Riproduciamo integralmente e commentiamo un testo politico prodotto dal presidente del Consiglio Silvio Berlusconi. Si tratta di un documento significativo, in quanto si presenta, nelle intenzioni dichiarate dall'autore, non come un "articolo" ma "quasi" come "un manifesto", investito della funzione di incorporare il messaggio politico in un contesto ideologico complessivo che giustifichi la necessità del raggiungimento dell'obiettivo specifico. L'obiettivo è procedere a una riduzione delle imposte, pena la minaccia di crisi di governo e di rinvio a nuove consultazioni elettorali. Il testo viene definito da Berlusconi una "decisiva" "postilla" al "contratto con gli italiani" che egli stesso presentò l'8 maggio del 2001 in televisione (nel corso di una puntata di Porta a porta), culmine pre-elettorale di quella politica dell'"interscambio e della negoziazione" (M.V. Dell'Anna-P. Lala, Mi consenta un girotondo. Lingua e lessico nella Seconda Repubblica, Mario Congedo ed., Galatina 2004) imperniata sulla promessa da parte del candidato premier di tenere fede agli impegni presi solennemente e pubblicamente in precedenza nel pubblico foro televisivo.

**Il sillogismo
**Questo carattere di appendice al "contratto" permette a Berlusconi di costruire un ragionamento di tipo sillogistico: sono entrato in politica per adempiere una "missione" di cambiamento del Paese; su questo ho chiesto agli elettori e da loro ottenuto un preciso "mandato"; siccome la politica e la democrazia hanno senso soltanto se il cittadino, "padrone costituzionale delle decisioni che lo riguardano", vede rispettati i termini del contratto che il mandatario ha stipulato con lui, anche un singolo impegno contrattuale - nella circostanza, la riduzione delle imposte - va dal mandatario onorato; in caso contrario, valendo la parte per il tutto, lo svuotamento della politica di governo non può che portare alla risoluzione anticipata del contratto, con conseguente resa della sovranità decisionale nelle mani dell'elettore. Insomma, l'unico rapporto vincolante tra rappresentanti e rappresentati è quello tra il leader del governo e il popolo "sovrano". Poco spazio resta a chi si oppone in parlamento o a chi, tra gli alleati, cerca di pesare sulle scelte di governo in modo autonomo, non allineato con le posizioni del leader di governo. Poco spazio, cioè, per la fisiologica dialettica interna alle istituzioni e agli schieramenti politici.

L'"unto " sul "Foglio"
Il "quasi manifesto" è stato inviato al quotidiano "Il Foglio", che l'ha pubblicato il 23 novembre del 2004. Nella scelta del medium - un giornale che, anche con funzione di pungolo, gli è vicino - si individua la volontà di Berlusconi di presentarsi come uomo di parte, combattivo propugnatore delle proprie idee, in primo luogo interessato a rinsaldare i legami con il proprio elettorato. Ma, essendo "Il Foglio" un giornale letto con attenzione dai politici di ogni orientamento e tenuto in conto da tutta la stampa nazionale che si occupa di politica, Berlusconi mostra di volersi rivolgere anche ai suoi avversari e, come vedremo, in special modo ai suoi alleati di governo, piuttosto recalcitranti a seguirlo sulla strada della riduzione delle imposte. Forte la personalizzazione del discorso (più di dieci volte ricorre la prima persona singolare nei verbi), che illumina enfaticamente Berlusconi come politico, come leader di uno schieramento, come alta carica istituzionale. In certe scelte lessicali   e descrittive (missione, spero e credo, lo stolto dice, i soliti increduli, un imprenditore aveva cambiato vita e mestiere) si coglie   un intento di autocelebrazione morale e spirituale, che non stupisce in chi ebbe a definirsi unto del Signore.

**Un tono solenne
**Le caratteristiche del testo (scritto) e l'occasione (cruciale) ispirano un tono particolarmente solenne e formale, caratterizzato da un uso insistito delle tradizionali figure retoriche di ripetizione, con intento di amplificazione (terne, anafore, anadiplosi, poliptoti, dittologie sinonimiche), e da uno stile argomentativo ora didattico, ora polemico fondato su correzioni e parallelismi. Dal punto di vista strettamente sintattico, si riscontra un uso moderato della subordinazione, ristretta alle sue tipologie più elementari (oggettive, relative). Più spesso le frasi sono monoproposizionali e mai troppo estese. Si veda in particolare il paragrafo conclusivo, martellato su cinque anafore, che conferiscono al finale un tono perentorio e solenne. Sotto il profilo lessicale, notevole il concentrarsi attorno ad alcuni nuclei lessicali di presa forte e immediata, fenomeno tipico delle più recenti strategie comunicative adottate dai politici. Berlusconi batte e ribatte su libertà, responsabilità, chiarezza, novità (e cambiamento) e volontà. Parole-chiave: mandato (quello ricevuto dal premier per via elettorale) e cittadino (elettore e sovrano).

