Se per i tedeschi continuavo a essere uno straniero; per gli altri stranieri, un italiano; per gli italiani, un meridionale o terrone; per i meridionali, un calabrese; per i calabresi, un albanese o “ghiegghiu”, come loro chiamano gli arbëreshë; per gli arbëreshë, un germanese o un trentino; per i germanesi e i trentini, uno sradicato, io per me ero semplicemente io, una sintesi di tutte quelle definizioni, una persona che viveva in più culture e con più lingue, per nulla sradicato, anzi con più radici, anche se le più giovani non erano ancora affondate nel terreno ma volanti nell’aria.

Carmine Abate

Concludo questo ciclo riprendendo alcuni dei temi da cui sono partito, anche quello dei confini e muri divisori che con sempre maggiore frequenza si erigono in tutto il mondo.

Lingua madre, cittadinanza, ius soli

Qualche mese fa è balzato alle cronache un episodio sconcertante: una donna albanese di 41 anni, Jurida K., da oltre vent’anni a Roma, sposata con un italiano e madre di due figli, si è vista negare la cittadinanza (richiesta nell’aprile del 2017 e motivata dagli anni di residenza in Italia, non dal matrimonio con un italiano) perché «non perfettamente integrata»: a causa di un tamponamento avvenuto nel 2005 (e una multa di 600 euro per lesioni colpose involontarie) le scrivono che «non ha raggiunto un grado sufficiente di integrazione nella comunità nazionale, desumibile in primis dalle regole di civile convivenza, che si evince anzitutto dalla rigorosa e sicura osservanza della legge penale vigente nell’ordinamento giuridico italiano». Da non crederci: si invoca il rispetto della legge penale per un incidente involontario di sedici anni prima!

Per non dire poi che siamo in colpevole ritardo rispetto ad altri stati europei sul diritto alla cittadinanza per ius soli, cioè l’acquisizione della cittadinanza di un Paese come conseguenza del fatto giuridico di essere nati sul suo territorio, indipendentemente dalla cittadinanza dei genitori: se ne parla da vent’anni, ma lo ius soli in Italia non vale ancora, nonostante siano state depositate ben tre proposte di legge.

A proposito di un altro episodio, del marzo 2019, quello del sequestro dell’autobus della scuola media Vailati di Crema con a bordo 51 studenti, scriveva Concita de Gregorio ascoltando le telefonate dei bambini minacciati ai genitori dal bus:

La lingua della paura dice chi sei. È lì che abita la nostra identità profonda. È quella lingua, che viene alla coscienza senza controllo da un luogo remoto, a definire chi siamo. … Hanno paura in Italiano. Sono bambini italiani … Hanno accento lombardo. … È la loro lingua della paura. Delle risate, dei giochi, dei sogni. È il loro posto. La cittadinanza è il nostro posto. Deve coincidere con la lingua in cui sogniamo, diciamo i nomi dei mesi e facciamo le somme, ci arrabbiamo e abbiamo paura. … E non c’è nessuna ragione — non ne vedo una, davvero — per dire Rami o Adam sia meno italiano di un altro bimbo nato nello stesso ospedale lo stesso giorno nelle mani dello stesso medico, cresciuto nello stesso quartiere frequentando le stesse scuole, giocando nella stessa squadra.

Verrebbe da dire che la vera casa non è la patria, ma la lingua, quella in cui si nasce, si pensa, luogo sicuro in cui si trova la propria identità, ci si sente protetti, a casa appunto.

Lo sapeva bene Ágota Kristóf, la scrittrice ungherese, fuggita nel 1956 con marito e figlia verso l’Austria per poi stabilirsi in Svizzera, che nel bel racconto autobiografico L’analfabeta, molto attuale nell’Europa di oggi, narra del suo esilio dalla lingua materna e del suo apprendistato tenace con la lingua altra, straniera, il francese, e del lavoro ossessivo e ostinato con i dizionari e le grammatiche che la fanno approdare a un’altra lingua, che le consentono di riemergere, di riacquistare un rapporto pieno con il mondo intorno e quindi di sentirsi a casa. Imparare la lingua del posto in cui abita le sembra l’unica condizione per integrarsi e per diventare cittadina d’Europa: la «sfida di un’analfabeta» che per vivere a pieno e poter scrivere, re-impara a leggere e a scrivere.

