Con I manifesti politici. Storie e immagini dell’Italia repubblicana (Carocci), Edoardo Novelli propone un percorso nella comunicazione politica italiana attraverso un’antologia di manifesti affissi in occasione di competizioni elettorali e referendum, per effettuare controinformazione, informare su lotte specifiche, fare comunicazioni interne, commemorazioni e campagne di sensibilizzazione. Partiti, movimenti, associazioni li firmano, i cittadini li osservano guardando i muri e i cartelloni, e ne leggono parole e immagini insieme. Sono testi sincretici che dal secondo dopoguerra ai nostri giorni di internet hanno avuto (e in parte hanno ancora) un ruolo importante. Novelli ne ha selezionati oltre 130, per mostrare la narrazione per immagini che la politica ha fatto dell’Italia. Dedica un capitolo a ogni decade dagli anni quaranta ai novanta, e un’unica sezione dal 2000 a oggi, così da offrire un riepilogo di alcuni dei principali eventi e temi politici (e momenti storici) della storia repubblicana del nostro paese, ma soprattutto di come la comunicazione politica visiva li ha affrontati, «attraverso stagioni, stili, vocabolari simbolici, ispirati a correnti artistiche, scuole, movimenti e al lavoro dei loro principali esponenti». Dal manifesto del Corpo volontari della libertà all’indomani del 25 aprile 1945 al bacio tra Salvini e Di Maio dello streetartist TvBoy nel 2018, dai debiti all’iconografia fascista all’incontro coi linguaggi del fumetto e della pubblicità, dalla Ricostruzione e dal conflitto ideologico tra anticomunisti e comunisti fino ai polbuster antiberlusconiani e agli slogan contro i campi nomadi della Meloni, passando per i manifesti che annunciano le morti di Aldo Moro e di Enrico Berlinguer.Immagine 0

Coerentemente con gli studi nel campo dei Cultural e Visual Studies, Novelli sottolinea che «i manifesti politici, prodotto di rapido consumo, spesso realizzati nell’immediatezza della polemica elettorale e della battaglia politica, sono testi complessi capaci di restituire, se interrogati con la giusta prospettiva, molto di più della semplice cronaca storico-politica». In effetti i manifesti politici hanno trovato nel corso degli anni spazio in esposizioni specifiche, con relativi cataloghi, e sono diventati da tempo oggetto di archiviazione, studio e digitalizzazione (citiamo a titolo di esempio il progetto Manifestipolitici.it avviato dal 2000 dalla Fondazione Gramsci Emilia-Romagna, o il catalogo Iveser, consultabili online). Novelli si inserisce quindi, e non solo con questa pubblicazione, in una tradizione recente ma ormai rilevante, per quanto, come osserva nell’introduzione, attuata non sempre con le dovute attenzioni scientifiche, specie dai partiti stessi che documentano la propria produzione iconografica.

Il libro si presenta quindi come una preziosa guida, agevole e fruibile non solo da studiosi. Ogni sezione è aperta da una breve introduzione al contesto storico e politico generale, che presenta anche le tendenze stilistiche della ricerca iconografica dei manifesti politici del tempo, seguita dalla selezione di immagini, ognuna introdotta da una breve presentazione che la contestualizza specificamente e ne offre una lettura, segnalando stili, linguaggi e modelli usati, nonché la funzione (comunicazione interna o esterna). Sono manifesti a colori e in bianco e nero, in cui gradualmente emerge l’uso della fotografia, del fotomontaggio, del disegno e del fumetto, anche per mano di autori come Jacovitti, Guareschi, Crepax, Chiappori, Altan e Gal o di agenzie come la Saatchi & Saatchi. La loro citazione evidenzia come la trasformazione sociale negli anni richieda rinnovamento anche nella comunicazione, e per questo ci si affidi via via ad artisti e a professionisti del settore.Immagine 1Togliatti è ritornato, Partito comunista italiano 1948

