29 aprile 2021

Fiat lex! Di latino, latinismi e latinorum

Il diritto da vicino: parole (giuridiche) per un anno

«Si piglia gioco di me?» interruppe il giovine. «Che vuol ch’io faccia del suo latinorum

«Dunque, se non sapete le cose, abbiate pazienza, e rimettetevi a chi le sa.»

        Alessandro Manzoni

 

 

Ipse dixit. Dacci oggi il nostro latino quotidiano

 

È noto quanto latino sia presente nell’italiano, non solo quello per via diretta, patrimoniale, ma anche quello in forma cólta (i numerosi latinismi, anche adattati). Proprio alcuni giorni fa ho voluto fare un sondaggio rapido ascoltando un telegiornale di 15 minuti su Rai1 e ho annotato: interruzione ad horas del beneficio, incarico ad interim, de facto, iter parlamentare, a priori, urbi et orbi, bonus, una tantum.

L’italiano giuridico ne è particolarmente ricco perché il latino lo ha plasmato fin dalle origini, quando le due lingue furono quasi in competizione per difendere o conquistare terreno; vicenda linguistica egregiamente raccontata da Pietro Fiorelli (2008: 28; in un paragrafo dal titolo eloquente, Un volgare abbarbicato al latino):

 

Là dove ha luogo, l’espansione del volgare è poi graduata, sfumata: le due lingue procedono di pari passo, comunicando molte cose l’una all’altra, contaminandosi, pur di mantenere costante una corrispondenza di concetti espressa fin dove si può con semplici variazioni morfologiche, altrimenti con vocaboli di diverse radici di cui si tecnicizza l’equivalenza.

 

Ovviamente c’erano anche termini identici nelle due lingue ma che il latino delle fonti del diritto romano non conosceva affatto, per es. capitano e capitaneus (originariamente aggettivo derivato da caput) ‘uno dei rettori; chi è preposto al governo di una città, di un Comune, o chi al suo interno ufficialmente riveste particolari cariche civili e/o militari’; di questo significato giuridico le prime attestazioni sono toscane, in particolare senese la prima (del 1253, nella Lettera di Arrigo Accattapane da Perugia a Ruggieri da Bagnuolo in Siena; cfr. TLIO, s.v.):

 

voi, mesere Rugieri de Bangnuolo, p(er) la graçia di Dio (e) di d(omi)no re Currado capitano del cumune di Siena...

 

Alcuni latinismi del linguaggio giuridico sono ben conosciuti: legge ad personam, vivere more uxorio, o familiari per chi ha una minima cultura giuridica: il de cuius (il defunto nella successione per causa di morte); ex tunc (‘da allora’, indica la retroattività nella produzione di effetti giuridici); vacatio legis (il periodo di tempo che intercorre tra la pubblicazione di una legge sulla Gazzetta Ufficiale e la sua effettiva entrata in vigore). Molti di essi hanno travalicato l’ambito settoriale giuridico in cui o sono nati o in cui venivano perlopiù usati, diventando di uso comune: de facto, extra legem, stricto sensu e lato sensu, super partes, statu(s) quo ecc.

 

Quante cose tra gli omissis

 

Soffermiamoci su un latinismo ben noto nelle pratiche amministrative, l’omissis, espressione e sostantivo maschile invariabile, abbreviazione della formula ceteris rebus omissis ‘omesse le altre cose’, che, nella riproduzione di un documento legale o per scopo legale, serve a indicare che vengono omesse parole o nomi propri o intere frasi che per motivi diversi si ritiene di non dover riprodurre. L’omissis è molto frequente negli atti notarili nel caso di informazioni non ritenute indispensabili o per rispetto della privacy; lo stesso succede in atti normativi in cui o per ragioni di brevità o per evidenziare subito la norma di cui si tratta si omettono parti di testo. Negli atti giudiziari l’omissis serve a proteggere la privacy o, nel caso di indagini aperte e in corso, il segreto istruttorio. Il termine, documentato dal secondo Ottocento (è registrato nel dizionario di Tommaseo-Bellini), si diffonde capillarmente a partire dal secondo Novecento grazie alla stampa periodica, in particolare nella cronaca riguardante casi giudiziari, inchieste e indagini della magistratura (in uno stralcio tratto da Panorama del 27 settembre 1977, p. 40, si legge: «Molti loro documenti sono ancora segreti, altri arrivano ai giudici mutilati, con gli ormai famosi ‘omissis’»).

