Nell’ultimo decennio le discipline umanistiche hanno conosciuto una fioritura senza precedenti di manuali, opere di sintesi, lavori di inquadramento generale. Fino agli inizi degli anni ’90, le bibliografie dei corsi universitari italiani tendevano a riproporre quasi sempre gli stessi titoli, alcuni dei quali rimasti in uso per diversi decenni. Opere come Le origini delle lingue neolatine di Carlo Tagliavini (1949) o la Storia della lingua italiana di Bruno Migliorini (1960) sono state a lungo capisaldi irrinunciabili nelle rispettive discipline (la filologia romanza e, naturalmente, la storia della lingua italiana), e rimangono tuttora veri e propri monumenti, da leggere con profitto al netto dell’ovvia mancanza di aggiornamento e dell’estraneità alle esigenze attuali della didattica universitaria. Esigenze che, del resto, trovano soddisfazione nell’ampia scelta di opere che il mercato editoriale mette a disposizione anche per settori come la linguistica italiana e la storia della lingua. I titoli si contano ormai a decine, di tutti i formati e di tutti i tipi: dagli avviamenti brevi o meno brevi per gli studenti universitari dei diversi ordini, agli opuscoli monografici consacrati a singoli temi o a particolari tagli cronologici, fino alle opere collettive di stampo enciclopedico destinate al pubblico degli specialisti.
Messe a punto periodiche
I ritmi frenetici dell’editoria hanno certamente favorito la proliferazione delle iniziative e dei progetti, ma in tanto furor manualistico non è difficile cogliere l’esigenza degli studiosi di fissare e rendere trasmissibili gli elementi di base delle proprie discipline, in un momento in cui il futuro delle scienze umane tradizionali appare tutt’altro che roseo. Nel caso della storia linguistica, il patrimonio delle conoscenze settoriali tende da un quarantennio a questa parte ad arricchirsi tumultuosamente, anche grazie ad apporti da discipline affini (linguistica generale, dialettologia, sociolinguistica, scienze del testo, ecc.): il che rende certamente avvertita la necessità di periodiche messe a punto. Solo il tempo ci dirà quali e quanti fra i titoli in circolazione figureranno tra le pietre miliari accanto alla citata Storia di Migliorini e a opere collettive come la Storia della lingua in tre volumi curata da Luca Serianni e Pietro Trifone (1993-1994) o i due tomi de L’italiano nelle regioni diretti da Francesco Bruni (1992-1994).
SIS: cinquantadue autori
Un ottimo candidato a resistere alle ingiurie del tempo è sicuramente la Storia dell’italiano scritto (d’ora in avanti SIS) diretta da Giuseppe Antonelli, Matteo Motolese e Lorenzo Tomasin, stampata in sei volumi tra il 2014 e il 2021 per i tipi di Carocci. Si tratta di un’opera collettiva di proporzioni notevoli e dall’impianto assai ambizioso, che raccoglie saggi scritti da ben cinquantadue ricercatori, perlopiù specialisti di linguistica italiana, ma non solo. La SIS mostra fin dal titolo un’attenzione nuova per gli aspetti diamesici della storia linguistica, per le questioni, cioè, che toccano i rapporti tra lingua scritta e lingua parlata. L’argomento è particolarmente delicato nel caso dell’italiano, lingua che prima dell’Unità è stata per secoli molto più scritta che effettivamente parlata, e che solo in anni recenti è diventata patrimonio vivo di una comunità di parlanti ampia ed eterogenea.
Le componenti formative primarie
Il sottotitolo di questo tomo conclusivo, Pratiche di scrittura, lascia già intendere che si tratti di un volume decisivo nell’economia dell’intera serie (per la presentazione dei primi volumi della SIS rinviamo alla nostra recensione [2015] e all’intervento di Giuseppe Polimeni [2018] citati nella bibliografia). I nove saggi che lo compongono ricostruiscono in sintesi, da angolazioni diverse, il percorso che ha portato alla formazione dell’italiano letterario nelle sue componenti primarie (la rappresentazione dei suoni, il sistema interpuntivo e paragrafematico, la scelta apparentemente banale dell’alfabeto latino): un percorso tutt’altro che semplice o lineare come si potrebbe credere. Le regolette che abbiamo appreso nei primissimi anni di scuola, e che proprio per questo consideriamo “facili” o diamo per scontate, in altre epoche non esistevano, o comunque non erano scontate per nulla; proprio per questo l’opera, rivolta in primo luogo agli specialisti ma scritta in modo sempre chiaro e senza inutili esoterismi, è particolarmente consigliabile per il pubblico dei non addetti ai lavori, che nella lettura potrà scoprire come anche dietro un punto e virgola o una h si nasconda una lunga storia.
