Il lessico scherzoso e andante, spesso allegramente turpiloquente, è ormai alla portata di tutti, perfino di titolati ministri “tecnici” come Corrado Clini, ministro dell'Ambiente, della tutela del territorio e del mare. Clini, visitando il Solar cooling System, un sistema energetico collocato sul tetto del centro di ricerca privato Eurac di Bolzano, con ironico sorriso ha dichiarato, di fronte alle telecamere, a proposito della necessità di lanciare gare d'appalto pubbliche nell'eurozona (i cosiddetti tender): «Normalmente vincono sempre i tedeschi, mentre noi che facciamo i tender siamo i coglioni». Poi, parlando dell'acquisto da parte del gruppo Angelantoni dalla tedesca Siemens delle quote societarie di Archimede Solar Energy, ha commentato: «Siemens si voleva fottere Angelantoni, ma siamo riusciti a fare un'operazione...» (puntini puntini sottolineati da una partecipe espressione d'intesa).

Un grafomane non sfigato

Qualche tempo addietro, la ministra del Lavoro e delle politiche sociali Elsa Fornero aveva sbattuto davanti ai microfoni l'espressione terra terra «una paccata di miliardi», prendendosela con gli avidi sindacati; e Andrea Riccardi, ministro senza portafoglio per la Cooperazione internazionale e l'integrazione, si era lasciato andare, in un'altra occasione, a un alquanto diretto «sono schifato dalla politica». Che dire, poi, del «se a 28 anni non ti sei ancora laureato, sei uno sfigato», pronunciato con scioltezza dal viceministro del Lavoro Michel Martone, un trentottenne che si sente molto_ggiovane_, a giudicare da come traccia la propria mini-biografia? Dopo aver affermato che il suo «habitat» è l'università, il nizzardo vissuto a Roma scrive infatti sul suo sito: «Sono un grafomane che sfoga le proprie inquietudini scrivendo sui giornali, da Il Riformista a Il Sole 24 ore, e sulle riviste, da Zero a Formiche e Aspenia. Mi interesso di musica, da Jimi Hendrix a Keny Arkana, cinema, da Elio Petri a Sophia Coppola, e libri, da Il Rosso e il nero a Armi, acciaio e malattie di Jared Diamond». Wow, fratello, dammi il cinque!

Come ha scritto Giuseppe Antonelli, siamo nell'epoca del “trionfo dell'informalità”. Nessuno sfugge alla odorosa legge della canottiera o, in direzione giovanilistica, all'allegro cigolìo delle sneakers.

La tentazione del populismo

Men che meno i politici. Ecco che cosa vede l'occhio saggio dell'anziano Cesare Segre, grande semiologo e critico letterario (traggo la citazione da Antonelli, p. 44): «La nostra classe politica, che in tempi lontani annoverava ottimi parlatori e oratori, tende sempre più ad abbassare il registro, perché pensa di conquistare più facilmente il consenso ponendosi a un livello meno elevato. È la tentazione, strisciante, del populismo».

Nella discesa rapida dei gradini lungo la scala della formalità, è da notare che i politici spalleggiano i giornalisti e gli scrittori. Questi ultimi, però, ormai da tempo non rappresentano un modello di riferimento per gli usi linguistici pubblici: non è da loro, dunque, che ci si aspetta un certo grado di compostezza e decoro. I giornalisti, nel tentativo di attirare la fugace attenzione del lettore, sono diventati insieme produttori e consumatori di parole a ciclo continuo, ricorrendo spesso a neoformazioni (parole nuove), spessissimo occasionali, coniate per vivacizzare, stupire ed emozionare. Non disdegnano, naturalmente, anche modi bassi e informali e saccheggiano talvolta il magazzino del linguaggio giovanile (magari già trasfusosi nell'indifferenziato colloquiale trans-generazionale), come mostrano i numerosi esempi raccolti da Gianluca Colella. Dai quali si evince che la politica, così “informalizzata” com'è, evidentemente chiama la cronaca e il commento politici a vincere ogni remora. Riportiamo un paio di esempi prodotti da Colella (p. 211): «Casini-Fassino – Sono ambedue convinti che Berlusconi abbia sbroccato» (Maria Laura Rodotà, Corriere della sera, 2 febbraio 2006); «La controversa figura del Capo del Governo rivela in molte delle sue sfaccettature quest'ansia di riconoscimento: è lei che, di quando in quando, lo fa sbarellare, e dire cose sciocche e perniciose per sé e per il Paese» (Michele Serra, Repubblica, 23 novembre 2011).

Vendola e gli epifenomeni

In controtendenza, tra i leader politici, sembra muoversi Nichi Vendola, le cui (ormai proverbiali) “narrazioni” si ammantano di un'atmosfera linguistica di forte suggestione umanistica, caratterizzata da un lessico che pesca nel vocabolario colto e letterario (contumelia, iniquo, alienante, ontologia, epifenomeno), «ridondante di immagini» (Gianluca Giansante), tesa alla sollecitazione emotiva soprattutto dei giovani e di chi, non potendo sperare più nulla di buono dall'ordine sociale, politico ed economico esistente, cerca almeno di innalzarsi oltre le bassure del linguaggio corrente (si ricordi Nanni Moretti, «chi parla male, pensa male e vive male»). Niente a che fare, dunque, con la logica del rispecchiamento linguistico perseguita, in vario modo, da Berlusconi, Bossi, Di Pietro, Grillo, governata dall'idea di abbassarsi al livello dell'uomo della strada, sperando di attivare meccanismi di proiezione e identificazione simpatetici, a costo di sbracare nell'eloquio triviale; niente a che fare, però, con l'algida lingua tecnico-burocratica, infarcita di termini dell'economia, con la quale il politico (vieppiù quello del “governo dei professori” in carica) gioca la carta del prestigio, sciorinando, appena possibile, cifre su cifre che dovrebbero dare la sensazione all'inclito di una incontrovertibile capacità di manovrare le leve dell'aritmetica contabile che reggerebbe il mondo. Salvo poi, chiuso il siparietto dell'esperto, scagliarsi a suon di mazzate verbali contro l'avversario di turno o a lasciarsi andare alle incontinenze formali da bettola d'angiporto.

Ha scritto con efficacia il filosofo Gian Enrico Rusconi : «Ci avviamo verso una repubblica del volgo. Lo si sente dal linguaggio ormai corrente dei suoi esponenti politici più in vista, un linguaggio volgare, nel senso letterale del volgo, appunto. Quando chiedete la ragione dell'indecenza delle battute di molti politici, sentite rispondere: "Ma così parla la gente!". I politici parlano (finalmente) come la gente al bar o sotto l'ombrellone. In realtà è un inganno: più la politica non sa argomentare e affrontare i grandi problemi, più aggredisce con la finta intimità dello scurrile».

Testi citati

Giuseppe Antonelli, Lingua, in Modernità italiana. Cultura, lingua e letteratura dagli anni settanta a oggi, a cura di Andrea Afribo e Emanuele Zinato, Carocci, Roma 2011, pp. 326, pp. 15-52.

Gianluca Colella, Come parlano (e scrivono) i giovani, in L'italiano di oggi, a cura di Maurizio Dardano e Gianluca Frenguelli, Aracne, Roma 2008, pp. 241, pp. 189-21.

Gianluca Giansante, Le parole sono importanti. I politici italiani alla prova della comunicazione, Carocci, Roma 2011.

Immagini: Camera dei Deputati. Crediti: fotogramma tratto da Rai Parlamento e Camera dei Deputati, Youtube_._

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