**In primissima persona
**Tornando sul ricorso massiccio alle forme verbali in prima persona singolare (sulla "propensione straordinaria a dire io" presente in Berlusconi ha scritto parole taglienti il linguista Raffaele Simone), si concluderà sottolineando come queste isolino e insieme esaltino lo scrivente nella drammatizzazione dell'uno-contro-tutti, nel fuoco di una crisi sulle cui fiamme è lo stesso Berlusconi a soffiare. Insomma, il premier si offre come martire, conscio che il rogo potrà incenerirlo o, viceversa, sublimarne e glorificarne l'immagine. Peraltro l'apoditticità del tono sembra rendere rituale l'esibizione di un'alternativa tra vittoria e sconfitta: in realtà, chi scrive sembra più dettare condizioni che prospettare sbocchi differenti dall'unico perseguito, il cosiddetto "taglio delle tasse".

**Istruzioni per l'uso
**I blocchi di testo individuati dai capoversi sono contrassegnati con lettere minuscole, a partire dalla [a] fino alla [i]. Il commento al testo procede per link: cliccando su termini ed espressioni evidenziate, si potrà accedere all'analisi dei passi più significativi, corredati, tra l'altro, dalla spiegazione delle figure retoriche di volta in volta impiegate.

[a] Gentile direttore - Questo che la prego di ospitare non è un articolo, è quasi un manifesto. E' una postilla al contratto con gli italiani, ma decisiva perché ne riassume il significato e il valore politico ed etico. Infatti quel contratto non era un espediente elettorale, secondo la versione banale che ne danno i soliti increduli e qualche praticone della politica politicante. Quel contratto esprimeva il senso stesso del mio ingresso nella politica italiana, dieci anni fa. Era l'unica legittima giustificazione, dopo sette anni di inganni seguiti al ribaltone del '94, della perseveranza e perfino dell'ostinazione con cui un imprenditore aveva cambiato vita e mestiere per compiere una «missione politica» nel senso più alto e necessario di questa espressione.
b] Il cuore del contratto con gli italiani è che questo paese può fare meglio, può diventare più libero e più responsabile. E che questa nuova libertà responsabile è possibile ottenerla solo ed esclusivamente riducendo la dipendenza del cittadino, e in primo luogo del lavoratore, del contribuente, dallo Stato, che è fatto per servirlo e non per esserne servito. La riduzione del carico fiscale sul reddito individuale e sull'impresa grande e piccola non è né un regalo né una promessa: è bensì una strategia di cambiamento del nostro modo di vita, è un nuovo orizzonte, è una nuova frontiera della politica. Il cuore del cuore del contratto era la chiara e libera volontà, affermata testualmente e chiaramente, di vincolare alla realizzazione di questo programma la sorte del mio impegno personale e di quello del partito di maggioranza relativa che ho avuto l'onore di fondare dieci anni fa. Se le imposte si riducono in modo consistente e visibile, la corsa continua. Altrimenti, la parola deve tornare agli italiani perché siano loro a decidere del proprio destino.
c] Lo stolto dice che sono prigioniero delle promesse elettorali. Non è così. Io sono volontariamente prigioniero solo della mia idea di libertà, in economia e in politica. Io sono convinto che l'azione di governo deve fondarsi su un mandato, e che il mandato degli elettori sovrani è il fondamento, è la legittimazione dell'esistenza di un governo e della sua effettiva capacità di agire. Il resto è professionismo politico senza contenuto e senza legittimità democratica. Se sulle nostre spalle pesa uno dei debiti di Stato più colossali del mondo, la colpa è di governi che hanno governato senza tenere in alcun conto il mandato elettorale. Se la benedetta introduzione della moneta unica europea ha fino ad ora prodotto un risultato che è l'esatto contrario dello scopo per cui l'euro nacque, e cioè un'economia asfittica e una crescita zoppicante sotto il fardello del vincolismo «stupido» invece che una liberazione delle grandi energie dell'Unione, lo si deve di nuovo al clamoroso abbaglio di una politica senza mandato. Le burocrazie e i partiti sono l'ossatura costituzionale dello Stato e i necessari protagonisti della vita pubblica, ma il protagonista più grande e indiscusso è il cittadino elettore, è lui il padrone costituzionale delle decisioni che lo riguardano.
