Sembra un paradosso, ma è così che vanno le cose, ormai, nel mondo dell’editoria: sempre più frequenti sono i refusi, cioè gli errori, nelle opere a stampa, sempre meno presenti sono gli errata corrige. Per i lettori più attenti, un terribile fastidio, e la sensazione che chi doveva fare il proprio dovere non l’ha fatto a pieno. Anche se è vero che gli editori, specie se “piccoli”, hanno da pensare, e di persona, a millanta cose (come racconta Marco Cassini, editore di Minimumfax, in un libro intitolato appunto Refusi www.laterza.it). Anche se è altrettanto vero che quando l’editore si chiama Mondadori e la storica collana è lo “Specchio”, riesce un po’ più difficile comprendere e giustificare. Patrizia Valduga, poeta, ha dedicato alcune righe “allibite” di commento all’edizione “Specchio” delle poesie di Paul Muldoon, citando i refusi che vi ha trovato (da «La Repubblica delle donne», 11 luglio 2009, n° 654, p. 31): «un auto, di buon ora, un insegna, un infreddatura, un hacienda, della suo anorak, il ché rende, il ché mi fece pensare, il ché mi porto, aveva gemito, c’è n’è un altro, l’ho fatto entrare e l’ho frapposta, che quasi intrecciava a quello, cirdondato, allzippodromo, rabdomananti…».

Che cosa è dunque un refuso? Spesso, un orrore di stampa… Dal Vocabolario Treccani:

Refuso «In tipografia, errore di composizione o di stampa prodotto dallo scambio o dallo spostamento di una o due lettere, o segni, causato spesso da errata collocazione dei caratteri nella cassa (per quanto riguarda la composizione a mano), o da errore del tastierista o da difetto meccanico (nella composizione a linotype o a monotype). In senso lato, errore tipografico in genere, o anche di fotocomposizione».

Non è più, in realtà, una faccenda di linotype o monotype, né di fotocomposizione. Trattasi, ormai, in tempi di tecnologia avanzata e di riduzione all’essenziale della filiera produttiva, dell’errore di stampa; che viaggia, intatto, dalla fonte alla vicina foce. Il testo, destinato a diventare il contenuto del libro, contiene per sbaglio cane anziché carne. L’errore sfugge all’occhio dell’autore, assuefatto dalle molte riletture del testo, come sfugge agli idioti programmi di correzione installati sul computer. Programmi, peraltro, tenacissimi nel riproporre in automatico le proprie irrevocabili scelte, cambiando, per esempio, Pasolini [scrittore e regista] in Pisolini [ronf], Capucci [moda] in Cappucci [con cornetto, brioche o croissant che dir si voglia], Amarelli [liquirizia] in Amarilli [pastorella cantata da Teocrito e, soprattutto, da Virgilio]. Ed ecco che, passato per una veloce revisione dell’impaginatore co.pro o stagista, impossibilitato a rivedere davvero quel che ci sarebbe da rivedere per questioni di tempistica aziendale -, il nostro cane è destinato a prendere posto trionfalmente, nero su bianco, nel saggio storico dello stimato studioso, il quale, alla fine, risulterà aver scritto che «… soltanto anni dopo, molti ex-combattenti serbi si sono resi conto di essere stati utilizzati come cane da cannone». Per non parlare delle distrazioni di merito sfuggite all’autore, come quando (carta canta, p. 69), nella sua bella autobiografia di giornalista, È la stampa, bellezza! (Feltrinelli, 2008), uno dei due direttori del neonato quotidiano «Il Giorno», a distanza di poche righe, viene chiamato prima Gabriele e poi Gaetano Baldacci (www.eni.it). Un tempo, in casa editrice, oltre a un editor con i controfiocchi (che oggi non c’è più, scrive Mario Baudino sulla «Stampa» www.lastampa.it), c’era almeno un revisore che si occupava di verificare la correttezza di tutti nomi propri e date citati nel testo. Ora non c’è tempo, si tagliano i costi (quindi i revisori, i correttori, i redattori e gli editor d’antan) per stare ai ritmi dello sfornificio editoriale (sfornificio non è un refuso, è un occasionalismo che mi permetto di sfornare per rendere meglio l’idea). I refusi si moltiplicano parallelamente alla moltiplicazione dei titoli immessi sul mercato. C’è soltanto da supporre che alla velocizzazione dei tempi di lavorazione del libro corrisponda una velocizzazione dei tempi di lettura da parte degli acquirenti: veloci, velocissimi anche i lettori e, dunque, incapaci di percepire il refuso ed esserne feriti.

Quando invece, in qualche modo, si rimediava

Una volta, si andava più lenti. La coscienza dell’errore era più forte. La volontà di rimediare al danno, più sentita. In editoria, esisteva, per l’appunto, l’errata corrige. La locuzione (si comporta come un sostantivo maschile invariabile: un/degli errata corrige) entra in italiano per la prima volta nella forma scorciata errata per indicare la tavola per segnalare gli errori di stampa presenti nel libro, inserita tra gli ultimi fogli dello stesso (se gli errori erano stati rinvenuti prima della rilegatura) o aggiunta, come foglio volante inserito dentro al libro (se gli errori erano stati rinvenuti a libro già rilegato). Ecco il primo esempio di errata (corrige), dal trattato di grammatica del padre gesuita Daniello Bartoli Il torto e ’l diritto del non si può (1655): «“Paroloni” scrisse il Davanzati […]: e v’ebbe a cui leggendolo parve trasformazione sì contro alle leggi della natura, che cercò nell’“Errata” se lo stampatore se ne accusava come d’error troppo maschio, parendogli le gran parole essere “parolone”».

La variante erratacorrigge compare per la prima volta in italiano verso la metà del Settecento. Infine, errata corrige è documentato per la prima volta in italiano alla fine del Settecento (taluno, ancor oggi, scrive errata-corrige).

La locuzione è nata nel latino tecnico adoperato un tempo dai tipografi e significa propriamente ‘correggi (corrige, seconda persona singolare dell’imperativo) le cose errate, gli errori (errata, neutro plurale)’. In testa alle liste con le parole sbagliate, da correggere, erano disposte, l’una accanto all’altra, le scritte errata e corrige. Incolonnate sotto errata venivano trascritte le forme sbagliate; incolonnate sotto corrige venivano inserite le forme corrette. Sull’estrema sinistra era posta una terza colonna, contenente l’indicazione della pagina e della riga dove si trovava l’errore.

L’errata di Mino

Oggi, dell’errata corrige restano rade tracce. Per rendergli onore con un po’ di spirito, ricorriamo a Mino Maccari, disegnatore satirico, artista, scrittore (www.minomaccaricolle.it). In un numero della sua rivista «L’Antipatico», Maccari stampò un siffatto errata corrige di fantasia (lo traggo dal Dizionario dei giochi con le parole di Giampaolo Dossena, ed. Vallardi):

Dov’è scritto

Leggasi invece

pelo

mantecato

sparì

compresse

fosse

cecinesi

si dà delle arie

briciola

alla firma del direttore

corretto funzionario

ghiande

al segno

bucaiolo

la testa

scoccò

imbrigliava

nel caso che

una bella bimba

pensoso

ministro che sa il fatto suo

Italia

palo

mentecatto

sparò

comprese

fesso

cinesi

si dà delle aree

braciola

alla forma del direttore

corrotto funzionario

grande

assegno

barcaiolo

la tasta

scroccò

imbrogliava

nel vaso che

una bella bomba

penoso

ministro che fa il fatto suo

Itaglia

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