Nel 1966 il giornalista ed esperto di lingua italiana Claudio Quarantotto definì Italiese la nostra favella, ricavando la parola macedonia dal tamponamento tra itali(ano)e (ingl)ese, per significare la caratteristica di un idioma, il nostro, che cominciava a subire l’influsso e il fascino dell’inglese (d’America, in primo luogo), tanto da accogliere nei lessici settoriali ma anche nella lingua veicolata dai media una quota crescente di voci e di significati provenienti d’Oltreoceano e d’Oltremanica. Quarantotto aveva ben presente la parola macedonia franglais, lanciata polemicamente dallo studioso René Étiemble (1909-2002) nel suo vendutissimo pamphlet del 1964 (più volte ristampato e riedito) Parlez-vous franglais?, in cui l’accademico-militante se la prendeva con il “babelico” francese che andava formandosi dalla commistione della lingua madre con l’inglese.

-ese, un suffisso che dà la parola

Da allora, il suffisso -ese, tradizionalmente generatore di aggettivi e sostantivi indicanti appartenenza a realtà geografica o a entità linguistica, nazionalità, cittadinanza e simili (francese, calabrese, bolognese) si è spesso cucito addosso il grado semantico a volte scherzoso, a volte ironico, spesso polemico (se non perfino denigratorio), ricavato dall’-ese che ricalca l’-ais di franglais, per indicare un qualche linguaggio tipico di un settore della società, della politica, di una qualche disciplina o materia, di un qualche personaggio (di norma noto). Di solito, i linguaggi “collettivi” vengono connotati tramite -ese di un’aura negativa che allude a complicazione, astrusità, involuzione comunicativa. Quando invece -ese si affigge a basi derivate da nomi di persona, bisogna valutare caso per caso: fiorellese ‘linguaggio tipico di Fiorello’ allude alla brillantezza e al trasformismo imitativo dell’intrattenitore siciliano; dipietrese ‘linguaggio di Antonio Di Pietro’ alla vena rustica, popolana, spiccia e dialettofila che caratterizza l’eloquio del politico molisano (https://www.treccani.it/lingua_italiana/neologismi/
Osservatorio_della_Lingua_Italiana/D).

Il sinistrese e il politichese

Diciamo poi che i media imparano ad amare e propagare i linguaggi della nuova babele contemporanea definiti da -ese soprattutto a partire dalla fine degli anni Settanta, quando fa subito centro, e poi scuola, la parola sinistrese (1977), con riferimento al linguaggio tipico della sinistra politica, specialmente extraparlamentare, ricca di prelievi dal linguaggio economico e in particolare sindacale, inchiodata ancor oggi nell’immaginario collettivo degli adulti di ora e giovani di allora da locuzioni come a monte… a valle (il problema era sempre a monte e sempre era politico), nella misura in cui, a livello di, veri modismi generazionali (https://www.treccani.it/Vocabolario_online/sinistrese.xml).

Altro caposaldo, politichese (1982), vale a dire il linguaggio adoperato dai politici, percepito e ascoltato con sospetto e noia come artificioso, oscuro, involuto (https://www.treccani.it/Vocabolario_online/politichese.xml).

Poi, è il diluvio. Come se la disarticolazione di un sistema di valori tradizionale e la conseguente diffrazione del senso producessero schegge autonome e insieme standardizzate, veicolate dai modelli mediatici: tutti, se appena un po’ celebri (15 minuti, ma anche meno), possono essere titolari di un proprio confondibile linguaggio, unico come il mini-brand di una serie potenzialmente infinita e riciclabile. Ecco di seguito un parzialissimo elenco per capire la portata del fenomeno. Basta mettere mano ad alcuni repertori di neologismi, che lemmatizzano i numerosi occasionalismi (così, non a torto, li chiamano gli studiosi della lingua italiana: quanti di questi vocaboli, infatti, resistono più dello spazio di un mattino?) formati con -ese e indicanti ‘linguaggi tipici di…’.

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benignese (1999; Roberto Benigni, attore e regista); berlusconese (1994; Silvio Berlusconi, politico); berluschese (1994; id.); botanichese (2001; botanica); brigatese (1988; Brigate Rosse, formazione armata); brittese (2001; Alex Britti, cantante); calcese (1988; calcio); destrese (la destra, schieramento politico); didattichese (2000, didattica e istituzioni scolastiche); dipietrese (1994; Antonio Di Pietro, politico); fiorellese (1994; Fiorello, anchorman e intrattenitore); gentese (1994, il linguaggio della gente comune, che alcuni politici della cosiddetta Seconda Repubblica hanno detto di parlare, in contrapposizione al classico e astruso politichese); jovanottese (1989; Jovanotti, cantante); occhettese (1989; Achille Occhetto, politico); psicanalese (1990; psicanalisi, lingua considerata difficile); sessantottese (1988; Sessantotto, momento politico); telegiornalese (1989; giornalismo televisivo d’informazione); veteropolitichese (1994; il linguaggio della vecchia politica), e poi, così, a caso, pescando qui e là nella politica, tra i politici e i movimenti politici: prodese, mastellese, veltronese, rutellese, leghese e leghistese, finese, bondese, santanchese e il recente, esplicito e greve puttanese; il quale ultimo, riferendosi ai sempre più spesso intercettati intrecci tra vita privata e affari pubblici di numerosi personaggi di un certo rango istituzionale, induce a riflettere con amarezza sull’esibizione di una politica ridotta(si) a politica dell’esibizionismo sessuale.

Appena tre anni fa, il giornalista Massimo Gramellini aveva coniato, in un articolo comparso sul quotidiano «La Stampa» (1 febbraio 2007), un altro vocabolo “babelico”, a sua detta tanto necessario quanto immaginario, il «sincerese, la lingua meno parlata del mondo». Certo, però, che se le linee guida della sincerità del sincerese dovessero collimare col profilo da discarica del puttanese, sarebbe meglio invocare la sobrietà dell’altrettanto immaginario silenziese.

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