Che cosa c'è in fondo alla china della “carinizzazione” della lingua, messa al centro della campagna #leparolevalgono che l'Istituto della Enciclopedia Italiana ha lanciato a partire dall'ottobre del 2015? Ricordare che “la lingua italiana comprende oltre 250.000 parole” e sarebbe bene che ciascuno arricchisse il proprio bagaglio lessicale e intellettuale? Sì, è così. Altrimenti, ecco l'effetto ponte ponente ponteppì: usare, usare, usare, riusare e strausare equivale a usurare. Una parola o una locuzione, progressivamente, tende prima a dilatare il suo significato e aumentare le referenze. Troppi referenti, nessun referente, si potrebbe dire: la desemantizzazione è corrosiva e resiste soltanto la forma, ridimensionata nella sua pura e preverbale corporeità fonica. L'unità lessicale, semplice o complessa, resta buona, ormai e caso mai, per una filastrocca, come ponte ponente ponteppì tappe tapperùgia, ma non per comunicare ed esprimere in modo efficace, evoluto, ricco di sfumature.

Reaction senza reazione

Nel breve filmato dedicato all'iniziativa #leparolevalgono, una giovane risponde (che) carino! o carinissimo ad ogni stimolazione positiva. Ma che senso ha dire carino in tante situazioni tanto diverse l'una dall'altra? Passa un bel ragazzo, carino!; un signore di una certa età le cede il posto in autobus (male, il mondo si è capovolto!), carino!; guardando un film non eccezionale, carino...; prendendo in braccio un cucciolo di cane, che carino!; estasiata, al cospetto di un bel paesaggio, carinissimo! Tutto, inclusa la dimensione antropologica ed emotiva, risulta appiattito e banalizzato. La reazione emotiva è slavata, si riduce alla dimensione piatta della reaction in stile Facebook.

Duemila non bastano

Da qui l'invito della Treccani a coltivare l'arricchimento della propria cultura, che passa attraverso l'arricchimento della lingua. Sì, come mostra alla fine lo spot, un paesaggio può essere definito magnifico, emozionante, sconvolgente, eccezionale, splendido, grandioso, fantastico, bellissimo e non sempre e solo carinissimo. Con l'avvertenza, naturalmente, di non far rientrare la “carinizzazione” dalla finestra, adoperando in modo automatico questi aggettivi per esclamare la propria approvazione, proprio come si fa con carino...

La battaglia contro l'impoverimento del bagaglio lessicale tra i giovani è al centro di numerose riflessioni svolte, anche in questo Portale, dal linguista Luca Serianni (I ragazzi e la lingua adulta): «tutti, ma davvero tutti, gli adolescenti scolarizzati dovrebbero raggiungere sicurezza in questa zona della lingua (lessico e semantica, ndr). Limitarsi alle 2000 parole del lessico fondamentale permette di sopravvivere nell'uso quotidiano, ma è troppo poco per accedere a un qualsiasi sapere avanzato: proprio quello su cui, in diversa misura e con diversi obiettivi, puntano le scuole superiori, nessuna esclusa».

Aranciata, bikini e cultura pazzeschi

Peggio ancora, poi, se una di quelle 2000 parole del lessico fondamentale passa da modo a moda di dire, creatura clonata dal grande apparato riproduttore dei media spettacolarizzati e propagato dai flussi dell'italiano parlato colloquiale e dell'e-taliano scritto. Il rischio di stereotipia (dal vario e mobile all'identico e fisso) e di desemantizzazione (dal particolare al generale, anzi, al generico) è tutto córso e la resa al tormentone è assicurata. Scrive il giornalista Luca Mastrantonio a proposito della parola pazzesco, che dà il titolo a un suo recente “dizionario ragionato dell'italiano esagerato” (Pazzesco!, Marsilio 2015): «No, non è una semplice parola: pazzesco è la resa incondizionata del vocabolario italiano di fronte a qualcosa che genera stupore, orrore o meraviglia espressi con una serie di suoni che possono dire tutto e niente. È la formattazione della nostra facoltà di giudizio [...]» (p. 157). Oggi impazza, pour cause, pazzesco: pazzesca è l'aranciata amara San Pellegrino in uno spot, come ricorda Mastrantonio; «Afef a 50 anni in bikini. Guardatela, ha un fisico pazzesco», titola l'edizione on line di «Libero» (negli anni Novanta, sostenuti dalle note musicali di Luca Carboni, si sarebbe parlato di fisico bestiale); “Una cultura pazzesca” è il nome di una collana di libri per ragazzi dell'editore Salani, che riprende con umorismo metalinguistico l'abusatissima locuzione; si badi, però, che «il mondo era contagiato da un'ignoranza pazzesca», secondo Alberto Caligaris, nel suo romanzo Il volo delle anatre a rovescio (e-Newton narrativa, 2006). E poi, com'è d'obbligo in tempi di cultura pop, non si può dimenticare la «boiata pazzesca» con cui Fantozzi battezza la Corazzata Potëmkin.