L’arco politico, che cambia nel corso dei decenni, è coperto quasi integralmente. Dai partiti della Prima Repubblica (formula giustamente criticata dall’autore, in quanto i governi successivi non introducono alcuna concreta variazione delle istituzioni, ma funzionale a indicare la nascita di una nuova fase partitica e iconografica) a quelli dell’ultimo trentennio, abbiamo 22 affissioni degli anni anni Quaranta, in cui prevalgono Pci, Dc, Psi, Pri, ma con testimonianze anche di Corpo Volontari della libertà, CLN, Movimento e Partito nazionale monarchico, Fronte democratico popolare, Blocco nazionale e Unità socialità, oltre al Comitato civico che fiancheggiava la Dc. I due partiti chiesa prevalgono anche nei decenni successivi, fino agli anni Ottanta, con complessivamente 12 manifesti del Pci e 16 della Dc, ma a destra emergono sempre più testimonianze del Msi, e a sinistra, oltre a Psi e Psdi, appare la Nuova sinistra, dagli Studenti universitari di Torino a Lotta continua, Potere Operaio, Avanguardia operaia, poi la Pantera e il Genoa social forum. Nell’area della sinistra, o delle realtà, anche associazionistiche, che hanno raccolto molte adesioni e partecipazione a sinistra, sono presentati manifesti dell’Arci-Udi, del WWF, dell’IFAW, di Amnesty International, della Comunità di Sant’Egidio e Greenpeace. E come il Pci e gli altri partiti cedono il posto a Pds, Rifondazione Comunista, e alle coalizioni L’Ulivo, L’Unione, o a nuove formazioni come il Pd, sul versante opposto dal Msi si passa ad An e Fratelli d’Italia; nasce Forza Italia, la Lega (Lombarda, Nord, o Lega – Salvini premier); se scompare la Dc si incontra l’Udc, mentre gradualmente emergono il Partito radicale (poi la Lista Bonino), il Fuori e il Mit per le lotte dei diritti civili. Ciò che conta però non è tanto l’evoluzione onomastica delle formazioni politiche, quanto la trasformazione della loro comunicazione, che arriva a mettere in primo piano non più l’elettorato, la sua realtà quotidiana, il suo lavoro, ma il leader del partito o del movimento o della coalizione da votare.

La personalizzazione della politica è uno dei numerosi fenomeni che emerge dalla lettura dei manifesti. Significativi sono però anche attacchi ad personam oggi impensabili, se non nei polbuster su internet o sui social con cui vengono irrisi slogan e personaggi della politica; con ironia, satira e caricature sono colpiti il segretario del Msi Giorgio Almirante, trasformato in Adolf Hitler dal Psi nel 1972, o Richard Nixon inquadrato in un mirino con la scritta “Vomitate qui”, o Gianni Agnelli seduto come su un trono minacciato da una molotov accesa. Per comprendere la distanza dai nostri giorni, basti pensare alle polemiche sorte contro il manifesto ironico di Rifondazione comunista con lo slogan «Anche i ricchi piangano», nel 2007. Ci sono poi discorsi complessi sui manifesti che richiedono una riflessione, non un semplice consumo rapido, come il manifesto della Dc del 1974 in cui campeggia una bandiera rossa con falce e martello e la scritta in alto: «Compagni! qui la politica non c’entra. Si tratta di salvare la famiglia»; e in basso: «vota SÌ contro la legge borghese e antipopolare del divorzio», facendo leva sull’anticomunismo del suo elettorato attraverso simboli e lessico comunisti, e politicizzando così la campagna referendaria, ma lavorando anche sui dubbi dell’elettorato rivale.

La presenza della parola può essere ridotta ai minimi termini, come nel manifesto del Psi sul 25 aprile del visual designer Ettore Viale, che nel 1973, a fronte del fenomeno neofascista in crescita, presenta un manifesto con la data della ricorrenza, il simbolo e il nome del partito scritti in bianco su campo rosso nella metà alta, e in quella bassa un foglio nero che viene strappato, facendo emergere il rosso sottostante. La parola può però anche essere presente in maniera esorbitante, come nei manifesti clandestini, non firmati, dei movimenti negli anni settanta, simili ai giornali murari, come quelli del Pci che riportano quotidianamente lo stato delle lotte contro i licenziamenti Fiat nel 1980. In diverse schede Novelli, pur privilegiando l’elemento iconico, segnala il ruolo dell’elemento verbale: dalla contrapposizione dei campi semantici fedeli/infedeli, dittatura/libertà e comunisti/anticomunisti a nuovo/vecchio, la neoformazione forchettoni coniata dai comunisti per indicare chi sta al governo, i botta e risposta tra manifesti che implicava un dialogo a distanza attraverso i muri, l’apparizione dell’espressione mani pulite prima di Tangentopoli nelle parole di Giorgio Amendola riprese per la “questione morale” dal Pci di Berlinguer, o dello slogan Forza Italia! nei manifesti del Comitato civico nel 1951 o della Dc del 1987; il dialetto di «Lumbard tas!» della Lega l_u_mbarda, il “dipietrese” con Italia dei Valori, gli ossimori «Finalmente l’uomo giusto!» nella campagna di sostegno a Emma Bonino presidente della Repubblica nel 1999 e «L’estremo centro» di Casini nel 2009, il rovesciamento che Nichi Vendola attua in positivo delle parole per ferire a lui rivolte come «DIVERSO da quelli che oggi governano la Puglia», o i «giochi di parole fra destra anatomica e destra ideologica» in slogan di An come «Se il tuo cuore batte a destra» su manifesti in cui campeggia un cuore stilizzato, all’interno di una retorica generale che, soprattutto con le campagne di Forza Italia, punta sempre più alla ripetitività e alla saturazione.Immagine 2La DC ha vent’anni, Democrazia cristiana 1963

