“Se potessi avere mille lire al mese” è il ritornello di una celebre canzone scritta da Carlo Innocenzi e Alessandro Sopranzi, con cui Gilberto Mazzi esordì nel 1939. Nonostante il ritmo allegro a tempo di foxtrot con tocchi di swing, racconta la storia di un disoccupato tormentato dai debiti; non trova neppure i soldi per sposare “una mogliettina semplice e carina” come la ragazza cui si rivolge. Mille lire al mese, che è il titolo della canzone e di un film omonimo, venivano indicate come la soglia del benessere, nonostante non fosse affatto vero, dato che all’epoca quella somma aveva il potere d'acquisto di circa 900 euro del 2023. Il ritornello comunque aleggia ancora in Italia, oltre 80 anni dopo, sebbene quasi tutti, per questioni generazionali, ne ignorino le radici. Rappresenta non solo il sogno di uno stipendio decente, segnala pure il ruolo del denaro nell’immaginario collettivo e l’esempio di una chiave ricorrente nei messaggi con cui veniamo “bombardati”.
Una sfilza di S
Tanto è vero che pure nell’era del giornalismo digitale si insegna agli aspiranti cronisti che occorre puntare su una sfilza di S: sesso, sangue e, appunto, soldi. Qualcuno aggiunge, in subordine, sport, salute e sentimenti. Tuttavia è chiaro che – per sedurre il pubblico – bisogna occuparsi, prima di tutto, di scandali sessuali, delitti e quattrini. Se ci concentriamo sul ruolo dei soldi, e quindi dell’economia, nel discorso collettivo, si può constatare che il modo in cui se ne parla e se ne scrive ha permeato la lingua italiana: dagli innumerevoli sinonimi di soldi a livello nazionale (come, oltre a quelli già citati, grana, moneta, pecunia) a quelli regionali e dialettali (per esempio, palanche, schei, ghelli, piotte, picciuli, paparelle, dindi, bajûc, franchi, dané, béssi). C’è poi il passaggio, per nulla facile, dal lessico specialistico a quello pubblico. Fino ad arrivare alla terminologia “da social”, visto che la grande piazza virtuale del Web da tempo ci ha trasformati tutti, a seconda delle occasioni, pure in “economisti”, complice la sempre maggiore diffusione dell’ecommerce e di piattaforme digitali usate per gestire i risparmi, investire e pagare.
Il Medioevo dei banchieri e dei mercanti
L’italiano dell’economia è, non a caso, il titolo di un agile e recente (2023) libro scritto dal linguista Riccardo Gualdo per Carocci editore (collana “Bussole”). Vi si scopre prima di tutto che usiamo ancora ogni giorno molti termini coniati nel Medioevo dai grandi banchieri e mercanti italiani, quelli che hanno fatto affari in tutta Europa e nel bacino del Mediterraneo. Tanto che successivamente, a metà del XVIII secolo, l'italiano è stato, con le sue varianti, una delle lingue più importanti sul fronte economico. Nel volume si approda poi all'uso e all’abuso di valanghe di neologismi, per di più di derivazione angloamericana (con molti prestiti e calchi di acquisizione recente, in forte crescita nei primi decenni del Duemila), che accompagnano successi e débâcle dell’economia italiana e di quella globalizzata. Leggendo il libro viene in mente il ricorso smodato a espressioni in italingliano: tra le novità, la recente fantasiosa flat tax, proposta anche dal Governo Meloni in alternativa all’altrettanto sintetica espressione ricalcata tassa piatta, evidentemente considerata poco alla moda (pardon, poco trendy); Gualdo cita, tra gli altri, il termine cashback (alla lettera ‘soldi indietro’; ‘rimborso’), che è in bocca a tutti da qualche anno, grazie a quello “di Stato” avviato nel 2020 dal Governo Conte per incoraggiare l’uso della moneta elettronica.