Homer Simpson e l'aggettivo mitico

Naturalmente, l'uso elativo e indifferenziato di tanti aggettivi qualificativi desemantizzati porterebbe ad allungare l'elenco guidato da carino: mi limito a ricordare mitico, che con l'ouroboros o Zeus non ha più niente a che fare, quando preferisce riferirsi a tutto ciò che piace, come sa Homer Simpson, che esclama mitico! anche nell'atto di ingollare famelico interi flaconi di medicinali scaduti, e come cantava con ironia già nel 2001 Francesco De Gregori: «E le radio delle ragazzine dove scoppia il silenzio /ed ogni dedica si confonde / Nell'aria che non ha confine, nell'aggettivo mitico / e nelle sue onde» (L'aggettivo mitico). Per eccezionale (veramente… eccezzziunale, avrebbe detto Abatantuono), fantastico, geniale, clamoroso, forte (tanto amato, quest'ultimo, dall'Adriano Celentano d'antan), pregasi ripassare un'altra volta.

Due visionari: Massimiliano Allegri e Albert Einstein

Non va dimenticato, però, che anche l'inglese, ricalcato nella semantica, può contribuire al tran tran del format. Ricordiamo importante, nei valori multiuso di 'rilevante, apprezzabile, buono, significativo' (in inglese, important 'rilevante') appioppati a un'azione di calcio giocato come a un'azione di Borsa. E ricordiamo visionario, che ha assunto da visionary l'accezione di 'persona immaginativa che pensa il futuro in modo creativo': una volta a un visionario si sarebbe dato un farmaco contro le allucinazioni o, in senso estensivo, di lui si sarebbero criticate le distorte interpretazioni della realtà; oggi, _visionaria “_all'inglese” è l'astronauta Samantha Cristoforetti (cfr. «l'Espresso» del 17 maggio 2016, p. 79) – e non si capisce bene il perché, nonostante gli indiscussi meriti aerospaziali -, ma visionario è, come negarlo, Albert Einstein, in compagnia, ç__a va sans dire, dell'allenatore della Juventus Massimiliano Allegri (calciomercato.com).

Le parole-slogan della politica

Se ci interessa pensare in termini di ricchezza lessicale e raffinatezza semantica, dovremmo ricordarci anche di ragionare bene sulla qualità del lessico politico odierno. Già più di vent'anni fa, Luciano Canfora sosteneva nel «Corriere della sera» (22 dicembre 1994, p. 1) che parole come liberale e liberaldemocratico, svolazzanti di bocca in bocca dalla destra alla sinistra, «andrebbero radiate dal lessico, visto che sono ridotte a puro flatus vocis, emissioni fonetiche di suoni senza contenuto». La politica ipermediatizzata degli slogan martellanti e la globalizzazione comunicativa hanno, se possibile, intensificato il fenomeno negli ultimi vent'anni: democrazia, libertà, sovranità, stato, riforma, popolo sono tag che rimandano a troppi testi, contesti e locutori. Le parole-formula rischiano di non informare e di sformarsi, deformandosi nel non detto - di solito, in ciò che non viene detto per calcolo -.

Parlare di cose e robe

Una vita sociale e civile adulta si nutre della capacità di padroneggiare con proprietà e ampiezza le risorse del lessico, uno degli strumenti fondamentali del sapere avanzato che fonda una cittadinanza matura. Carino non deve scomparire dal nostro vocabolario, evidentemente: deve soltanto essere selezionato per gli usi appropriati. La lingua parlata, nella sua dimensione colloquiale, quella che occupa le interazioni comunicative di gran parte della quotidianità, sfrutta molti automatismi, anche stereotipici, necessari a uno scambio semiotico fluido, in sinergia istantanea con altri segni, non verbali (silenzi, gesti, smorfie, posture). Dire, fare, cosare... Passami quella roba lì... Come si usa questo coso? Le parole generiche che affiorano qua e là nei dialoghi sono parte di una viva e mossa recita quotidiana che nessuno può permettersi di censurare, pena una performance comunicativa artefatta e anchilosata.

D'altra parte, ogni parola, in ogni suo significato, dovrà avere l'occasione giusta per manifestarsi: per esempio, un inventore, nella richiesta di brevetto - un serio documento ufficiale che prevede un grado alto di formalità e una buona precisione terminologica - non motiverà le qualità del proprio artefatto scrivendo «ora vi spiego quant'è carino questo coso».

Le nostre opere, idee, azioni valgono anche nella misura in cui #leparolevalgono.