario appena arrivato nel nostro Paese dovrebbe avere voglia di imparare la lingua italiana? La risposta può apparire ovvia: perché ne ha bisogno; dato che vuole vivere in Italia, deve capire e farsi capire. Inoltre la legge prevede che – per ottenere un permesso di soggiorno di lungo periodo e, più avanti, la cittadinanza – si debba, tra l’altro, attestare la conoscenza (dal livello di base ad altri più elevati) dell’italiano come seconda lingua (L2).

Tuttavia non basta “averne voglia” e/o “bisogno”. Sulle prospettive di successo incidono molti fattori. Tra questi, la motivazione dell’allievo, cioè la spinta psicologica che indirizza verso lo studio, e la capacità, da parte dei docenti, di sfruttare in aula le varietà di lingue parlate dagli alunni. Proprio su questi due aspetti si concentra questa prima parte dell’inchiesta. Altri due fattori interessanti sono legati alla condizione femminile e a quella dei minorenni, che hanno aspettative ed esigenze particolari (se ne parlerà nella seconda parte).

Nel labirinto dell’accoglienza

Per capire il contesto, una premessa è opportuna. Attualmente il migrante, dopo essere arrivato più o meno avventurosamente in Italia, finisce in uno degli hotspot per la prima identificazione. In seguito una parte minoritaria (in seguito alle modifiche al Decreto 113/2018 apportate nell’ottobre 2020) è destinata ai centri del nuovo “Sistema di accoglienza e integrazione” (Sai), che - in una girandola di norme - sta sostituendo il “Sistema di protezione per titolari di protezione internazionale e per minori stranieri non accompagnati” (Siproimi), a sua volta succeduto al “Sistema di protezione richiedenti asilo e rifugiati” (Sprar). La maggior parte va in uno dei Cas (Centri di accoglienza straordinaria), dove è meno facile ricevere una formazione linguistica. Tuttavia, grazie alla collaborazione con enti locali e volontariato, molti migranti possono accedere ai corsi.

Il compito dei docenti

Per quel che riguarda i docenti, non esiste ancora un percorso formativo prestabilito per poter insegnare italiano ai migranti, sebbene siano sempre più diffuse le certificazioni, rilasciate da varie università, che attestano la competenza didattica. Di certo, l’approccio richiesto agli insegnanti è complesso, considerando la mescolanza di etnie, lingue madri e lingue veicolari (soprattutto inglese e francese), culture, religioni, livelli di scolarizzazione e situazioni individuali. Inoltre va precisato, a scanso di pregiudizi, che le capacità di apprendimento da parte dei migranti (quando – come capita molto spesso – sanno leggere e scrivere) sono equivalenti a quelle di ogni altro straniero.

Lo conferma Roberto Tartaglione, direttore a Roma della scuola di italiano ScudIt e presidente dell’Associazione Scuole Licet: “Dal punto di vista didattico e linguistico possono imparare con la stessa efficacia con cui lo fa qualsiasi altro straniero (dallo statunitense al giapponese, per capirci). Non ha senso insegnare come se fossero analfabeti”. In ogni caso, tutti coloro che intendono restare in Italia hanno l’esigenza – e di fatto l’obbligo – di conoscere l’italiano. Non solo perché condiziona l’accesso all’istruzione e al lavoro, ma anche perché garantisce di esercitare meglio i diritti civili, politici e sociali e di avere un ruolo riconosciuto nella collettività.

L’importanza della motivazione

L’aspetto della motivazione nei confronti dello studio è uno degli aspetti studiati dall’insegnante e ricercatore Mattia Zonza (Università per stranieri di Siena). Si è confrontato con un gruppo di uomini migranti, richiedenti asilo e provenienti dall’Africa occidentale. Lo studioso nel 2019 ne ha intervistati 83, ospiti di un Cas milanese.

