29 novembre 2018

Lingue sotto il tetto d'Italia. Le minoranze alloglotte da Bolzano a Carloforte - 8. Il sardo

 

La Sardegna è dopo la Sicilia la più vasta isola dello stato italiano, ma con una popolazione di poco più di 1.600.000 abitanti rappresenta una delle regioni meno densamente abitate. Popolata nell’antichità dalle genti che vi diedero vita alla cultura nuragica, fu colonizzata lungo la costa sud-occidentale anche da gruppi fenici e cartaginesi, che vi stabilirono importanti insediamenti.

La conquista romana (238 a.C.), sovrappose al sostrato paleosardo l’elemento linguistico latino anche nelle zone più interne, dove esso si mantenne durante l’effimera occupazione vandalica (456-534) e la riconquista bizantina, che diede ai Sardi le strutture politiche e giuridiche sulle quali si basò la precoce indipendenza dell’isola: nell’alto medioevo (IX sec.) troviamo la Sardegna organizzata in Giudicati indipendenti. L’indipendenza sarda, tuttavia, venne ben presto messa in discussione dall’intervento di Pisani e Genovesi, che divisero la Sardegna in sfere d’influenza.

 

Dalla dominazione catalano-aragonese alla Grande guerra

 

L’intervento dei Catalano-aragonesi, iniziato nel 1323, rappresentò l’avvio di una nuova fase di dominazione straniera. Consolidata la loro presenza, gli Aragonesi dotarono l’isola di un governo vicereale e di un parlamento (Istamentos). Le leggi fondamentali dell’isola (Cartas de Logu emesse dalla giudicessa Eleonora d’Arborea nel 1395) vennero conservate, ma all’uso ufficiale del sardo venne preferito quello del catalano. Nel 1479, con l’unione delle corone di Aragona e di Castiglia, la Sardegna passò sotto il dominio spagnolo, e la lingua castigliana si sostituì progressivamente al catalano negli usi pubblici. L’isola passò poi all’Austria (1713) e nel 1718 ai Savoia, con la proclamazione del Regno di Sardegna. Il governo di Torino, pur attuando alcune riforme, inaugurò nell’isola una politica di pressione fiscale e di sfruttamento delle risorse economiche, affermando al contempo (1764) l’uso dell’italiano come lingua ufficiale. Con l’Ottocento i Savoia continuarono la loro politica di sfruttamento delle risorse della Sardegna: tra il 1847 e il 1861, anno della proclamazione del Regno d’Italia, la Sardegna perse la residua autonomia e piombò in una crisi economica e sociale destinata a durare fino alla fine della Prima guerra mondiale.

 

L’autonomismo

 

L’autonomismo sardo nacque immediatamente dopo il conflitto come espressione dei movimento dei reduci di guerra che avevano viste disattese le promesse di una più equa distribuzione della terra. Agli inizi tuttavia il sardismo non ebbe precisi caratteri di rivendicazione etnica, anche perché la lingua e la cultura sarda erano percepiti come simboli del sottosviluppo della regione: gli stessi usi scritti, malgrado i tentativi di eruditi sette e ottocenteschi come M. Madau e G. Spano di dotare il sardo di una koinè letteraria rinnovata, non si erano ancora sollevati da un livello vernacolare. Lo statuto del 1948, che concedeva alcune prerogative alla regione, fu però una risposta inadeguata ai gravi problemi economici, sociali e culturali della Sardegna: nel dopoguerra così, con la crescita della coscienza autonomista, anche i temi del riconoscimento della specificità linguistica e culturale della Sardegna hanno cominciato a entrare nei programmi dei partiti presenti sull’isola, anche in seguito alle sollecitazioni provenienti, soprattutto a partire dagli anni Sessanta, da nuovi movimenti a carattere indipendentista e rivoluzionario.