E con Ágota Kristóf siamo spinti al tema dell’odissea di chi lascia terra e lingua e si trova straniero, di coloro che diventano sprachlos, balbuzienti, incapaci di esprimere ciò che sono; non è qui la sede per soffermarmi sui molti nomi di chi è costretto a lasciare la propria terra (richiedente asilo, migrante, rifugiato, immigrato, profugo, extracomunitario ecc.; cfr. l’introduzione di Pietrini 2020), ma basti dire che quando la lingua manca, o vacilla, anche il mondo intorno diventa instabile, barcolla, talvolta crolla del tutto.

Diritti negati e nuovi muri

In tema di diritti si resta colpiti dal fatto che la casa comune europea si sta trasformando in un levatoio di muri, sempre più incline al cosiddetto ‘modello Orban’: dal 2015 nove stati hanno iniziato a erigere barriere sulle proprie frontiere, da ultimi Polonia e Lituania che hanno costruito recinzioni in acciaio e filo spinato. Il Presidente Mattarella, durante l’inaugurazione dell’anno accademico a Siena lo scorso 15 novembre, ha così commentato il dramma dei migranti: «È sconcertante quanto avviene ai confini dell’UE, c’è un divario con i principi proclamati (…) Sorprendente il divario tra i grandi principi proclamati e non tenere conto della fame e del freddo a cui sono esposti esseri umani ai confini dell’Unione».

Lo spazio europeo insomma più che terra di diritti sta diventando una fortezza che esclude.

La Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea (nota anche come Carta di Nizza) dichiara che la dignità umana è inviolabile (art.1), che ogni persona ha diritto alla vita (art. 2), che ogni persona ha diritto alla propria integrità fisica e psichica (art. 3), ecc.:  ma è ancora una Carta valida, guardando cosa succede ai suoi confini? Dove per impedire a chiunque l’attraversamento della frontiera, il premier polacco Morawiecki ha annunciato la costruzione di un muro già nel mese di dicembre. E di quali principi umanitari si tratta se poi si lasciano morire di fame e di freddo le persone accampate alla frontiera? Che senso ha riconoscere il diritto di asilo (art. 18) secondo la Convenzione di Ginevra del 1951, se poi si impedisce ai profughi di presentarsi alla frontiera per richiedere asilo?

Insomma una nuova cortina di ferro, con la differenza che il nemico è uno sparuto gruppo di uomini, donne e bambini, denutriti e infreddoliti, del tutto indifesi, che mentre cercano di attraversare la frontiera sono respinti a colpi di lacrimogeni e cannoni ad acqua.

E i diritti degli stranieri in Italia?

Ma torniamo in Italia. Ottenere la cittadinanza italiana è spesso una corsa a ostacoli tra norme rigide che scoraggiano chi italiano si sente già, che è nato qui, che parla, pensa, sogna e ha paura in italiano. Eppure la nostra è una società sempre più multiculturale, comprende già milioni di stranieri e circa un milione e mezzo di nuovi cittadini, cioè persone straniere alla nascita che sono poi diventate italiane (cfr. Strozza et al. 2021 con attenzione alle ultime generazioni e percorsi di accesso alla cittadinanza).

Perciò a problemi di lunga data ancora in gran parte irrisolti, primo fra tutti la poco chiara, ambigua, talvolta pessima comunicazione pubblica e istituzionale con i cittadini (cfr. Lubello 2016), si è unita la necessità di dover comunicare, sperabilmente in modo chiaro, anche con i più di cinque milioni di cittadini stranieri residenti. Ripeto: in modo chiaro! E non come ha fatto il Miur che nel 2017,  in un testo rivolto a studenti stranieri interessati a studiare in Italia (Procedure per l’ingresso, il soggiorno e l’immatricolazione degli studenti stranieri/internazionali ai corsi di formazione superiore in Italia per l’anno accademico 2017-2018), scrive: adempimenti connessi con la sottoposizione a rilievi foto-dattiloscopici (per dire prelievo delle impronte digitali) oppure adozione di un provvedimento di rigetto dell’istanza (per dire rifiuto della domanda) (cfr. Nobili 2020: 160-163).

Ed esistono a scuola anche diseguaglianze e divari educativi tra studenti stranieri e autoctoni (non solo in Italia; si veda il recente volume di Camilla Borgna). Durante la pandemia si è visto come le pari opportunità siano ancora un ideale non realizzato, l’ambiente familiare incida ancora molto sull’apprendimento e sulla realizzazione e la scuola non sia in grado di mitigare e annullare i divari; se poi si è stranieri tutto diventa ancora più difficile (ed è bene ricordare che nelle scuole primarie italiane un alunno su dieci è di origine immigrata).

