Quando il Molleggiato, correva l’anno 1968, interpretò Una carezza in un pugno, finì per affidare alla storia due macroscopiche evidenze, che avrebbero fatto discutere incessantemente i posteri, vale a dire il tema del dubbio amoroso (per altro un evergreen sin dai tempi della poesia trobadorica) e la vexata quaestio del signor Congiuntivo (in questo caso omesso e non errato): «Ma non vorrei che tu, a mezzanotte e tre, *stai già pensando a un altro uomo».

Da Totò a Caparezza

Il congiuntivo è un tema di strettissima attualità (fior di linguisti, tra cui Serianni, Patota, Della Valle, e Antonelli lo hanno ben dimostrato, a più riprese), nei media come nella carta stampata, tra la gente colta e quella mediamente colta; il suo stato di salute ha da sempre destato (e continua a destare) preoccupazione e sulla sua sorte c’è un’attenzione fortissima, che sovente sfocia in una evidente censura sociale di fronte agli errori nell’utilizzo.

Quando si parla di congiuntivi sbagliati, ci si riferisce anzitutto all’errore morfologico, come ad esempio nel caso dei congiuntivi maccheronici (spesso ironici e voluti) in stile Totò («Ma mi facci il piacere!») o Caparezza («V_enghino_ signori che qui c’è il vino buono»), nati dall’erronea uscita in -i di verbi della seconda e della terza coniugazione, i quali nelle prime tre persone del congiuntivo presente normalmente escono in -a; ma ci si può riferire anche all’errore sintattico, che sovente si risolve nell’omissione del congiuntivo (obbligatorio) a favore dell’indicativo, sia nelle subordinate completive («Basta che vi *decidete») sia in quelle circostanziali («Benché *piove, siamo usciti lo stesso»). Il congiuntivo errato, purtroppo, soprattutto quello di matrice fantozziana (*v_adi, *venghi, *eschi_), scatena sempre quello che Patota e Della Valle definiscono «il comune senso dell’errore»; scivolare su un congiuntivo, infatti, per la comunità dei parlanti equivale a violare un «dato non negoziabile» (per dirla con Michele Prandi), ossia quello che non ci lascia alcuna possibilità di scelta, pena appunto una forte censura sociale.

A scuola di fumetto e pop

Ora, nel tempo, strafalcioni e mancato uso (da parte di calciatori, politici e altri personaggi pubblici, ma anche gente comune) hanno contribuito al costante necrologio del congiuntivo, un de profundis che non conosce sosta. Verità incontestabile, anche se, tenendo ben presenti gli studi di linguisti e addetti ai lavori, non si può parlare di una morte certa e definitiva: la sensibile flessione del suo utilizzo e gli impropri morfo-sintattici sono perlopiù da addebitare alla pressione esercitata dall’indicativo, dovuta soprattutto all’italiano parlato e digitato. Inoltre, è noto, l’errore grammaticale sovente non è che il risultato di un movimento diacronico della lingua: quest’ultima, per sua natura, è mutevole e mobile («Benché tu *vadi» non lo scriveva il ragionier Ugo Fantozzi, bensì un certo Giacomo Leopardi nelle Operette morali) e, muovendosi, altera la percezione che si ha di determinate forme, che possono diventare sbagliate pur non essendolo di per sé.

Comunque sia, i problemi maggiori del congiuntivo si riscontrano nell’oralità e, per quel che concerne l’italiano scritto, in Rete. Tutt’altra storia, ad esempio, si registra nel fumetto d’autore (Tex Willer, Diabolik e addirittura Homer Simpson raramente ne sbagliano uno, come ha notato Giuseppe Antonelli), nella tivvù per bambini o nelle telecronache sportive e, soprattutto, nelle canzoni di successo, dallo Zecchino d’oro («Si dice mangi troppo, non metta mai il cappotto», Il coccodrillo come fa?) al classico pop («Lascia che io sia il tuo brivido più grande», Nek, Lascia che io sia).

La parola al congiuntivo cantato e cantante

Recentemente, un poliedrico cantautore fiorentino, Lorenzo Baglioni, protagonista tra le giovani proposte del Festival di Sanremo, si è occupato del congiuntivo; il video del suo Il congiuntivo ha superato le sei milioni di visualizzazioni online e ha sfiorato i centomila like su Facebook, segno tangibile di un ecumenico apprezzamento da parte del pubblico, giovane e meno giovane. E sul palco la sua esibizione è stata accolta con molto divertimento.

Lo abbiamo contattato, provando a capire l’origine di un così limpido successo.

Lorenzo, con cortesia, brio e chiarezza d’idee ci ha fornito la sua ricetta per un “pop didattico”, che possa insegnare divertendo.

Lorenzo Baglioni: didatta, artista istrionico, cantautore; abile a proporre un nuovo modo di far musica e a portare alla ribalta la grammatica, croce e delizia non solo tra i banchi di scuola. Si è parlato sovente di “pop didattico”, ma c’è di più; si tratta di una vera e propria sfida lanciata alla didattica, o meglio, ai modi tradizionali (e forse superati) di far didattica. Giusto?