 

L’originalità linguistica dell’insieme sardo

 

Il sardo rappresenta un insieme dialettale fortemente originale nel contesto delle varietà neolatine e nettamente differenziato rispetto alla tipologia italoromanza, e la sua originalità come gruppo a sé stante nell’ambito romanzo è fuori discussione. Tra le caratteristiche salienti del sardo, tenendo in considerazione soprattutto le tipologie più arcaiche e specifiche, vanno ricordati il sistema a cinque vocali originate dall’annullamento della distinzione tra lunghe e brevi in latino; la conservazione del suono velare di c e g davanti a e ed i (chentu ‘cento’, chimbe ‘cinque’, ghelare ‘gelare’); la conservazione dei nessi cl-, pl-, gl-, bl-e fl- (per lo più nelle forme kr-, pr- ecc: kramare ‘chiamare’, krae ‘chiave’, pranghere ‘piangere’); il passaggio di qu- a b- (battoro ‘quattro’); la forma degli articoli derivati da ipsum (su, sa, sos, sas); l’uso del plurale in -s (muros, feminas, omines); la presenza nel lessico di voci specifiche spesso corrispondenti a parole latine che non continuano in italiano (domo ‘casa’, chitto ‘presto’, crai ‘domani’ ecc.).

I dialetti sardi rappresentano dunque una varietà caratterizzata da tipologie arcaiche, il cui mantenimento fu favorito dalle condizioni di insularità del territorio, anche se questa caratteristica appare controbilanciata da una notevole dinamica di fattori evolutivi interni e dall’apporto di elementi, di natura prevalentemente lessicale, da parte delle lingue di prestigio (italiano, genovese, catalano, castigliano ecc.) che si succedettero sull’isola durante le diverse dominazioni da essa subite.

 

Le principali aree dialettali

 

Un aspetto rilevante della realtà linguistica sarda è dato poi dalla frammentazione dialettale, che consente di individuare alcune aree principali (logudorese e nuorese, più arcaiche, campidanese caratterizzata da fenomeni di evoluzione talora convergenti con quelli che caratterizzano alcune varietà italiane meridionali), all’interno delle quali si riscontrano ulteriori elementi di differenziazione corrispondenti alla tradizionale frammentazione amministrativa del territorio isolano. In termini strettamente linguistici il sardo non si configura quindi come una lingua minoritaria bensì come un gruppo di parlate estranee al sistema dei dialetti italiani ma tradizionalmente privo di una lingua-tetto di riferimento diversa dall’italiano letterario. Il continuatore più diretto del volgare sardo illustre che ebbe vitalità e funzioni di prestigio in epoca medievale viene identificato col tipo logudorese, che ha goduto in passato di una certa circolazione come lingua letteraria anche al di fuori dell’area in cui viene tradizionalmente parlato, ma che oggi non viene percepito, soprattutto nell’area meridionale di dialetto campidanese, come rappresentativo della specificità complessiva della sardofonia.

Quanto alla vitalità nell’uso, una indagine sociolinguistica ha accertato nel 2007 che se nel quadro del plurilinguismo sardo le diverse lingue minoritarie (non solo il sardo quindi, ma anche le varietà alloglotte) sono parlate nell’insieme dal 68,4 % della popolazione e comprese da un altro 29%, le competenze attiva e passiva passano rispettivamente al 76 e al 21,9% per l’area del logudorese (con punte del 94% di competenza attiva nelle aree interne del Logudoro nord-occidentale) e al 68,9 e al 27,7% per l’area del campidanese, ma che tra i bambini dai 6 ai 14 anni solo il 42,9% parla le varietà minoritarie e un altro 36,4% è in grado di comprenderle.