Gli studi sul linguaggio politico e sulla sua lingua sono oggi numerosi. Dagli studi di Gianluigi Beccaria e di Umberto Eco a volumi come Mi consenta un girotondo di Maria Vittoria Dell’Anna, La faconda repubblica di Riccardo Gualdo, o gli atti del convegno Asli 2014 L’italiano della politica e la politica per l’italiano, fino agli interventi in presa diretta di Michele Cortelazzo con Le parole della neopolitica. E per quanto riguarda l’analisi della relazione tra parola, immagine e coinvolgimento del lettore nelle strategie di persuasione va senz’altro ricordato tra i più recenti La parola disonesta di Edoardo Lombardi Vallauri. Anche in questa prospettiva il libro di Novelli offre però notevoli spunti. Considerandolo come corpus, infatti, a un’analisi linguistica emerge – come è ovvio che sia – la prevalenza di slogan su testi complessi, argomentati, e di frasi brevi, paratattiche, raramente nominali («ancora in marcia per la ricostruzione»; «basta con l’immunità parlamentare»; «Un impegno concreto: meno tasse per tutti», e la parodia: «meno tasse per Titti»). Frasi in cui prevale nettamente il verbo votare, ma ricorrono anche liberare, governare, scegliere, e fare (anche nella causativa fai vincere o nello slogan si può fare), o verbi riconducibili al campo semantico della difesa (salvare, difendere, impedire), del movimento e dell’azione (camminare, colpire, ricostruire, prendere, tagliare le spese inutili, mandare a casa), prevalentemente usati al modo imperativo, raramente al congiuntivo («anche i ricchi piangano»), in un solo caso al condizionale: «affidereste il vostro futuro a quest’uomo?», in una delle poche interrogative (tra le quali la domanda retorica: «NOI abbiamo le mani pulite. Chi può dire altrettanto?»). In un profluvio di formule assertive, infine, appare un’unica ipotetica sospesa: «Se il tuo cuore batte a destra», che si completa nell’immagine con il logo del partito da votare. Ed è questo dialogo la ricchezza offerta dai manifesti.

Provando però a tradire l’impostazione di Novelli, e quindi focalizzando l’elemento linguistico, è interessante notare che i messaggi sono prevalentemente propositivi (dal tipo vota/te per a frasi finali come «per l’avvenire dei vostri figli»), meno frequenti quelli oppositivi, anche con formule introdotte da via usato in senso assoluto («via la monarchia», «via i condannati dal Parlamento») o da colloquialismi come alt!, stop o basta («Alt! al comunismo», «Stop al nucleare», «Basta con l’immunità parlamentare»). Si riscontrano però combinazioni propositivo + oppositivo ad esempio in «per una Scuola senza privilegi», «per la tua libertà contro ogni dittatura», «per abolirli, il 3 giugno, vota sì», «scegli di non andare a votare». Tra le parole chiave trionfa libertà, alcune appaiono con un valore semantico diverso dall’attuale (nel 1948 in “per un lavoro sicuro” l’aggettivo significa certo, non implica questioni di sicurezza sul lavoro), altre attraversano i decenni, come progresso, altre ancora sono scomparse, relegate a specifici momenti storici (ricostruzione, blocchi, l’atomica, anticomunista, compromesso storico) o perché riconducibili al lessico di una lotta politica o di schieramenti venuti a mancare (padroni, compagni). In pochi casi, infine, è verbalmente esplicitato il referente: donne italiane, lavoratori, lavoratori della terra, lavoratrici e l’ironico somaro del Nord. Nella comunicazione è però rilevante il pronome allocutivo, quasi sempre sottinteso, rivolto a chi legge: si passa dalla prevalenza del collettivo voi (votate) nel dopoguerra al familiare tu che attraversa i decenni diventando il più usato. La scelta del coinvolgimento è espressa ovviamente dal noi, presente nei manifesti, in tutti i capitoli, mentre per la trasformazione della lingua italiana è da notare l’uso di loro in funzione di soggetto fin dal 1963 («loro non fanno la dolce vita», «loro hanno subito l’immigrazione»), di lui nel 1981 («lui non pensa alle donne»).Immagine 3Il padrone morde, colpiamolo subito!, Lotta continua 1971