I nuovi apedeuti. Istruzione, cittadinanza e democrazia

Il tema della cittadinanza non riguarda solo gli stranieri: non basta essere cittadini solo sulla carta. Il tema complesso della cittadinanza si intreccia con alcuni problemi che le politiche per l’istruzione del nostro Paese continuano a sottovalutare o almeno a non saper affrontare in modo adeguato: uno di questi è l’analfabetismo funzionale della popolazione, cioè la condizione di chi avendo letto un testo non è in grado di riferirne correttamente i contenuti.

Chi non è in grado di capire testi di media difficoltà come può difendere i propri diritti e adempiere ai suoi doveri di cittadino? Ne deriva una sorta di cittadinanza  a metà, perché se il cittadino non capisce ciò che legge e che ascolta, non partecipa attivamente alla vita e alla gestione della polis, ne resta in parte o del tutto escluso.

Nel 2016 si è calcolato che in Italia il tasso di analfabetismo funzionale fosse del 47% (giusto per un confronto: in Messico del 43,2%, negli Stati Uniti del 20%, in Svizzera del 15,9%).

Ed è bene ribadire l’importanza cruciale della scuola che, a quanto pare, non riesce ancora a risolvere i problemi di lettura e scrittura di buona parte della popolazione scolarizzata (in possesso almeno del diploma superiore). I dati delle molte statistiche nazionali e internazionali dipingono un paese a rischio: l’Italia non è messa bene, il sud peggio del nord, il numero di laureati tra i più bassi, quello degli studenti fuori corso e degli abbandoni tra i più alti, in crescita preoccupante quello degli italiani laureati che lasciano il Paese; un paesaggio socio-culturale preoccupante, che avrebbe bisogno di riforme vere e serie per la scuola, l’università e la ricerca, di lungo respiro, di una scuola pubblica veramente rinnovata, di un sistema di conservazione e trasmissione di memorie e saperi – biblioteche, archivi, formazione di ricercatori e insegnanti –, di  finanziamenti adeguati, di ministri lungimiranti che abbiano esperienze lunghe e di successo comprovato sul campo, mentre l’improvvisazione e il ricorso a spot di propaganda e modaioli, come il potenziamento dell’inglese, la “buona scuola”, il liceo breve, l’alternanza scuola-lavoro, tanto per citare le bandiere di recenti (pseudo)riforme, sembrano corse ad ostacoli più che percorsi lineari capaci di assicurare il successo dell’apprendimento: il nodo centrale resta insomma irrisolto.

Il tema dell’analfabetismo di ritorno è del resto strettamente correlato a quello del naufragio del cittadino iperconnesso che è letteramente dominato e sopraffatto da una marea di informazioni, di notizie, spesso di fake news; problema che si collega a una disarmante e preoccupante svalutazione delle conoscenze, a un’epidemia dell’ignoranza, per dirla con Sabino Cassese. Anche in questo caso l’istruzione ha una responsabilità: «Si tratta di formare cittadini capaci di riconoscere la disinformazione e capire rapidamente a quali dibattiti vale la pena partecipare e a quali invece è bene sottrarsi perché manipolati o condotti in modo potenzialmente tossico e sterile» (Pietrandrea 2021: 127).

E se lo è chiesto chiaramente Cassese in un bel pamphlet recente (2021: 9): «Dobbiamo rassegnarci al trionfo degli apedeuti, come veniva chiamato nella Francia dell’illuminismo chi, non capace o non incline a seguire un corso severo di studi, congiura a screditare il sapere, così facendosi merito della propria ignoranza?». Va da sé che tale crisi «mina anche la democrazia che ha bisogno del rapporto esperti-cittadini … Uguaglianza davanti alla legge non vuol dire che i cittadini siano realmente uguali. Uguaglianza dei diritti non significa, in altre parole, uguaglianza dei talenti o delle conoscenze. Le élite, i competenti, sono un ingrediente critico essenziale della democrazia» (Cassese 2021: 12).