La tradizione grafica e ortografica
I primi due saggi, firmati rispettivamente da Lorenzo Tomasin e da Rosario Coluccia, affrontano due questioni diverse ma intrecciate: il primo indaga la formazione del sistema grafico dell’italiano, del modo cioè in cui rappresentiamo nella scrittura i suoni della nostra lingua; il secondo si occupa invece della “nascita” della moderna punteggiatura e del sistema dei segni paragrafematici. I due saggi descrivono in sintesi la lenta storia della selezione e della stabilizzazione di questi usi, che si è svolta nel corso di alcuni secoli tra la fine del medioevo e l’inizio dell’età moderna, e in particolare tra Quattro e Cinquecento. Il saggio di Tomasin ci mostra come la stabilizzazione della norma abbia fatto i conti con una congerie assai complessa di usi grafici differenziati regione per regione e città per città, le cui contraddizioni erano decisamente più vistose di quelle che possiamo osservare nell’italiano scritto di oggi. Complicavano il quadro interferenze di scrittura e pronuncia tra latino e volgare, oscillazioni nell’uso (mano)scritto, che determinavano incertezze negli scriventi, la persistenza di grafie tradizionali medievali «né propriamente latine né veramente razionali» (p. 31). Anche la punteggiatura dell’italiano affonda le sue radici nelle consuetudini della scrittura medievale, partendo dalle quali Coluccia indaga «il lento procedere verso forme più articolate» (p. 47) attraverso l’analisi di una serie di episodi emblematici: tra questi, la punteggiatura nei canzonieri della poesia delle Origini e poi negli autografi di Francesco Petrarca; l’interpunzione nei manoscritti della Commedia di Dante; la svolta rappresentata dalla collaborazione tra lo stampatore veneziano Aldo Manuzio e Pietro Bembo, al quale dobbiamo l’introduzione di segni moderni come il punto e virgola e l’apostrofo. I due saggi definiscono così la via maestra della tradizione grafica e ortografica della lingua letteraria nazionale, il cui momento decisivo risiede indubbiamente nell’invenzione della stampa e nella riflessione grammaticale cinquecentesca.
Gli alfabeti e le scriptae medievali
I due capitoli successivi, in un certo senso, si voltano indietro a considerare alcuni percorsi paralleli o alternativi rispetto a tale via maestra. Al lettore appassionato di curiosità storico-linguistiche non sfuggirà il particolare interesse del saggio di Daniele Baglioni, dedicato a un fatto non molto noto: in alcune regioni e in alcuni contesti sociali dell’Italia medievale, l’italiano o, per meglio dire, i volgari italiani antenati dei nostri dialetti furono talvolta scritti con alfabeti diversi da quello latino: l’alfabeto greco in Sardegna e in alcune regioni del Sud Italia, appartenute in altri tempi all’impero bizantino (Salento, Basilicata, Calabria e anche l’area messinese in Sicilia); quello ebraico, ovviamente da parte di alcune comunità giudaiche della penisola; in casi eccezionali anche l’arabo e perfino il siriaco. Il capitolo successivo di Elisa Guadagnini è dedicato alle scriptae, cioè ai sistemi di lingua scritta utilizzati nelle varie regioni della penisola prima che si stabilizzasse e si generalizzasse l’uso della lingua letteraria basata sull’imitazione di Dante, Petrarca e Boccaccio: caratterizzate da un forte tasso di ibridismo e da una mescolanza costante di elementi di varia origine (latino, toscano, i dialetti delle singole regioni), le scriptae medievali pongono problemi teorici complessi e testimoniano del faticoso processo di unificazione degli usi scritti del (futuro) paese.