«Assolutamente sì. È proprio così. Forse il messaggio primario di questo progetto è “una didattica alternativa è possibile”. Non voglio dire che quella proposta da me sia la migliore, voglio solo un po’ punzecchiare chi si occupa di didattica, sperando di invogliarlo a ricercare la propria via, il proprio modo di raccontare e fare didattica».

Il congiuntivo****, un brano semplice e geniale e di immediato enorme successo: annose questioni quali la morfologia verbale o la consecutio approdano d’incanto nelle cuffiette o sul display di migliaia di persone. Pensi di aver dato voce ecumenica ad un nuovo “purismo” linguistico, che da fenomeno di nicchia riesce finalmente a raggiungere le masse?

«Sarebbe cosa meravigliosa, ma in realtà credo solo di aver cavalcato un sentimento di malcontento che già era fortemente presente. La nostra lingua è tanto bella, quanto alle volte può essere insidiosa. Io sono il primo a rendermene conto, dico infatti sempre che la canzone che ho scritto è in realtà autobiografica, quel ragazzo che sbaglia i congiuntivi sono io. E allora mi son detto: «Basta! Voglio cercare una volta per tutte di capire come funziona questo benedetto congiuntivo!». La bellissima accoglienza della canzone mi ha fatto capire che forse non ero il solo ad averne bisogno».

Veniamo alla kermesse sanremese. Dalla scimmia danzante che dava «lezioni di Nirvana» la specie si è evoluta, nella postura e soprattutto nel linguaggio: nella città dei fiori, proscenio della musica nazionalpopolare, con te approda la “grammatica della canzone”. Ne usciremo tutti più ricchi (o evoluti)?

«Una canzone deve sempre arricchirti. Non serve parlare di grammatica per arricchire chi ci ascolta. Lo si può fare anche solo intrattenendo e generando divertimento. Certo, con questa canzone mi piacerebbe lasciare un messaggio preciso, che è quello che ti ho espresso prima, e magari anche qualche sorriso».

Lorenzo Baglioni, va da sé, sei ormai inscindibilmente legato alla canzone che fa didattica e il titolo del tuo nuovo album, Bella prof, uscito il 16 febbraio 2018, avvalora questo legame. Tuttavia ti sei recentemente occupato anche di discriminazione e, soprattutto, di netiquette, con particolare attenzione alla lotta contro le bufale online. In che modo pensi che il tuo simpaticissimo Web simulator, vero e proprio videogioco-canzone, possa incidere?

«Intanto grazie per aver citato una canzone/video a cui sono davvero molto legato. Spero che la canzone Web Simulator possa divertire facendoci porre l’attenzione su una problematica vera, reale, e molto attuale. Poi serve altro, ovviamente, per imparare davvero ad adottare un uso consapevole a sano del web, e a mio parere, questo andrebbe fatto a scuola».

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In conclusione, credo si possano fare due considerazioni.

La prima. Il congiuntivo, in genere malmenato o ignorato soprattutto nella dimensione orale della lingua (e in quella interattiva e digitata), gode invece di buona salute nello scritto, benché si debba sempre mantener vivo l’esercizio e l’utilizzo corretto, non solo sui banchi di scuola.

La seconda. Lorenzo Baglioni ha avuto il grande merito, attraverso la sua canzone (semplice nella melodia ma attenta ed efficace nell’aspetto didascalico), di diffondere una nuova e sana attenzione per la lingua.

Comunque sia, la kermesse sanremese di quest’anno ha anche regalato – in modo brillante e divertente – una ventata di inventività linguistica, capace di conciliare le regole grammaticali (il Sistema) con la lingua viva del parlato (il Testo) e di dare dignità all’abbassamento del tono retorico e alla preferenza per un lessico aderente alla quotidianità, seguendo e approfondendo un percorso tracciato già con Modugno nei primi anni Sessanta.

In altre parole, alcuni brani sanremesi hanno giocato a scardinare la vecchia tradizione linguistica festivaliera che, come spiegò tra i primi e meglio di altri Lorenzo Coveri, linguista dell’ateneo genovese, a lungo è stata imprigionata negli stilemi (e negli stereotipi) del linguaggio poetico più tradizionale – quello delle assonanze, dei troncamenti o delle rime baciate –: oggi, invece, con canzoni come Il congiuntivo di Lorenzo Baglioni, Il mago di Mudimbi e Vita in vacanza del gruppo Lo Stato Sociale, vero e proprio regesto pop di lessico d’attualità (baby pensione, poliziotto di quartiere, rottamatore, esodato, blogger, influencer, motivatore, cuoco stellato, analista di calcio mercato, bioagricoltore, risorsa umana), si respira aria nuova.

Bibliografia essenziale

  1. G. Patota-V. Della Valle, Viva il congiuntivo!, Sperling&Kupfer, 2009

  2. G. Antonelli, Comunque anche Leopardi diceva le parolacce, Mondadori, 2014

  3. C. De Santis-M.Prandi, Le regole e le scelte. Manuale di linguistica e grammatica italiana, Utet, 2010

  4. Lorenzo Coveri, Parole in musica, Feltrinelli, 2002