Un difficile punto di pareggio
Nel libro, il professore, dopo la premessa intitolata “Un linguaggio elastico”, propone una breve storia dell’italiano dell’economia dal Medioevo al XXI secolo; un vocabolario (dai mercanti dell’Età di mezzo all’era della globalizzazione); un carrellata di immagini e metafore antiche e nuove; infine, gli aspetti sintattici e testuali, dai discorsi dei governatori di Bankitalia Fazio e Draghi ai manuali universitari e all’alta divulgazione, fino all’economia nei giornali, in tv e nei fumetti. L’esplorazione svolta dal linguista parte dalla premessa che, «rispetto agli altri linguaggi specialistici, il linguaggio dell’economia non ha la forte ricaduta sulla lingua comune del linguaggio giuridico e non ha la stessa ricchezza terminologica del linguaggio medico, ma è interessante per altri aspetti». Per esempio, è evidente «la difficoltà di trovare un “punto di pareggio” tra il modello della tradizione letteraria e l’inadeguatezza della lingua quotidiana per l’argomentazione tecnica, che affligge la scrittura italiana colta ancora nel pieno del terzo millennio».
Sconfinamenti
Nel frattempo, però, il linguaggio dell'economia e della finanza, soprattutto negli ultimi decenni, ha sconfinato. Come? Affacciandosi nel discorso quotidiano, attraverso i “vecchi” giornali di carta, ormai in declino, poi con radio e televisione, infine sulla Rete, che offre decine e decine di siti più o meno specializzati, con altrettante newsletter; mentre offrono sezioni con news finanziarie di tipo divulgativo i siti delle associazioni per la tutela dei consumatori e quelli destinati alla comparazione dei prezzi dei prodotti bancari, assicurativi e digitali. Come già osservava Tullio De Mauro, «le richieste di una larga divulgazione sono, per l’economia, imponenti e certamente superiori a quelle che investono altre scienze. Non c’è altro settore degli studi [...] che occupi e debba occupare ogni giorno, nei principali quotidiani di tutti i paesi sviluppati, almeno una o due pagine specifiche [...]. Né c’è settore scientifico che possa vantare negli stessi Paesi uno o più quotidiani ad esso interamente dedicati».
Specialisti e divulgatori
Questa evoluzione è stata positiva? Secondo Gualdo, certamente «il lessico economico è [...] diventato più familiare per un largo pubblico, ma si è allargato il divario tra la lingua degli specialisti – che di rado si affacciano nei media, a differenza di medici o di avvocati e magistrati – e quella dei divulgatori. Stampa e televisione (il caso dei media digitali è un po’ diverso) sono spesso lo specchio di una “finanziarizzazione” della lingua intesa come “applicazione di un unico linguaggio, di un’unica retorica, con i suoi stilemi, a tutte le situazioni comunicative: formali, informali, lavorative e pubbliche” (Egger, 2016, p. 46)». Purtroppo, non sempre sono «rispettati i codici di autoregolamentazione (per giornalisti, ndr) che suggeriscono come offrire a cittadini e cittadine un’informazione chiara, completa e indipendente».
Centralità senza alfabetizzazione
Insomma, di economia si parla e si scrive molto, in un tripudio di metafore ed eufemismi; però, in modo più o meno consapevole, la stessa divulgazione giornalistica fa in modo che non si capisca granché, usando parole di cui si conosce poco o per niente il significato. Capita anche perché di molti termini angloamericani «gli equivalenti italiani non sempre esistono, oppure – se esistono – possono risultare quasi altrettanto oscuri dei loro corrispettivi inglesi e spesso si presentano in varianti diverse, di cui chi non è esperto non sa valutare l’attendibilità». «In sintesi», scrive il linguista, «economia e finanza, investimenti e mercato sono sempre più al centro del dibattito pubblico, ma a questa centralità non corrisponde una diffusa alfabetizzazione, che dovrebbe essere garantita dalla scuola e dai media». Prevale invece la neolingua dell’economia, concetto caro all’economista Jean-Paul Fitoussi. Tra le iniziative meno criptiche per avvicinare i lettori di media professionali a questi temi, l’autore segnala quella del quotidiano finanziario Il Sole 24 Ore: nel 1995 offrì in omaggio, settimanalmente, 12 fascicoli intitolati Paperino nel labirinto dell’economia, «dedicati ciascuno a raccontare e spiegare, con semplicità e con l’aiuto dei personaggi Disney, alcuni grandi temi dell’economia contemporanea». Peccato che, nonostante gli sforzi di Paperino, i cittadini continuino a barcollare, dato che oggi «parole anche molto tecniche sono inserite senza indicatori e spesso alludono senza spiegare, implicando una supposta (ma pressoché inesistente, ndr) competenza del lettore». La morale ? Conclude il professor Gualdo: «Finché lo Stato e i privati non investiranno seriamente nella didattica dei principi fondamentali dell’economia, resterà altissimo il pericolo che la maggioranza della popolazione sia esposta a un’informazione eterodiretta o pescata casualmente nel mare, non sempre sicuro, di Internet».