 

Diglossia, dilemmi e vitalità culturale

 

L’italiano sta dunque guadagnando ulteriormente terreno rispetto a varietà tradizionali peraltro ancora vitali in molte aree, e sul rapporto diglossico tra italiano e sardo, anche alla luce delle statistiche, si può tuttora sottoscrivere la valutazione di Tullio Telmon (1992), per il quale sull’isola «[…] l’italiano continua a giocare un ruolo di grande importanza, non soltanto in quanto lingua dello stato, ma anche per l’atteggiamento fortemente utilitaristico che i sardi hanno assunto nei suoi confronti. […] Malgrado gli sforzi di numerosi intellettuali di estendere il sardo a domini ed a funzioni generalmente di competenza del solo italiano, la generalità della popolazione continua a distinguere diglossicamente in modo netto i campi di applicazione dei due codici, confinando il sardo alla comunicazione quotidiana ed affidando all’italiano il compito di assolvere alla comunicazione formale».

Ciò pone evidenti dilemmi in merito alle iniziative, a varie riprese promosse anche dall’amministrazione regionale, di avviare la standardizzazione di una limba sarda unificada (lingua sarda unificata) o comuna (comune) sulla quale costruire l’ipotesi di un bilinguismo istituzionale con l’italiano e un più deciso inserimento nell’uso didattico: se il 57,7% degli intervistati si è dichiarato in linea di principio favorevole all’adozione del sardo con prerogative istituzionali, il dilemma che si pone tra i cultori e gli studiosi attenti ai problemi di glottopolitica e di ecologia linguistica è proprio tra la proposta insistente di un modello di sardo comune (ipotesi cara soprattutto alla militanza culturale), e la presa d’atto che la varietà dialettale, nella quale si riconosce la maggioranza dei parlanti, rappresenta l’orizzonte idiomatico che i Sardi stessi vorrebbero vedere tutelato e valorizzato. Alla luce di queste difficoltà molti progetti di promozione e valorizzazione del patrimonio linguistico isolano sono spesso rimasti lettera morta, malgrado le iniziative promosse in particolare dalla Regione Autonoma, che affianca all’inquadramento del sardo fra le varietà tutelate in base alla L.N. 482/1999 un’importante produzione legislativa.

I problemi inerenti alla gestione istituzionale della specificità linguistica sarda non hanno del resto impedito alla cultura minoritaria di trovare in questi ultimi decenni forme di espressione notevoli e vistose, dall’incremento della produzione letteraria alla valorizzazione del vastissimo patrimonio folkloristico di canti e danze, dall’acquisizione di spazi solitamente preclusi alle espressioni minoritarie (pubblicistica, mezzi di comunicazione, didattica) al coinvolgimento e alla sensibilizzazione in tema di salvaguardia e promozione del patrimonio idiomatico regionale di settori significativi dell’opinione pubblica, senza dimenticare il livello raggiunto dagli studi scientifici sul sardo.

 

Le varietà sardocorse

 

L’orizzonte linguistico tradizionale non si esaurisce sull’isola coi dialetti appartenenti al sistema linguistico sardo. Oltre al catalano algherese e al ligure tabarchino, due varietà alle quali verrà dato adeguato spazio in altre puntate del nostro viaggio tra le alloglossie, in un’ampia area settentrionale i dialetti presentano caratteri di specificità che si debbono alla decisa affinità con quelli della Corsica meridionale e centro-occidentale: questa continuità attraverso le Bocche di Bonifacio si spiega essenzialmente col massiccio afflusso di Corsi in età tardo-medievale, verso ovest, in particolare, durante il periodo della supremazia politica di Genova sul Turritano; in Gallura questo ripopolamento continuò ancora fino al XVIII sec. determinando il costante regresso delle parlate logudoresi.

