E pensare che l’hashtag ce l’aveva quasi fatta: proprio il cancelletto figurava tra le icone proposte dalla Hasbro Gaming in un popolare referendum online (Votemonopoly.com, gennaio 2017) per scegliere le nuove pedine del celebre gioco da tavolo Monopoly (cfr. Ansa online: World Monopoly Day, buon compleanno con 8 nuove pedine e edizione tricolore), ma ha mancato l’obiettivo per un pelo. D’altronde il simbolo dell’hashtag è ormai onnipresente su magliette, felpe, ciondoli e gadget vari, lo ritroviamo nelle reti sociali, ma anche nella stampa tradizionalmente cartacea e sui manifesti pubblicitari, ed è diventato persino un gesto (basta sovrapporre l’indice e il medio delle mani incrociandole). Il suo successo è legato alla diffusione di Twitter, il social network di microblogging che racconta in maniera breve e immediata fenomeni di massa e avvenimenti drammatici e/o frivoli in un flusso ininterrotto di conversazioni collettive (cfr. Spina 2016), ma non è a Twitter, alla sua evoluzione e alle sue prerogative linguistiche e comunicative che è dedicato questo breve contributo. Partendo dalla constatazione della recente e progressiva emancipazione del simbolo cancelletto dall’ambiente comunicativo di Twitter per esplodere su altri tipi di supporto non sempre e non esclusivamente multimodali, ci si propone una ricognizione delle funzioni dell’hashtag non in quanto etichetta cliccabile nelle reti sociali, ma come elemento nuovo dell’italiano contemporaneo offline nelle sue pratiche scritte e persino parlate.
In principio era veramente Twitter?
Attestato nell’italiano dal 2009 (cfr. Zingarelli 2016), l’anglismo hashtag designa nella piattaforma Twitter l’aggregatore tematico che evidenzia, classifica e indicizza il tema di un tweet. Formalmente si tratta del simbolo # (cancelletto) seguito da una parola o anche da un’intera frase scritta – anzi digitata – senza lasciare spazi intermedi. L’immagine del cancelletto ben si spiega con la funzione del simbolo di «delimitare il dominio di applicazione di una parola o un’espressione chiave, di recintare il campo del contenuto di cui la sostanza linguistica è portavoce» (Arcangeli 2016: 30). Se la storia del primo utilizzo di un hashtag su Twitter da parte di Chris Messina nel 2007 è nota ai più (cfr. Zak 2013), meno evidente è la storia del simbolo cancelletto che l’accompagna. La sua forma richiama il diesis, segno di ambito musicale per indicare l’aumento di un semitono della nota seguente sul pentagramma. Per quanto l’inclinazione del diesis sia leggermente diversa da quella del cancelletto della tastiera di un dispositivo elettronico, la Commission Générale de Terminologie et de Néologie francese (JORF del 23 gennaio 2013) ha proposto proprio mot-dièse (“parola diesis”) come equivalente autoctono dell’anglismo hashtag (cfr. Jackiewicz/Vidak 2014: 2035). Ma i precursori abbondano anche nel mondo anglosassone, in cui il simbolo sostituisce già nel XIV secolo le lettere “lb” come sigla della libbra, per poi ricomparire nella contabilità ottocentesca con il doppio significato di numero (il nostro n°) se precede la cifra, e della valuta locale (il pound) se la segue (cfr. Arcangeli 2016: 44). Nel Novecento i cancelletti si moltiplicano, il tasto è presente sui telefoni degli anni Settanta per accedere ad alcuni servizi delle compagnie telefoniche, viene adottato da vari linguaggi di programmazione informatica negli anni Ottanta e approda come etichettatore sulla Internet Relay Chat. Da qui a Twitter e quindi agli altri social network il passo è breve. Ma fino a che punto la storia più o meno nota del simbolo cancelletto e della sequenza hashtag è in grado di spiegarne la proliferazione negli usi linguistici contemporanei anche al di là delle piattaforme multimodali?
