Non saprei dire a che punto di quale aula virtuale o per quale via del pensiero glottodidattico mi sia venuto in mente per la prima volta che la studentessa straniera che continuava a ripetere «loro abìtano» piuttosto che «àbitano» potesse essere guidata verso l’autocorrezione in una maniera tanto naturale e discreta quanto ironica ed efficace: chiederle, sorridendo, se potesse rileggere quel verbo: quello che improvvisamente le stavo piazzando più vicino agli occhi, ingrandito ed evidenziato, facendo pressione lunga sul tasto “a”; una sequenza di micro-mosse assolutamente non premeditate, certamente mai viste su un manuale pre-covid di didattica dell’italiano L2, né tantomeno sulle raccomandazioni di una piattaforma online per l’apprendimento delle lingue, che dall’altra parte – sullo schermo condiviso visualizzato dalla studentessa – mandavano l’input di una vocale che si allungava in tempo reale nel testo appena letto: segno a quanto pare immediato e inequivocabile che la terza persona plurale del verbo abitare andasse pronunciata «aaaabitano».

Paaaaaapa e papaaaaaaa

A distanza di quasi due anni dalla mia prima lezione di italiano online, quella piccola mossa per segnare e insegnare gli accenti delle parole italiane nella classe digitale – o se vogliamo, per visualizzarne il correlato acustico della durata sfruttando gli effetti visivi digitali – l’avrò testata non so quante volte, prima di sentire di poterla suggerire a colleghe che ne confermano a loro volta l’efficacia. In assenza di apprendenti con particolari difficoltà legate alla vista, in effetti, la mia buona pratica non esclude nessuno; è utile a spiegare la differenza semantica tra il paaaaaapa (papa) e il papaaaaaaa (papà), funziona con farmaciiiiia e con d_imenticaaaaandosene_, e si può usare indistintamente con le parole tronche, con quelle piane, con quelle sdrucciole e persino con quelle bisdrucciole. Non ultimo, genera puntualmente scrosci di risate indipendentemente dai background culturale che si hanno davanti, perché evidentemente ha il potere di cogliere di sorpresa e spiazzare, ma passata la sorpresa, può diventare una sana abitudine per riportare ironia e complicità ogniqualvolta l’apprendente corra il rischio di vedere solo errori, accenti invisibili e l’ennesima difficoltà della nuova lingua da imparare.

Assodato, quindi, che si tratti di una mossa digitale che non uccide l’approccio umanistico-affettivo di cui mi sono nutrita negli anni della mia formazione da insegnante L2/LS, lascio aperta una domanda: è possibile riportarsi questa tecnica in un’aula reale – ambiente in cui, in ogni caso, lo schermo e l’annotazione dello schermo passano in secondo piano nell’esperienza dell’apprendente – mantenendone intatti tutti i benefici?

L’interazione online, prima e dopo il Covid

Ho cominciato a dare lezioni di italiano online durante il secondo lockdown berlinese, un po’ per gioco un po’ per non morire, e la sorpresa di accorgermi dell’efficacia di questo e d’altri trucchetti che andavo continuamente ideando e perfezionando, per riadattarmi al nuovo ambiente digitale, è stata direttamente proporzionale a un’altra emozione inaspettata: quella di essere diventata una presenza reale nelle giornate di donne anziane che, impossibilitate a muoversi fuori dallo spazio virtuale, decidevano, senza temere le funzioni di Zoom, di imparare l’italiano a novant’anni, mantenendosi combattive anche davanti ai verbi pronominali e alle reggenze preposizionali.