Emerge che la spinta all'apprendimento è legata alla ricerca di lavoro e indipendenza, ma anche alla volontà di integrarsi nella società che li accoglie e a molte necessità soggettive dettate dall’esigenza di comunicare per non sentirsi isolati; così come la scelta di non imparare può dipendere non solo dall’esito negativo dell’esame dedicato alle richieste di asilo, ma anche dalla percezione di differenze linguistico-culturali molto marcate e dalla sensazione di sentirsi totalmente estranei al contesto italiano. “Il docente deve essere in grado di alimentare, con la sua competenza e sensibilità, l’interesse verso l’apprendimento linguistico”, scrive Zonza.

Il vantaggio del plurilinguismo

Un altro aspetto importante è rappresentato dal plurilinguismo. La gamma di lingue parlate va da quelle locali, usate nelle comunità di origine, alle varie lingue franche o veicolari (soprattutto inglese e francese), conosciute in modo più o meno approfondito; sono usate già da prima della migrazione per comunicare tra etnie diverse e, dopo, per farsi capire nella composita comunità dei migranti, una volta che sono giunti in Italia.

Edith Cognigni (Didattica delle lingue moderne - Università di Macerata) sottolinea l’opportunità di avvalersi del plurilinguismo nell’insegnamento dell’italiano. Nell’ambito di una sua indagine sui bisogni di apprendimento di migranti adulti, ha esaminato un campione casuale di 92 rifugiati nel Sud delle Marche. Soprattutto maschi, tra cui predominano migranti originari dell'Asia meridionale (Pakistan e Bangladesh) e dell’Africa subsahariana occidentale francofona (Senegal, Mali) e anglofona (Gambia, Ghana, Nigeria).

A caccia di risorse

La professoressa Cognigni sottolinea che “la classe rappresenta uno spazio multiforme in cui plurilinguismo, translanguaging (pratica discorsiva multipla attraverso la quale il migrante esprime pienamente il suo repertorio linguistico e semiotico, ndr) e interculturalità costituiscono la norma e dove… gli insegnanti sono sempre più chiamati a esplorare le risorse comunicative e le abilità dei propri studenti in modo da renderli partecipi del proprio processo di inclusione”.

Purtroppo, sottolinea la studiosa, nel nostro Paese si fa ancora fatica a valorizzare questo aspetto: gli insegnanti sembrano considerare il ricorso ad altre lingue – oltre a quella italiana, che rappresenta l’obiettivo dei corsi – come accessorio, “se non addirittura come un ostacolo all’apprendimento”. Eppure è “un plusvalore glottodidattico”. Insomma, da un lato consente di rendere gli studenti consapevoli del proprio ‘capitale’ linguistico e di cosa sia trasferibile o meno nella lingua italiana, dall’altro favorisce in aula un clima motivante, accogliente e collaborativo.

Tuttavia, quando il docente incontra donne e madri migranti, spesso con i loro figli piccoli, e profughi minorenni, si presentano ulteriori ostacoli da superare, come vedremo della seconda puntata di questa inchiesta.

Bibliografia essenziale

Giuliano Bernini, Acquisizione dell'italiano come L2, Treccani.it, Roma.

Edith Cognigni, Plurilinguismo e intercomprensione nella classe di italiano L2 a migranti adulti. Dalla lingua veicolare alla lingua-ponte, su EL.LE vol. 8 n. 1 marzo 2019, Centro di Ricerca sulla Didattica delle Lingue del Dipartimento di Studi Linguistici e Culturali Comparati, Università Ca’ Foscari di Venezia, Edizioni Ca’ Foscari, Venezia, 2019.

Roberta T. Di Rosa, Gaetano Gucciardo, Gabriella Argento, Silvana Leonforte, LEGGERE, SCRIVERE, ESSERCI. Bisogni formativi e processi di inclusione dei minori stranieri non accompagnati, Franco Angeli, Milano, 2019.

Mattia Zonza,  Motivazioni per la lingua italiana L2: indagine di campo in un CAS a Milano, Tesi Master DITALS, Unistrasi, Siena, 2019.

Immagine: Persone che leggono

Crediti immagine: bri vos, CC BY 2.0 https://creativecommons.org/licenses/by/2.0, attraverso Wikimedia Commons