Negli ultimi decenni gli omissis sono diventati nel linguaggio politico-giornalistico sinonimo di segreti che si vogliono lasciare tali (un documento pieno di omissis) o hanno il significato più generale di ‘parti tralasciate; cose non dette’ (confessione con vari omissis): il termine è insomma uscito dall’ambito giuridico-amministrativo per indicare un tema, un argomento importante che è taciuto o ignorato deliberatamente in uno scritto o in un discorso.

Dal latinismo omissis è stato derivato – sembrerebbe negli anni ’90 del ’900 – un tecnicismo di ambito giudiziario e amministrativo, il verbo omissare ‘coprire con un provvedimento di omissis’ (documentato per la prima volta nella «Stampa» del 23 aprile 1994; cfr. Lubello 2002).

 

Il lato nascosto del diritto

 

I latinismi di ambito giuridico si annidano anche in forme e strutture ormai opache per i più: si pensi alla preposizione e congiunzione dell’italiano nonostante, che nasce propriamente come formula del linguaggio giuridico (l’ablativo assoluto non obstante) e poi si grammaticalizza già nell’italiano antico diventando il connettivo concessivo che conosciamo ‘benché, malgrado’ (cfr. Mastrantonio, 2019).

Una vicenda diversa è quella del latinismo postilla, dalla locuzione del latino medievale post illa ‘dopo quelle (parole)’, che indicava una annotazione a margine della Bibbia, da leggere dopo il testo sacro, e che poi ha assunto anche un significato giuridico, quello di ‘aggiunta a un atto (di regola pubblico) diretta a integrare, modificare, sostituire dichiarazioni contenute nell’atto stesso’.

È ancora incerto il caso dell’attestazione dantesca nel Paradiso (sarebbe la prima) (Par. 3.13 tornan d'i nostri visi le postille) col significato di ‘immagine riflessa’, che può avere a che fare, come molti ritengono, con il latino medievale postilla ‘nota apposta a un testo’ oppure, secondo qualche interprete, con il diminutivo di posta ‘impronta, traccia’ (cfr. la nota di Chiara Murru s.v. nel Vocabolario dantesco).

La prima attestazione sicura di postilla come ‘breve annotazione marginale aggiunta a un testo’ è più tarda, del finire del XV secolo, nei Quatro Evangelii di Jacopo Gradenigo (cfr. TLIO, s.v.):

 

Rivolto il libro, il trovò in quel postilla / ne la qual se legeva et era scripto: / "Il Spirto del Segnor sopra me stilla...

 

mentre è di poco precedente l’unica attestazione (del corpus TLIO; presente però nel latino di Salimbene, 1281-1288) del verbo postillare ‘fare postille’, nella Cronaca fiorentina di Marchionne del 1378-85 (trovò una lettera postillata e corretta).

 

Che busillis il latinorum!

 

Riprendiamo dai Promessi Sposi, da cui è tratta la citazione in epigrafe, il passo in cui si trova il latinorum, forma scherzosa non attestata prima e introdotta nell’edizione del romanzo del 1827, e indicante il latino simbolo dell’imposizione e dell’imbroglio e quindi l’insofferenza e la rivolta degli umili contro la formulazione della legge in una lingua che allontana ed esclude:

 

«Error, conditio, votum, cognatio, crimen, Cultus disparitas, vis, ordo, ligamen, honestas, Si sis affinis,...» cominciava don Abbondio, contando sulla punta delle dita. «Si piglia gioco di me?» interruppe il giovine. «Che vuol ch’io faccia del suo latinorum

«Dunque, se non sapete le cose, abbiate pazienza, e rimettetevi a chi le sa.»

«Orsù!...»

 

Come glossa Teresa Poggi Salani nel ricchissimo commento al romanzo (Manzoni 2013: 62): «dopo l’oscurità dei termini tecnici, ecco ora senz’altro il latino, simbolo supremo di una superiorità culturale. L’elencazione è in esametri, come si leggeva nel Sacramentale Ambrosianum degli Acta Ecclesiae Mediolanensis di s. Carlo Borromeo».

Grazie al popolarissimo brano manzoniano l’espressione è diventata emblematica di un uso mistificatorio della cultura come strumento per ingannare e prevaricare i semplici. E si può fare un salto indietro di qualche secolo con il saggio famoso di Carlo Ginzburg, Il formaggio e i vermi, storia del mugnaio friulano del Cinquecento, Domenico Scardella detto Menocchio, processato e giustiziato per eresia dall’Inquisizione nel Cinquecento, che si scagliò contro i giudici ecclesiastici accusando la Chiesa di utilizzare il latino come strumento di potere (1976: 12):

 

Io ho questa opinione, che il parlar latin sia un tradimento de’ poveri, perché nelle litte li pover’homini non sano quello si dice et sono strussiati, et se vogliono dir quatro parole bisogna haver un avocato.

