La parola futuro ci risulta misteriosa sin dalle prime volte, anche quando veniva presentata in maniera indiretta. Pensate ai primi temi delle elementari, a quella consegna capace di mettere in difficoltà le penne più raffinate: “Esponi in un breve testo cosa farai da grande”. Al disorientamento iniziale, si accompagnava, a poco a poco, un senso di speranza e di apertura. Immaginare mondi impossibili è da sempre balsamo per la mente. Poi, la concretizzazione di un pensiero, nero su bianco, ci faceva sprofondare di nuovo nell’incertezza. Tutto questo è normale, perché la parola futuro assomiglia un po’ alle sabbie mobili. Sfugge alle coordinate e, come un camaleonte, può assumere le forme più improbabili. Del resto è una declinazione del verbo essere. E non è da sottovalutare il fatto che definire l’essere, intendo non solo linguisticamente, sia un problema filosofico molto antico. Da adolescenti, nel nostro caso da Z, trattare il tema del futuro diventa ancora più complesso. Soprattutto in un periodo storico come quello che stiamo vivendo, che ha creato per loro un’etichetta dalla quale sarà difficile liberarsi, “Generazione Covid”, come si intitola, tra l’altro, il podcast di «Domani», a cura di Luigi Lupo e Ilaria Potenza, che racconta le conseguenze della pandemia nella vita dei nati all’interno della rivoluzione digitale e in bilico tra precarietà e sguardo innovativo. «Futuro vuol dire incertezza in questo periodo particolare. L'indecisione e l'insicurezza sono all'ordine del giorno. Coloro che hanno decisioni importanti da prendere, non sanno che cosa fare e anche se ora abbiamo i vaccini, quello che accadrà domani è comunque incerto». Tra le testimonianze e le suggestioni di un gruppo di ragazzi tra i 12 e i 18 anni che Domitilla Pirro e Francesco Gallo hanno raccolto per il progetto “Giovani Penne” di Fronte del Borgo (Scuola Holden), emerge con chiarezza una costante: la pandemia è riuscita a plasmare un concetto così fumoso come quello del futuro, che oggi si accompagna quasi sempre ai riferimenti del contesto attuale. Non solo ricorrono le parole del vocabolario Covid – vaccini, dad, pandemia, virus, restrizioni –, ma anche espressioni caratterizzanti, tra queste l’interrogativa «quando finirà [il virus]?» o la variante affermativa temporale «quando tutto questo sarà finito». Eppure, mentre si aspetta – e si fatica a pensare cosa accadrà tra un giorno o due – c’è chi ribalta la situazione per alleviare il peso di questo «limbo temporale» o «vuoto cosmico»: «il futuro è presente. [...] Non è forse vero che ogni nostra scelta presente, benché minima, può influenzare drasticamente il futuro non solo del singolo ma anche di chi gli sta attorno?», e ancora, «il futuro è nient'altro che una relativizzazione del presente. Il futuro è fondato sul bilico delle scelte, sul pensiero che si evolve, sull'ambizione che si ingrandisce e poi si limita. [...] Il futuro ci parla quando non ce ne rendiamo conto ed è partecipe di tutte le decisioni che prendiamo: è l'ansia, la paura, e l'emozione, quell'emozione che ha bisogno di tempo per arrivare a noi e diventare quello che, coraggiosamente, chiamiamo presente».

Immobile e nostalgico

Tornando alla nostra incapacità di riuscire a dare una forma al futuro, mi hanno colpito in particolare due suggestioni. Il futuro, per quanto sia inafferrabile, può essere definito anche come qualcosa che rimane «immobile ad aspettarci», quasi come fosse una persona che abbiamo abbandonato, anche se non la conosciamo ancora. A quest’immagine alcuni associano anche la parola nostalgia, nell’ottica di un sentimento legittimo ma in questo momento negato: «se penso al futuro la prima cosa che mi viene in mente è nostalgia, nostalgia per un futuro che fremo di vivere, che desidero rimpiangere [...] che non vedo l'ora che diventi nostalgia». Il domani ha davvero poco a che fare con un desiderio romantico: è una strada da costruire o da scegliere. Ecco che il futuro può diventare «un bivio» o «una storia a bivi», perché possono esistere solo futuri possibili: «abbiamo a disposizione solo in gran parte vicoli ciechi o trappole, mentre l'umanità avanza con gli occhi bendati». E se futuro si accompagnasse sempre a un’altra parola, più leggera e accogliente? C’è chi nell’espressione «andrà tutto bene» intravede il futuro come il ritorno alla normalità e interpreta la speranza come quel tutto che «torna come prima». Ma siamo sicuri che possa, nel futuro che ci attende, esistere ancora un prima?