d] La riduzione strutturale delle imposte, combinata con un intelligente ridimensionamento e cambiamento qualitativo della spesa pubblica e con un duttile ricorso al deficit di bilancio, è la leva che ha permesso i più grandi risultati nella storia dell'economia occidentale. Senza sviluppo non c'è risanamento, ma stagnazione. E senza maggiore libertà economica, lo sviluppo non arriverà mai. Attivare la leva fiscale è la politica di questo governo, concordata con la maggioranza che lo ha eletto e presentata nella massima chiarezza agli italiani e sottoscritta con parole inequivoche dai leader e dai candidati dei partiti della coalizione di governo. Impossibile anche solo pensare che a questo programma si possa rinunciare, aggiustando in qualche modo le cose a seconda di nuove convenienze e rinnegando un esplicito mandato con argomenti contingenti e di facciata. Il mio partito ed io non siamo a disposizione per questo voltafaccia. Il presidente del Consiglio non è a disposizione per questo rovesciamento del senso stesso di una missione di cambiamento e di sviluppo del paese.
e] Sono orgoglioso della stabilità assicurata all'Italia. Dei progressi nel campo dell'occupazione e del mercato del lavoro. Della nostra capacità di introdurre riforme decisive nei campi dell'educazione, del vivere civile, del sistema pensionistico, dell'organizzazione federale dello Stato. Sono fiero della severità con cui abbiamo tenuto in ordine i conti pubblici in un tempo di stagnazione e sotto gli effetti della guerra contro il terrorismo all'indomani dell'11 settembre. La copertura delle riduzioni fiscali c'è anche in virtù di questa azione responsabile di politica economica.
f] Sono convinto che l'Italia abbia speso nel modo migliore la sua influenza nel mondo per espandere la democrazia contro le tentazioni neototalitarie coltivate dai fanatici della guerra santa. So che con la firma a Roma del nuovo Trattato costituzionale l'Europa ha fatto un passo avanti molto significativo sul piano politico, e sono impegnato alla più solerte ratifica di questo passo avanti. Abbiamo fatto tutto quel che dovevamo per integrare e rilanciare sul piano mondiale le due grandi tradizioni politiche italiane, quella atlantica e quella europeista. Ma non sono per nulla soddisfatto dell'evidente povertà dei tassi di crescita delle economie europee e di quella italiana, specie se comparate all'energia mostrata dall'economia americana, rilanciata dal più consistente taglio fiscale della storia di quel paese. Non sono per niente soddisfatto del tasso troppo basso di innovazione, di ricerca, di investimento e consumo delle economie europee e della nostra.
g] Senza una radicale immissione di libertà e di responsabilità, senza un appello e una scossa alla società, ai cittadini e alle imprese, il rischio da tutti percepito è quello di un declino strategico. Una costante della storia dice che meno i popoli sono liberi, meno sono ricchi. E che la prosperità vera è un modo di vita dignitoso per tutti, in cui a ciascuno sia lasciata una quota di responsabilità, pari alla sua libertà, per crescere e competere con gli altri. La solidarietà sociale e le regole pubbliche, elementi indispensabili in ogni economia di mercato, possono e devono correggere gli squilibri, ma non devono mai diventare una filosofia della rinuncia, una limitazione delle libertà individuali e imprenditoriali, una filosofia della miseria.
h] Spero e credo che sia possibile usare i diciotto mesi che ci separano dalla fine della legislatura per andare fino in fondo. In Europa è fortissima la spinta a rivedere gli aspetti di vincolismo rigido del Trattato di Maastricht, quei fattori perversi che hanno incrementato il valore della nostra moneta oltre il necessario e artificialmente penalizzato la competitività delle nostre industrie e dei nostri servizi. Il nostro modello produttivo e di consumo deve tornare a credere in un orizzonte economico più libero e competitivo. Chi produce reddito individuale e profitto d'impresa deve tornare a credere nella possibilità di spenderlo e di investirlo in piena autonomia e indipendenza da uno Stato mangiatutto.
i] E' per questo che sono entrato in politica. E' per questo che ho formato una coalizione di governo. E' per questo che ho firmato un contratto con gli italiani a nome di questa coalizione. E' per questo che disponiamo di una maggioranza elettorale chiara e stabile nel paese e in Parlamento. E' per questo che ho detto e confermo, senza arroganza, ma anche senza cedere a quello spirito rinunciatario che è il male oscuro della politica italiana: o si attua il programma fino in fondo oppure la missione è finita e la parola torna al paese.

Immagine: Totò. Crediti: fotogramma tratto dal film Gli onorevoli del 1963.