Modismo icono-verbale
L’operatore hashtag, che in Twitter è cliccabile e funge da elemento aggregante delle interazioni tra gli utenti su un tema comune, ha ormai superato i confini dei social network sia in quanto simbolo # che come intera sequenza “hashtaggata” (hashtagged word, cfr. Olmastroni 2014), diventando non solo un potente strumento di marketing cross-mediale (soprattutto tra TV e Web), ma in generale un’icona della modernità. Se insomma “Twitter in Italia fa figo e piace ai media tradizionali” (“Enel e il fail dei suoi #guerrieri”, 3 ottobre 2013, studiosamo), il cancelletto sembra averne assorbito e catalizzato la popolarità diventando anche all’esterno delle reti sociali un vero e proprio emblema della società della comunicazione digitale. Sfruttati per attirare l’attenzione su iniziative di genere diverso, gli hashtag vengono sottratti alla loro fluidità immanente («significanti fluttuanti a misura di un mondo flessibile», come li definisce Niola 2014) per cristallizzarsi in veri e propri simboli icono-verbali, spesso fissati in logo e insegne di attività e negozi di vario tipo. In una casistica eterogenea il cancelletto diventa la chiave per conferire modernità a qualunque sorta di locale e non mancano bar e ristoranti che giocano a modificarne anche graficamente i tratti trasformandolo in un incrocio di forchette e coltelli o strumenti da barbecue (v. fig. 1), a volte coinvolgendo anche la H iniziale di hashtag. Il simbolo del cancelletto non si limita a indicizzare i nomi di pub, hamburgherie e persino sushi-bar sparsi per l’intera penisola, ma nella maggior parte dei casi si accompagna anche alle singole voci del menù dei locali in questione, in maniera completamente estranea non solo all’originaria multimodalità dell’operatore, ma anche alle sue convenzioni di scrittura (come dimostra la presenza di spazi bianchi tra le singole parole che comporrebbero gli hashtag immaginari, v. fig. 1 e fig. 2).
Slogan, attivismo e statement
«L'estrema sintesi comunicativa realizzata dagli hashtag ha fatto sì che questi siano diventati sempre più un elemento indipendente dalla comunicazione sui social network, usato in funzione di slogan per campagne pubblicitarie (#guerrieri, #civuoleuneroe) o per concentrare il senso di un messaggio politico come in #proviamoci, #coseconcrete, #Adesso» (Olmastroni 2014). Se in molti casi si tratta di trending topic di forte impatto mediatico esportati da Twitter verso i media giornalistici più tradizionali (cfr. Antonelli 2015), altre volte il percorso è inverso (dalla “real life” ai social): premettendo il simbolo # a una sequenza di parole si cerca di trasformarla in slogan indipendentemente da una sua precedente diffusione nelle reti sociali. L’hashtag assume così il valore di un proclama, si lega a frasi o singole parole-chiave per simboleggiare un valore, una presa di posizione, una dichiarazione di partecipazione e impegno, e fa la sua comparsa su magliette, manifesti, volantini ecc. conferendo alle parole che seguono il cancelletto una connotazione quasi militante (v. fig. 3).
Richiamo al mondo giovanile
Per quanto non siano necessariamente né esclusivamente i giovani a comunicare attraverso i social network, i cosiddetti “Millennials”, i nativi digitali, dominano la comunicazione elettronica. La dimestichezza con le nuove tecnologie digitali è percepita come tipica della gioventù e l’hashtag diventa un simbolo del modo di comunicare delle nuove generazioni. Pertanto il cancelletto si rivela uno strumento utile per selezionare un target giovane e connotare in senso giovanile i prodotti più disparati fungendo non da mero riferimento generico, ma da vero e proprio richiamo esplicito. Ciò spiega il proliferare di hashtag nei titoli di pubblicazioni e film dalle tematiche adolescenziali e post-adolescenziali, che cercano in tal modo di assumere una chiara identità sul mercato (v. fig. 4).