Le parole del futuro Z

Dimentichiamoci il sogno di diventare un astronauta o una ballerina. Quando si parla del futuro firmato Generazione Z, mi sono accorta che c’è ben poco spazio da dedicare alla fantasia. Proprio questa indagine, che qui si conclude, è nata per cercare di spiegare anche l’attenzione mediatica che aziende, agenzie di stampa ed esperti di marketing stavano riservando da tempo agli incomprensibili Z. L’aspetto più allettante era riuscire ad adattare strategicamente il mercato ai cambiamenti demografici, nello specifico agli interessi dei GenZ, nativi digitali e consumatori del domani. Ebbene, prima ancora che gli Z sapessero cosa fare da grandi, c’era un intero mondo del marketing che si stava impegnando per rispondere al loro posto, creando o potenziando offerte, nuovi bisogni e trend. L’obiettivo era intercettare la forma del loro futuro. Ecco che negli articoli, oltre alla parola futuro, iniziavano a comparire altre parole-chiave per aiutare l’orientamento. La prima, con frequenza altissima, è inclusione. Come sostenevo nel precedente articolo, dedicato al nuovo vocabolario della fluidità di genere, per gli Z è importantissimo tutelare e comunicare le diversità. Secondo i dati del Pew (Pew Research Center) la Generazione Z risulta essere la generazione più diversificata anche dal punto di vista etnico. Per questo gli Z amano definirsi global (“multiculturali”), in rapporto a identità fluide, cioè senza confini tradizionalmente accettati, come mi conferma anche Marta Basso, co-founder di Generation Warriors e dell'Osservatorio sulle Generazioni: «Mi sembra parlino molto più di quanto si racconti di valori come la sostenibilità e l’inclusione e ne facciano bandiera di comportamento». A differenza di chi definisce gli Z “iGen”, dove per “i” s’intende non solo la natività digitale (Iphone), ma una buona fetta di individualismo (individualism), come emerge dal saggio Iperconnessi di Jean M. Twenge (Einaudi, 2018), Marta individua negli Z una visione improntata sul bene comune e una forte spinta alla condivisione, che va di pari passo all’inclusività. «Del resto sono figli dei social». Una novità in quest’ottica è proprio l’evoluzione delle piattaforme, sempre più vicine a una condivisione immediata, a una socialità coinvolgente, che punta a oltrepassare la freddezza dei like, come l’ultimo arrivato tra i social network, Clubhouse, una via di mezzo tra un servizio di messaggistica basata sull’audio e una piattaforma per le videoconferenze, sempre in formato audio, organizzata per aree tematiche. Un’altra parola che caratterizzerà il futuro e le scelte lavorative della Generazione Z è sicuramente creatività, associata a co-creazione e imprenditorialità. Sempre Marta mi racconta che gli Z «rispetto alle altre generazioni, sono tutti (merito forse anche dei social) dei creatori di contenuto. Questo si riverbera, come testimoniato da Clelia Bergna, Responsabile Career Service e Coordinamento Career IED Italia, in quello che i giovanissimi chiedono al mondo del lavoro, cioè più orizzontalità e spazio all’iniziativa personale al servizio di gruppo». La pandemia di Covid, i movimenti BLM (Black Lives Matter) e LGBTQI+ hanno contribuito a rendere più sensibile la Gen Z, anche nel suo impulso attivista.

No alla mano di bianco

Ma con delle precisazioni: anche se la Generazione Z è sedotta dalle attività di brand activism, cioè da tutto ciò che riguarda la comunicazione dei programmi di responsabilità sociale dell’impresa, rifiutano senza esitazione l’inautenticità del fare -washing. Per esempio, con il neologismo greenwashing, che possiamo tradurre “ecologismo di facciata”, dove il verbo washing deriva da to whitewash, appunto ‘imbiancare’, ‘nascondere con una mano di bianco’, è una strategia di comunicazione di un brand che si dichiara rispettoso dei principi della sostenibilità, ma nei fatti la sua posizione non è riscontrata. Sullo sviluppo sostenibile, in particolare, la Generazione Z si è esposta più volte, dichiarando il suo impegno nella costruzione di un mondo più equo, solidale e climate friendly. «La generazione boomer rinfaccia alla mia generazione un crescente disinteresse in politica, vantandosi invece della propria conoscenza al riguardo. Ma se davvero fossero interessati di politica saprebbero che Fridays for Future è nato proprio perché è stata la loro generazione a non occuparsi di politica e clima». Tra le riflessioni del gruppo seguito da Domitilla Pirro e Francesco Gallo, non mancano i riferimenti alla tutela ambientale, primo elemento da considerare per parlare del futuro di domani. Anche se gli Z non si espongono esplicitamente sulla politica, rivendicano politico il loro atteggiamento sostenibile. A far maggiore chiarezza sulla loro posizione va ricordato che proprio quest’anno, alla luce dei movimenti e degli interessi targati Z, il ministero dell'Ambiente in collaborazione con il programma di comunicazione sui cambiamenti climatici Connect4Climate della Banca Mondiale, assieme alla Regione Lombardia e al Comune di Milano, è impegnato nella promozione dell’All4Climate-Italy2021, un percorso aperto a tutti, con particolare attenzione alle scuole, finalizzato al confronto e al dialogo sulle sfide e le buone pratiche legate al tema dei cambiamenti climatici e agli obiettivi dell'Accordo di Parigi. Il 2021 potrebbe essere dunque il primo anno per mettere alla prova il domani degli Z. Milano dal 28 settembre al 2 ottobre 2021 sarà la città-polo dell'evento internazionale "Youth4Climate2021: Driving Ambition”, una sessione tutta dedicata ai giovani e al loro futuro.

Il ciclo dedicato a modi, lingua e linguaggi della Generazione Z è ideato, curato e scritto da Beatrice Cristalli.

Immagine: Ancient Mariner of the Space Age

Crediti immagine: Carle Hessay, CC BY-SA 4.0 https://creativecommons.org/licenses/by-sa/4.0, attraverso Wikimedia Commons