Per concludere. Solo l’istruzione ci può salvare

Una buona istruzione e diffusa in tutta la popolazione non è solo un compito fondamentale, ma dovrebbe essere sempre un obiettivo centrale, prioritario di qualunque governo. A partire dal raggiungimento da parte di ogni cittadino di una salda padronanza dell’italiano che consenta a tutti di capire ciò che si legge e si ascolta, di non farsi abbindolare e raggirare, di poter argomentare, difendere i propri diritti, di essere cioè cittadini veri, nel senso pieno della parola, attivi, responsabili.

Così Tomaso Montanari: «Non è dunque solo attuale, ma è drammaticamente urgente, intendere la cultura come ciò che permette al cittadino di esercitare pienamente ed efficacemente la propria sovranità. La cultura, il cui sviluppo la Repubblica è tenuta a promuovere (art. 9 Costituzione), è dunque il più potente strumento per favorire il pieno sviluppo della persona umana, costruire l’eguaglianza sostanziale, permettere la partecipazione effettiva di tutti i cittadini all’organizzazione politica, sociale ed economica del Paese (art. 3), sconfiggere l’indifferenza verso le donne e gli uomini che migrano attraverso il nostro Paese».

Per tornare da dove sono partito, vorrei chiudere sottolineando lo stretto legame tra cittadinanza vera, piena e istruzione. La scuola, la formazione, la ricerca, unici veri motori di sviluppo e di progresso, dovrebbero essere finalmente al centro, priorità assoluta di un serio programma di governo, avendo il nostro Paese da molto tempo disinvestito nelle spese per l’istruzione e per la ricerca. Anche in tempi di crisi la risposta è sempre lì.

Ribadisco ciò che scrivevo su questo portale poco più di un anno fa (Lubello 2020) e che ora, con i fondi del PNRR in arrivo, è ancora più cogente:

Insomma non tra uno o due anni ma ora si parrà la nostra nobilitate. Se e come si discuterà e si investirà in scuola, università e ricerca: il nodo è sempre quello, ed è un nodo politico. Non è troppo tardi. Non ancora. Il futuro è ora.

Riferimenti bibliografici

Abate 2010 = Carmine A., Vivere per addizione e altri viaggi, Milano, Mondadori

Borgna 2021 = Camilla B., Studiare da straniero. Immigrazione e diseguaglianze nei sistemi scolastici europei, Bologna, il Mulino.

Cassese 202 = Sabino C., Intellettuali, Bologna, il Mulino.

De Gregorio 2019 = Concita D. G., La cittadinanza, l’identità e la lingua dei diritti, La Repubblica, 23 marzo 2019,

Kristof 2005 = Agota K, L’analfabeta. Racconto autobiografico, Bellinzona, Casagrande (ed. originale francese, 2004)

Lubello 2016 = Sergio Lubello, Usi pubblici e istituzionali dell’italiano, in S. Lubello (a cura di), Manuale di linguistica italiana, Berlin, De Gruyter, pp. 417-441.

Lubello 2020 = Sergio L., A distanza siderale. Una didattica per sottrazione: università,  https://www.treccani.it/magazine/lingua_italiana/articoli/scritto_e_parlato/Distanza_universita.html.

Montanari 2017 = Tomaso M., Cassandra muta. Intellettuali e potere nell’Italia senza verità, Torino, Edizioni Gruppo Abele.

Nobili 2020 = Claudio N., Lo scritto tra (in)competenze metalinguistiche in italiano LS e L1: contesti diversi, problemi comuni, in F. Rosi, S. Lubello (a cura di), L’italiano L2 e l’internazionalizzazion delle università, in «Italiano LinguaDue», 2020/1, pp. 159-172.

Pietrandrea 2021= Paola P., Comunicazione, dibattito pubblico, social media. Come orientarsi con la linguistica, Roma, Carocci.

Pietrini 2020 = Daniela P. (a cura di), Il discorso sulle migrazioni / Der Migrationsdiskurs. Approcci linguistici comparativi e interdisciplinari / Linguistische, vergleichende und interdisziplinaere Perspektiven, Berlin, Peter Lang.

Strozza 2021 = Salvatore S., Cinzia Conti, Enrico Tucci, Nuovi cittadini. Diventare italiani nell’era della globalizzazione, Bologna, il Mulino.

Il diritto da vicino: parole (giuridiche) per un anno è un ciclo curato e scritto da Sergio Lubello. Le puntate precedenti:

Immagine: Preambolo della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea

Crediti immagine: Trounce, CC BY 3.0 https://creativecommons.org/licenses/by/3.0, via Wikimedia Commons

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