Il gioco dell’hashtag
Come ben evidenziato da Spina (2016, 123/437), l’aspetto ludico pertiene all’hashtag già nella sua funzione originaria di operatore multimodale su Twitter: «La scelta di privilegiare una funzione interpersonale, unita al fatto di avere una visibilità particolare all’interno dei tweet, rende l’hashtag un elemento lessicale particolarmente adatto ad esprimere innovatività e creatività linguistica. La funzione valutativa e interpersonale porta infatti i partecipanti a ricercare espressività e visibilità, e di conseguenza a servirsi di ironia, di giochi linguistici, e in generale a realizzare un uso creativo del linguaggio». Anche fuori dall’ambiente comunicativo di Twitter l’hashtag può fungere da attivatore di gioco linguistico, anche se con modalità e esiti diversi. Mentre gli utenti di Twitter cercano soprattutto l’enfasi interpersonale (Zappavigna 2014) commentando i fatti attraverso l’uso di hashtag ironici, nell’ambito della comunicazione offline la rivisitazione dell’hashtag in chiave ludica si realizza principalmente su due piani: da un lato è lo stesso termine hashtag a fornire la base per storpiamenti e giochi di parole, dall’altra si ironizza sull’uso e sull’abuso dell’hashtag in quanto etichetta multimodale alla moda. Così ad esempio nella canzone di genere rap/hip-hop di Shade Cambiare stato (2015) nella sequenza «E se fai rap che parla di rap / temo sia come fare un hashtag e scrivere hashtag / hashemo» compare il neologismo ludico hashemo basato sul gioco di riscrittura e deformazione del termine stesso hashtag su base polilinguistica (dall’inglese hashtag allo pseudo-romanesco di a scemo, reso nel testo scritto della canzone con la grafia esotizzante hashemo per rendere più palese la storpiatura ironica dell’originale). Altre volte gli utenti giocano con la creazione di neologismi sulla base dell’elemento iniziale hash- (cancelletto) utilizzato come accorciamento (alla stregua di termo-, foto-, auto- ecc.) in composti anomali, come nel caso dell’hashmeal proposto come menù bambini da un locale calabrese (fig. 5) e modellato presumibilmente sul celebre Happy Meal di una nota catena di fast food.
Altrove invece si ironizza sulla mania contemporanea di etichettare tutto, come nella campagna pubblicitaria dell’autunno 2016 della nuova Audi Q2, basata su una successione martellante di hashtag fino alla conclusione «dobbiamo sempre #etichettare tutto? Audi Q2 #untaggable», o anche la canzone estiva Il Ballo dell’hashtag, parodia della discussione sui campi rom realizzata dalla società YourFriends, con sequenze ironiche come «quando sei nel buio della notte è ora di dormire / forse ma ti devi ricordare / cancelletto buonanotte» o anche «e quando su una bella spiaggia / costumino vita bassa / cancelletto solo sole riva al mare senza stress».
L’hashtag parlato: un nuovo segnale discorsivo?
I confini tra scritto e parlato sono notoriamente fluidi, e proprio l’hashtag sembra in procinto di superarli. Nato come etichetta per evidenziare il tema di una discussione e dilatare parallelamente il potenziale pubblico di un messaggio all’interno dell’ambiente comunicativo di Twitter (v. Spina 2016: 111/437), l’hashtag sembra espandersi non solo alle altre reti sociali e alla scrittura analogica (non multimodale) in genere, ma addirittura all’italiano parlato. Il fenomeno è difficile da monitorare perché ancora limitato a forme di parlato conversazionale informale prevalentemente giovanile, ma appare significativa la sua ripresa a fini parodici nell’ultimo cinepanettone Poveri ma ricchi (2016, regia di Fausto Brizzi), in cui l’adolescente Tamara, la figlia maggiore della famiglia protagonista, ama sottolineare ogni suo enunciato con una sorta di hashtag vocale conclusivo. L’uso dell’hashtag – pronunciato all’italiana rigorosamente senza h – nel parlato giovanile (caricaturato nel film) non vuole soltanto marcare l’appartenenza alla generazione dei nativi digitali e la dimestichezza con i social network, ma rimanda a valori e significati più profondi. Come già all’interno della piattaforma Twitter, anche nel parlato informale l’hashtag funge da indicatore della forza pragmatica da attribuire al significato dell’enunciato che lo contiene, diventando una sorta di metacommento autoironico dell’autore, una marca soggettiva di auto-distanziamento con cui il parlante “etichetta”, cioè focalizza e contemporaneamente sdrammatizza il proprio stesso contenuto proposizionale. Un uso analogo dell’hashtag sembra attestato nell’inglese contemporaneo («The spoken hashtag is part of a general trend − one rarely treated as a scourge, generally barely perceived, and actually a sign of the zeitgeist»: McWhorter 2012) e nel tedesco giovanile, come confermano non solo alcuni articoli a stampa (cfr. Lauenstein 2014), ma anche brevi sondaggi svolti da chi scrive tra i propri studenti nelle università di Heidelberg e di Halle durante gli anni accademici 2015/2016 e 2016/2017.