Scrittura e supporti materiali
Segue un saggio del paleografo Marco Cursi, dal titolo emblematico Scrivere, incidere, digitare: lo studioso si sofferma sui cambiamenti che la pratica della scrittura ha conosciuto nel percorso storico dal medioevo fino ai nostri giorni, analizzando i rapporti tra la scrittura e i supporti materiali utilizzati nelle diverse epoche (pietra, pergamena, carta, legno, fino agli schermi dei nostri dispositivi). Il saggio di Cursi funge da perfetta cerniera tra le due metà del volume e da introduzione alla seconda parte, i cui capitoli si concentrano su aspetti più strettamente tecnici della scrittura e della trasmissione dei testi: diciamo subito che l’ambito delle scritture digitali è l’oggetto di un approfondimento specifico nell’ottavo capitolo, Riscrittura, revisione e editing, curato da Claudia Bonsi e Paola Italia.
Autografi, copie e critica testuale
Facendo due passi indietro incontriamo due capitoli, il sesto e il settimo, tra loro fortemente connessi, in quanto affrontano le due tipologie di trasmissione dei testi scritti del passato con cui gli studiosi devono confrontarsi: l’autografo nel capitolo di Matteo Motolese, la copia in quello di Irene Iocca. Oggetto per la prima volta di un approfondimento specifico all’interno di una storia linguistica, gli autografi occupano da sempre un posto speciale negli studi filologici, per l’indiscussa fascinazione dell’originale ma ancor più per i particolari problemi che essi pongono, tali da mettere non di rado in questione la nostra stessa idea dell’autorialità e dei rapporti tra lo scrivente e il testo. Oggetto del saggio di Iocca è invece la copia, e cioè la fattispecie più comune dei testi scritti del passato, specialmente nell’era che precede la stampa: occuparsi della copia comporta inevitabilmente affrontare i problemi assai spinosi della trasmissione dei testi prima dell’età della stampa. Il saggio, pertanto, intrattiene rapporti tematici di particolare rilievo con il nono e ultimo capitolo, firmato da Paolo Squillacioti, esperto di poesia provenzale del Medioevo ma anche principale editore delle opere di Leonardo Sciascia. Intitolato Ecdotica, quest’ultimo contributo affronta un tema tutt’altro che ozioso: «il modo in cui gli editori dei testi italiani si sono comportati nei confronti della lingua dell’opera pubblicata per loro cura» (p. 283). La scelta di suggellare una storia dell’italiano scritto con un capitolo sulla critica testuale non è certamente neutra: nell’epoca delle fake news e della fluidità estrema di testi e contenuti, è quanto mai urgente una rivalutazione dei metodi della filologia, che, in fin dei conti, non è altro che ricostruzione del discorso su basi logiche e storico-culturali.
Riportare in vita il passato
In conclusione, il sesto volume della SIS spicca nell’ampia offerta contemporanea di opere di sintesi per non pochi motivi, che la nostra presentazione necessariamente scheletrica non può che lasciar intuire: porta l’attenzione del lettore sull’attività tipicamente umana della scrittura nelle sue molteplici forme e incarnazioni; ricostruisce da una pluralità di punti di vista significativi i modi e i tempi in cui si è formato il sistema grafico che adoperiamo nella vita di tutti i giorni; ci aiuta in fondo a riscoprire il potere più grande della scrittura e spesso il più trascurato, anche se sempre presente alla coscienza dei grandi scrittori: riportare in vita il passato.
Testi citati
Giuseppe Antonelli, Matteo Motolese, Lorenzo Tomasin (a cura di), Storia dell’italiano scritto, vol. I. Poesia, vol. II. Prosa letteraria, vol. III. Italiano dell’uso, vol. IV. Grammatiche, vol. V. Testualità, vol. VI. Pratiche di scrittura, Roma, Carocci, 2014-2021.
Francesco Bruni (a cura di), L’italiano nelle regioni, vol. I. Lingua nazionale e identità regionali, vol. II. Testi e documenti, Torino, UTET, 1992-1994.
Marco Maggiore, rec. Giuseppe Antonelli, Matteo Motolese, Lorenzo Tomasin (a cura di), Storia dell’italiano scritto, voll. I-III, Roma, Carocci, 2014, in «Studi linguistici italiani», 41, 2015, pp. 138-144.
Bruno Migliorini, Storia della lingua italiana, Firenze, Sansoni, 1960 (1a ed.).
Luca Serianni, Pietro Trifone (a cura di), Storia della lingua italiana, vol. I. I luoghi della codificazione, vol. II. Scritto e parlato, vol. III. Le altre lingue, Torino, Einaudi, 1993-1994.
Carlo Tagliavini, Le origini delle lingue neolatine, Bologna, Pàtron, 1949 (1a ed.).
Immagine: Tommaso Inghirami
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