Nell’ambito delle varietà sardocorse occorre distinguere in primo luogo il sassarese, affine al dialetto della zona di Ajaccio e parlato, oltre che a Sassari e nel contado della Nurra, anche a Porto Torres, Sorso e Stintino, qui con un più forte influsso ligure. Il dialetto di Castelsardo e quello di Sedini segnano la transizione tra il sassarese e il gallurese, più vicino alla parlata corsa della regione di Sartene e diffuso oggi nelle varietà tempiese e aggese in tutta la regione storica della Gallura e nell’Anglona nord-orientale. Ha infine caratteri propri il dialetto dell’isola della Maddalena, popolata soprattutto dal sec. XVIII da abitanti corsi dell’entroterra rurale di Bonifacio, che vi importarono il loro dialetto corso meridionale fortemente interferito con la varietà ligure del capoluogo, e ulteriormente influenzato dal genovese nel corso dell’Ottocento. 

I dialetti sardocorsi sono parlati complessivamente da circa 200.000 persone, pari al 12% della popolazione complessiva della Sardegna, e interessano con Sassari il secondo centro urbano dell’isola. Un problema posto dalla vitalità di queste parlate è quello del riconoscimento della loro specificità rispetto al sardo, ammesso in linea di principio dalla legislazione regionale, mentre non è chiaro se la L.N. 482/1999, parlando del sardo, intenda escludere queste varietà dai benefici previsti, o considerarle arbitrariamente come parte di una «lingua sarda» diffusa su tutta l’isola tranne che ad Alghero e presso le comunità tabarchine. Da parte loro, le amministrazioni locali hanno spesso optato per un’adesione «tecnica» alla specificità linguistica sarda, anche se non mancano iniziative volte a promuovere il riconoscimento di una originale identità sardocorsa, basata, oltre che sulle peculiarità linguistiche, sul senso di autonomia della cultura sassarese e soprattutto gallurese nel contesto isolano.

 

 

 

Bibliografia essenziale

E. Blasco Ferrer, Storia linguistica della Sardegna, Tübingen 1984; E. Blasco Ferrer, P. Koch, D. Marzo (cur.), Manuale di linguistica sarda, Tübingen 2017; A. Dettori, La Sardegna, in I dialetti italiani. Storia struttura uso a cura di M. Cortelazzo – C. Marcato – N. De Blasi – G.P. Clivio,  Torino 2002, pp. 898-958; A. Oppo (cur.) Le lingue dei sardi. Una ricerca sociolinguistica, Cagliari 2007; Regione Autonoma della Sardegna, Limba sarda comuna. Norme linguistiche di riferimento a carattere sperimentale per la lingua scritta dell’Amministrazione regionale, Cagliari s.a.; P. Soddu (cur.), Le dimensioni dell’autonomismo e l’esperienza sarda, Sassari 1994; L. Sole, Lingua e cultura in Sardegna. La situazione sociolinguistica, Milano 1988; T. Telmon, Le minoranze linguistiche in Italia, Alessandria 1992; Aspetti sociolinguistici delle eteroglossie in Italia, in Storia della lingua italiana. Vol. III, Le altre lingue a cura di L. Serianni e P. Trifone, Torino 1994, pp. 923-950; F. Toso, Le minoranze linguistiche in Italia, Bologna 2008; La Sardegna che non parla sardo, Cagliari 2012; M.L. Wagner, La lingua sarda, Nuoro 1997 (2° ed.).

 

*Università degli studi di Sassari

 

La prima puntata: Il bel paese là dove 'l “sì” suona. E anche l’“ô”, lo “ja”, lo “scì”… (Fiorenzo Toso, curatore del ciclo)

La seconda puntata: Il francese e il francoprovenzale (Matteo Rivoira)

La terza puntata: Alto Adige – Südtirol (Sudtirolo) (Marco Caria)

La quarta puntata: Lo sloveno (Franco Finco)

La quinta puntata: L’occitano cisalpino (Matteo Rivoira)

La sesta puntata: Il friulano (Franco Finco)

La settima puntata: I Ladini delle Dolomiti (Marco Forni)

 

Immagine: Nooraghe [CC BY-SA 4.0 (https://creativecommons.org/licenses/by-sa/4.0)], from Wikimedia Commons

 

 


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