Sempre attraverso il tradimento si possono notare slogan bipartiti («Chi crede nel matrimonio / non ha paura del divorzio», «La sicurezza è un diritto di tutti. Garantirla è mio dovere») e l’uso di frasi marcate, non frequente ma attestato, sia con la diatesi passiva («Aldo Moro è stato assassinato / Vive nei nostri cuori la sua fede nella libertà»), sia con la collocazione in fine di frase dei pronomi personali soggetto: «La Pantera siamo noi», «Se dopo il 18 aprile sarò padrone io, tu sarai licenziata!». Non raro poi il ricorso a figure retoriche: l’annuncio della morte di Berlinguer ricorre ad anafore e ripetizioni con variazione: «Un uomo della classe operaia e del popolo. L’uomo del nuovo socialismo e della lotta per la pace. Una grande forza politica e morale della democrazia italiana. Un uomo giusto». Ma incontriamo anche le metafore «Resistenza e liberazione / le radici della nostra libertà» e «il futuro ha radici lontane». Se però queste espressioni possono essere intese indipendentemente dall’immagine, ciò non è possibile per «Abbiamo tagliato il grasso della politica», con una bistecca cruda le cui parti grasse sono denominate con le imprese compiute contro gli sprechi da Italia dei Valori; o l’analogia «L’unica pelliccia che non mi vergogno d’indossare» con Marina Ripa di Meana nuda che ostenta il pube villoso; o ancora l’acronimo Udc reinterpretato con «Un / Disegno / Comune», con le iniziali in rosso e scritto in verticale, come fossero versi, quasi a diventare un acrostico. Il nostro tradimento, in questi casi, è dunque impossibile.

Non si incontrano infine espliciti riferimenti ad autori letterari, e Tacito («hanno fatto un deserto e lo hanno chiamato pace») è l’unico riferimento verbale alla cultura classica, ma nelle elezioni del 1948 è evocato direttamente Garibaldi nel simbolo del Fronte popolare democratico, per cui è difficile non vederlo, e dialogare con la sua immagine. Diventa suo malgrado protagonista della campagna elettorale, e su entrambi i fronti, visto che anche la DC lo mette sui manifesti, facendogli rivendicare la necessità dell’indipendenza (in questo caso dal pericolo sovietico) usando addirittura l’Inno di Garibaldi: «si scopron le tombe / si levano i morti // va fuori d’Italia / va fuori o stranier», con i refusi nei due mancati apostrofi. Refusi, peraltro, se ne incontrano anche nel manifesto del Psi per il referendum del 2 giugno 1946 («Il Difendete con il voto i vostri diritti») e in quello del Comitato civico per le elezioni del 1948: «chi si astiene dal votare tradisce sé stesso e la sua sua famiglia». Va detto che il sé stesso accentato, oggi non più errato, è associato al muso di un asino che sceglie di non votare, il che, nell’insieme, forse è da interpretare come scelta linguistica ironica. Così come voluta è nella battuta della vignetta di Altan per il Pci nel 1980 la scelta dell’italiano popolare: «Cipputi, pare che c’è dei giocatori che scommettevano sulla sconfitta della loro squadra», dice Frascali calciando il pallone, esplicitando il collegamento con lo scandalo del “calcioscommesse”, e così l’analogia è la chiave per interpretare la risposta di Cipputi: «Pare che quattro italiani su 10 votano per la D.C., Frascali».Immagine 4Abbiamo tagliato il grasso alla politica, Di Pietro. Italia dei Valori 2008

In fondo, è proprio la cultura pop a giocare un ruolo determinante per le relazioni intertestuali, tanto iconograficamente quanto verbalmente. Come evidenziato dallo stesso Novelli, abbiamo ad esempio l’ironica ripresa della pubblicità del cachet Fiat di Mario Cussino del 1937 nel manifesto del Pli del 1963. La canzonetta, invece, appare nella parodia di Nel blu dipinto di blu usata dal Pci contro Fanfani nel 1958 («Dal blu / dipinto di blu / facciamolo / scendere giù»), mentre quando il Psi nel 1963 dice che «Loro non fanno la dolce vita» cita il film di Fellini, ma la fotografia con operai in bicicletta all’uscita dalla fabbrica evoca Ladri di biciclette di De Sica. Risulta quindi inevitabile il dialogo tra parola e immagine, che peraltro ha anche il merito di rivitalizzare espressioni idiomatiche cristallizzate: nel rovesciamento «il cane a sei zampe abbaia ma non dorme» l’animale è il logo dell’Eni, proprietario del “Giorno”, giornale che appare sul corpo dell’animale, attaccato come “stampa dei padroni” dal Pci nel 1968. E l’immagine è fondamentale anche per interpretare la battuta «sono diventata una poco di buono», enunciata dalla pera devastata dai pesticidi nella campagna del WWF nella campagna referendaria contro gli utilizzi dei fitofarmaci nell’agricoltura, nel 1990.

In effetti, tutto questo dimostra che Novelli ha ragione se considera i manifesti politici «una fonte primaria e privilegiata per l’analisi di ambiti e campi come le culture, gli immaginari, i linguaggi della politica e della società italiana».