 

Di fatto il latino veniva storpiato spesso sulla bocca della gente: è così che sarebbe nato il noto busillis ‘difficoltà, punto difficile’ (già dal ‘700 per DELI) che secondo una tradizione accreditata deriverebbe da una divisione erronea dell’evangelico In diebus illis come In die busillis, dove busillis è parola inesistente e quindi enigmatica.

Beccaria ha indagato con ampia esemplificazione nell’italiano e nei dialetti le storpiature del latino della Bibbia (2017: 11): «Molto è passato all’italiano familiare-colloquiale e ai dialetti dal curiale avvocatesco e notarile o dal latino dell’amministrazione giudiziaria. Spesso si tratta anche di lasciti della scuola. L’italiano ottocentesco ne era colmo». Tra i latinismi giuridici storpiati per parodia lo studioso ricorda da un sonetto del Belli (p. 12): ippisi-fatto per ipso facto, justa solito per juxta solito, ssan bruto per ex abrupto (e in altri sonetti belliani, dal latino dell’amministrazione: a mmodo propio per motu proprio, in freganti grimini per in flagrante crimine).

 

Un ultimo esempio fornito da Ricci (2020: 55, attinto da una ricerca di Manlio Cortelazzo) proveniente da una parlante dei colli padovani è l’espressione de so prano ‘di sua spontanea volontà’ riconducibile alla locuzione latina de plano che nel linguaggio del diritto significa ‘di comune accordo’ o, più genericamente, ‘facilmente’ con l’aggiunta del possessivo so.

 

Tornerò sul tema nella puntata dedicata al diritto dal basso, che è una storia affascinante di chiaroscuri e di conflitti tra norme e modelli linguistici, ancora tutta da scrivere.

 

 

Riferimenti bibliografici

Beccaria 2017 = Gian Luigi Beccaria, Sicuterat. Il latino di chi non sa: Bibbia e liturgia nell’italiano e nei dialetti, Milano, Garzanti, 2002 (si cita dalla nuova ed., 2017).

DELIN = M. Cortelazzo e P. Zolli, Il nuovo etimologico. DELI. Dizionario Etimologico della Lingua Italiana seconda edizione a cura di M. Cortelazzo e M.A. Cortelazzo, Bologna, Zanichelli, 1999.

Fiorelli 2008 = Piero Fiorelli, Intorno alle parole del diritto, Milano, Giuffrè.

GDLI = Grande Dizionario della Lingua Italiana, fondato da S. Battaglia e poi diretto da G. Barberi Squarotti, 21 voll., Torino, Utet, 1961-2002.

Ginzburg 1976 = Caro Ginzburg, Il formaggio e i vermi. Il cosmo di un mugnaio del ‘500, Torino, Einaudi.  

Lubello 2020 = Falsi sinonimi: omesso /omissato, in «Italiano Digitale», 2019, XIII, 2020/2 (aprile-giugno).

Manzoni 2013 = Alessandro Manzoni, I promessi sposi. Testo del 1840-1842, a cura di T. Poggi Salani, Milano, Centro Nazionale Studi Manzoniani, «Edizione nazionale ed europea delle opere di Alessandro Manzoni».

Mastrantonio 2019 = Davide Mastrantonio, Non obstante, da formula del linguaggio giuridico a connettivo concessivo, in “La Lingua Italiana”, xv, pp. 129-48.

Ricci 2020 = Alessio Ricci, Latinismi, Milano, RCS.

TLIO = Tesoro della Lingua Italiana delle Origini (consultabile al link: <http://tlio.ovi.cnr.it/TLIO/>).

Tommaseo-Bellini = Niccolò Tommaseo e Bernardo Bellini, B., Dizionario della lingua italiana, Torino, Utet, 1865-1879.

Vocabolario Dantesco

Vocabolario Treccani on line

 

Il diritto da vicino: parole (giuridiche) per un anno è un ciclo curato e scritto da Sergio Lubello. Le puntate precedenti:

1. Le parole giuste

2. Il diritto quotidiano

3. La parola agli specialisti: prove tecniche di diritto

 

Immagine: Renzo parla con don Abbondio

 

Crediti immagine: Francesco Gonin


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