Un’icona in libertà
Con questa breve ricognizione, assolutamente priva di ambizioni di esaustività, si è cercato di fare il punto su un fenomeno apparentemente marginale della comunicazione contemporanea e che invece ben mette in luce la fluidità dei confini tra scritto e parlato, tra digitale e analogico, e di cui l’hashtag sembra farsi emblema: #cancellettiinlibertà.
Antonelli, Giuseppe (2015): Tutti gli hashtag dell’anno, in Il libro dell’anno 2015, Treccani, https://www.treccani.it/enciclopedia/tutti-gli-hashtag-dell-anno_(altro)/
Arcangeli, Massimo (2016): Breve storia di Twitter, Roma, Castelvecchi.
Jackiewicz, Agata & Vidak, Marko (2014): Etude sur les mots-dièse, SHS Web of Conferences 8, http://www.shs-conferences.org.
JORF = Journal officiel de la République Française: Vocabulaire des télécommunications et de l'informatique: Mot-dièse, n°0019 del 23 gennaio 2013, Testo 103: 1515.
Lauenstein, Mercedes (2014): Hashtags für alle, Jetzt / Süddeutsche Zeitung (3 luglio 2014), http://www.jetzt.de/dingderwoche/hashtags-fuer-alle-587536.
McWhorter, John (2012): Twitterich. How technology remakes language, New Republic (22 giugno 2012).
Niola, Marino (2014): Hashtag. Cronache da un paese connesso, Milano, Bompiani.
Olmastroni, Stefano (2014): Hashtag, in Accademia della Crusca online – Parole nuove (17 aprile 2014), http://www.accademiadellacrusca.it/it/lingua-italiana/parole-nuove/hashtag-0.
Spina, Stefania (2016): Fiumi di parole. Discorso e grammatica delle conversazioni scritte in Twitter, Loreto, StreetLib (e-Book).
Zak, Elana (2013): How Twitter’s Hashtag Came to Be, The Wall Street Journal (3 ottobre 2013), https://blogs.wsj.com/digits/2013/10/03/how-twitters-hashtag-came-to-be/.
Zappavigna, Michele (2014): Enacting identity in microblogging through ambient affiliation, in Discourse and Communication 8: 209-228.
Zingarelli 2016 – Vocabolario della lingua italiana (a cura di Mario Cannella e Beata Lazzarini), Bologna, Zanichelli.
Sitografia (tutti i link citati sono stati verificati il 3 aprile 2017)
http://www.ansa.it/lifestyle/notizie/passioni/videogiochi/2017/03/17/world-monopoly-day-buon-compleanno-con-8-nuove-pedine-e-edizione-tricolore_7ca85a4d-12b7-4934-a4ab-675ef22008ca.html
https://www.legifrance.gouv.fr
https://www.studiosamo.it/social-media-marketing/enel-fail-guerrieri/
https://www.facebook.com/hashtagilbracierediacitrezza
https://www.facebook.com/pg/HashtagdiFredduzzi/about/?tab=overview
http://nill.forumcommunity.net/?t=56490722
https://www.youtube.com/watch?v=3Sks0CLVBL8
https://youtu.be/GowrCi7Aeq0