«Pensavi solo ai soldi, soldi»
In attesa di quegli investimenti, tornano in mente le note e i versi di Mille lire al mese: forse non ci resta che sublimare la nostra “ignoranza” cantandoci su. Con l’aiuto del mondo della canzone italiana (e non solo), dove il tema dei “soldi” è secondo, seppur indietro di molte lunghezze, soltanto a quello dei sentimenti, con cui però s’intreccia: come canta Adriano Celentano fin dal 1971, «chi lo lavora non fa l’amore»; lo ricorda minacciosamente una moglie al marito che ha «scioperato due giorni su tre», così con i soldi che lui le dà «non ce la fa più». Non c’è solo il celentanese. Gli esempi sono tanti: da Lucio Battisti («Al 21 del mese / i nostri soldi / erano già finiti» - 1972) a Mia Martini («Gli uomini non cambiano / fanno i soldi per comprarti» - 1992); da un preveggente Luca Carboni («Ma tu vali davvero, / non come i soldi / di questa economia virtuale» - 2001) al Marocco-pop di Mahmood («Pensavi solo ai soldi, soldi / Come se avessi avuto soldi, soldi» - 2019). Per concludere con la mitica Borsa valori di Enzo Jannacci, che nel 1975 scherzava proprio con la complessità del linguaggio: «Listino prezzi Borsa valori di Milano / Aggiunda dei dividendi / Obiettivabili gli aggiuntandi a partire da domani: / Panino, modello muratorino / Ingredienti: pane e sudorino / Lire quattrocento [...] / Villa extralusso / Vista stabilimenti Fiat Mirafiori [...] / Con sicura e rapida evoluzione schizoide / Lire quarantamila». Un’evoluzione che potrebbe essere altrettanto sicura mezzo secolo dopo nell’era dell’economia digitale, che è a portata di chiunque ma incomprensibile per quasi tutti.
Bibliografia e sitografia
Canzoni con la parola soldi nel testo, in Dizy.com
Celentanese, in Vocabolario - Neologismi, Treccani, Roma 2008
Lorenzo Coveri e Andrea Podestà, Battisti uno e trino. Tre parolieri per le canzoni di Lucio Battisti, in Treccani - Lingua italiana, Roma 16 maggio 2023
Tullio De Mauro, Nota linguistica aggiuntiva, in Rossella Bocciarelli e Pierluigi Ciocca (a cura di), Scrittori italiani di economia, postfazioni di C. Cases e T. De Mauro, Laterza, Roma-Bari 1994
Jacopo Ferrari, Il Marocco-pop di Mahmood, in Treccani - Lingua italiana, Roma 18 febbraio 2020
Riccardo Gualdo, L’italiano dell’economia, Carocci, Roma 2023
Stefano Pivato, Enzo Jannacci, in Dizionario Biografico, Treccani, Roma 2017
Paperino nel labirinto dell'economia : dodici avventure di Paperino e C. nei meandri dell'economia, Il Sole 24 Ore, Milano 1995
Jean-Luc Egger, (2016), Dall’anatocismo allo spread: esperienze di linguaggio finanziario, in Claudio Marazzini (a cura di), L’italiano delle banche e della finanza, Accademia della Crusca - ABI, Firenze 2016
Jean-Paul Fitoussi, La neolingua dell’economia. Ovvero come dire a un malato che è in buona salute, Einaudi, Torino 2020
Carlo Innocenzi e Alessandro Sopranzi, Mille lire al mese, cantata da Gilberto Mazzi, in Canzoni contro la guerra - Antiwarsongs.org, 2019