La popolarizzazione del linguaggio politico, propria del "populismo mediatico", contraddistingue un modo diverso, aggiornato, di comunicare la politica. Che sia mutato il modo di fare politica, è tutt'altra faccenda. Non sembra che siano scomparsi i tatticismi e gli inciuci (per dirla con un termine dialettale campano riportato in auge da Massimo D'Alema - che in prima istanza parlò addirittura di inciucioni); non sembra che siano venute meno, di tanto in tanto, le condizioni per ribaltoni degli assetti governativi; né che, in specie nella corrente legislatura, ci si accapigli, cercando di non farlo vedere, per ottenere o viceversa tenere ben salda qualche poltrona: in un paio di parole - intramontabili - per affrontare la necessità di verifiche ed eventuali rimpasti. Di rimpasto si è tornato a parlare ancora nell'estate e poi, in occasione della travagliata discussione in aula della legge finanziaria, nell'autunno del 2004. Se ne è tornato a parlare nel classico, tradizionale modo proprio della politica italiana d'antan, percorrendo i binari non esattamente paralleli né tanto meno convergenti delle dichiarazioni trasversali rese in pubblico in termini sibillini - se non criptici - perché destinate alla decrittazione da parte degli alleati di governo coinvolti nella gara per questo o quel dicastero (per la serie: chi deve capire capisca); se ne è tornato a parlare nelle dichiarazioni arrembanti, in ogni caso indirizzate contro gli avversari dell'opposizione, rese in pubblico sulla piazza televisiva di questa o quella puntata di Porta a porta, destinate al cittadino-elettore. Il doppio binario del linguaggio, sempre in funzione quando si tratta di lavare i panni sporchi in famiglia ma necessariamente mostrandone qualche lembo alla nazione, corrisponde a un modo quanto mai usitato (per non dire vecchio) di fare politica. Notava già nel '95, con una qualche amarezza, Alberto Sobrero: "Il problema del politichese non era solo, come pensavamo, di metafore e di sintassi. Era anche di contenuti, di proposte, di idee, di coerenza tra parole e fatti, di credibilità e affidabilità personale. Un po' ci eravamo sbagliati: anche in politica saper comunicare è importante, ma non basta: bisogna avere anche dei ricchi e "buoni" contenuti da comunicare e da confrontare. Quando questo accadrà sapremo che, con il vecchio politichese , è morta la Prima Repubblica. Non prima".
Nell'incendio delle polemiche contro il nemico bipolare di turno e nel fuoco del litigio tra alleati, il gentese - così è stato soprannominato il linguaggio della politica declinato all'altezza dell'orizzonte emotivo del cittadino-elettore - tenta di crearsi modelli di prestigio diversi dal passato: tendenzialmente negletta o offuscata la retorica di stampo umanistico e riservata soltanto (ma non sempre) ai dibattiti parlamentari la sintassi complessa e articolata di matrice giuridico-letteraria, si sceglie come vestito buono il dominio del frasario tecnicistico di stampo economico-finanziario. Viene armata una moderna ed efficientistica retorica delle cifre, dei tecnicismi lessicali, dello sciorinamento di dati e statistiche per dimostrare la solidità delle proprie scelte e la fondatezza delle proprie opinioni.
Mentre politici di estrazione e cultura sindacale come Fausto Bertinotti più sovente di altri attingono al magazzino della sociologia e dell'economia, uomini-azienda (fondatori del partito-azienda per eccellenza, Forza Italia) come Berlusconi non di rado infarciscono i loro discorsi di termini e ragionamenti degni di esperti di contabilità e finanza: agli scontati e tutto sommato comprensibili livello di benessere, politica degli investimenti, sviluppo possono fare seguito i meno decifrabili project financing, business friendly, board di una multinazionale, venture capital, followship, presi di peso dall'inglese, o frasi come vantaggi offerti dai diversi paesi in una logica di concorrenza tra i diversi management (cfr. Roberto Tartaglione, Also Sprach Berlusconi, in www.diario.it , 15/1/2002).
Si sono infittite le occasioni in cui Silvio Berlusconi, negli ultimi mesi della sua seconda legislatura (anche se non consecutiva) in qualità di presidente del Consiglio, ha premuto sul pedale delle magnifiche sorti e progressive della finanza creativa promossa e attuata dal governo per mezzo delle ricette aggressive del ministro dell' Economia e Finanze Giulio Tremonti prima e dei faticosi equilibrismi del sostituto Domenico Siniscalco poi. Prima della tornata delle amministrative della primavera del 2004, Berlusconi ha fatto pervenire agli elettori un appello al voto in forma di lettera, accompagnato da una pubblicazione patinata. Non era, quest'ultima, l'edizione riveduta e corretta della biografia illustrata, fotoromanzo patinato di un "italiano" che si è fatto da sé, diffusa alla vigilia delle elezioni del 2001, che lo consacrarono vincitore; bensì un testo di non agile lettura, ridondante di cifre e statistiche, una sorta di perentorio e inoppugnabile maxi-scontrino fiscale esibito come prova tangibile dei successi conseguiti dall'esecutivo da lui presieduto.
La "deriva numerica" dell'ultimo Berlusconi può forse essere letta come la spia di un disagio politico più profondo: "II Berlusconi di oggi - sostiene Mario Rodriguez, esperto di comunicazione pubblica - pensa in termini logico-deduttivi: spiega che esiste una verità (quella che ha lui) con dei dati e si arrabbia se le persone non li capiscono perché a lui sembrano una realtà oggettiva. L'uomo che ha costruito il proprio potere sulle percezioni, con un uso intelligente della televisione, è ora affascinato in una maniera inaudita da un taglio comunicativo basato solo sui numeri. È come se uno spot qualsiasi si dilungasse sui dati tecnici delle prestazioni del prodotto: una cosa che il linguaggio della pubblicità - il linguaggio di Berlusconi - ha completamente abbandonato. Ci sono volumi interi che spiegano come il voto non si orienti retrospettivamente, ma parlando del futuro. Lui, però, si ostina, per di più con una regressione forte della propaganda, come a dire: io ho la verità, siete voi che non capite. L' uomo della comunicazione si è trasformato nell'uomo della propaganda - conclude Rodriguez -. Non stabilisce una relazione, non cerca di costruire un valore con una buona strategia di marketing. Sono tecniche che ha inventato lui e che negli anni scorsi ha applicato".

Immagine: Totò. Crediti: fotogramma tratto dal film Gli onorevoli del 1963.

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