Non c’è dubbio che uno dei valori chiave dei corsi di lingua in presenza rispetto a quelli online sia la possibilità di valorizzare le abilità interazionali e di socializzazione fra pari, e quindi di potenziare una dimensione che ha assunto una centralità crescente nei documenti europei sull’educazione linguistica del XXI secolo. Ma davvero la dimensione affettiva e relazionale scompare nell’aula virtuale? Non posso che lasciare aperto anche questo interrogativo, in attesa che qualche ricerca chiarisca, per esempio, se è vero – come qualche online teacher su LinkedIn segnala – che la difficoltà di interrompere un percorso didattico avviato cresce all’aumentare dei fusi orari che separavano l’insegnante dall’apprendente. Mi limito a ricordare che le abilità di interazione online rappresentano una componente importantissima nella ridefinizione della competenza linguistica del Quadro Comune Europeo di Riferimento aggiornato al 2020, e che la sfida proposta dalla Comissione Europea (la stessa dell’Unicef e dei corsi online per rifugiati di Akelius) è sempre più quella di promuovere l’uso critico delle tecnologie digitali come strumento per l’inclusione.

Le prerogative didattiche

Al rientro dalla didattica distanza, mentre non si è arrestato il successo dell’industria della tecnologia educativa per l’apprendimento delle lingue, la mancanza di studi sulle qualità intrinseche dei corsi online è stata sentita da più parti (Polselli, 2021), insieme alla necessità di valorizzare «lo specifico, le differenze, la peculiarità della formazione assistita con supporto tecnologico» (Fallani, 2017). In base alla mia personale esperienza, l’ambiente di apprendimento dell’aula di lingue virtuale si distingue per una serie di prerogative tecniche/potenzialità didattiche, di cui posso limitarmi a offrire un elenco sommario:

- la possibilità dell’insegnante di mettersi letteralmente “in secondo piano”, rispetto all’oggetto di studio, sfruttando la condivisione dello schermo;

- l’impossibilità per l’apprendente di cogliere aspetti prossemici come la distanza interpersonale nello spazio digitale, ma di contro, la possibilità dell’insegnante di portare in primo piano i gesti, o di far riflettere sulla produzione di determinati suoni attraverso un uso ravvicinato della camera;

- la possibilità di utilizzare l’annotazione dello schermo (o i messaggi privati in chat, per suggerimenti invisibili al resto della classe online) come stampella per guidare la produzione orale dei più reticenti (attraverso il suggerimento di parole chiave, di iniziali di parole o veri e propri esercizi di cloze preparati in tempo reale), per isolare graficamente determinati elementi testuali o stabilire connessioni visive, o per agevolare la lettura di determinate parole (specialmente quelle lunghe, che possono essere rese più leggibili attraverso una divisione “animata” in sillabe che si allontanano, o mediante diverse tipologie di effetti cromatici);

- la possibilità di abbattere il tempo di parola dell’insegnante anche attraverso il ricorso al copia-incolla immediato di immagini, espediente che può, a seconda dei casi, facilitare il brainstorming lessicale, evitare il ricorso alla traduzione e supportare visivamente l’uso di perifrasi in caso di vocaboli nuovi.

Creazione di contenuti di qualità

Non distinguo nella nebbia della memoria il momento in cui presi coscienza che un tasto non era più solo un tasto, che ogni piccola funzione dello strumento poteva diventare un’idea per la prossima lezione, che la nuova tecnologia che avevo in mano mi stava portando a inventarmi nuove micro-tecniche, e che non necessariamente le soluzioni che andavo trovando si allineavano ai modelli pedagogici (o a quelli di business) celati dietro quel determinato prodotto della tecnologia educativa. Sapevo, però, di non essere sola nella sperimentazione quotidiana. La bolla social che mi ero costruita con tutti quegli hashtag legati alla sfera della didattica delle lingue, infatti, mi permetteva di osservare da vicino un fenomeno chiaro e distinto: quello dell’insegnante di lingua (italiana) che non soltanto prova a svincolarsi dalle scuole di lingua o dai colossi del digital language learning grazie a qualche nozione di digital marketing, ma che talvolta crea anche contenuti didattici di alta qualità, trovando persino il modo di trasformare una storia Instagram in un questionario multimediale, di piegare un reel ai fini di una prova di comprensione, o di convertire un post a carosello in una mappa lessicale.

Bibliografia

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