22 luglio 2008

L'italiano nella neotelevisione

 

La televisione ha contribuito a cambiare la lingua italiana. Simonetta Losi, in La televisione buona maestra d'italiano? (in «Lingua italiana d'oggi», II, 2005), esprime in sintesi il lungo percorso di rapporti dialettici tra lingua e mezzo televisivo, a partire dal 1954 (inizio della diffusione di programmi televisivi in Italia) fino a oggi: la televisione «si è proposta, di volta in volta, come scuola di lingua, come strumento se non alternativo almeno complementare alla scuola, come modello di italiano "corretto", come modello negativo in grado di determinare la morte del "buon italiano" e la creazione di una "lingua di plastica" e infine come specchio delle lingue, dei linguaggi e dei dialetti».

 

Le ore passate davanti allo schermo

Come scrive Giuseppe Antonelli in L'italiano della società della comunicazione (Il Mulino, 2007), la neotelevisione, cioè la televisione di flusso in cui, a partire dalla metà degli anni Ottanta del Novecento, le distinzioni tra i generi tendono a sfumare, così come tendono a sbiadire le settorialità dei linguaggi tipiche della televisione di palinsesto (semplificando: un programma, un orario, un target, un linguaggio), «ha puntato a riflettere la realtà linguistica circostante; perso il suo potere di modello, ha conservato il potere amplificante di un grande ripetitore». Sia Antonelli, sia Gian Luigi Beccaria (in Per difesa e per amore. La lingua italiana oggi, Garzanti, 2006) riferiscono gli impressionanti dati Istat 2000, dai quali emerge che più del 93% degli italiani vede ogni giorno la tv; in media, un italiano dagli 11 ai 75 anni passa davanti alla tv 3 ore e 50 minuti; il 30% dei giovani guarda la tv dalle 2 alle 3 ore al giorno (il 13% più di 4 ore); il 73% ha il televisore nella propria stanza. Ma il tempo in cui - come scrisse Umberto Eco - Mike Bongiorno contribuì all'unità (anche linguistica) d'Italia più di Cavour è ormai passato.

Livellamento verso il basso

Oggi la tv è certamente specchio, talvolta deformato, delle varietà dell'italiano parlato contemporaneo. Nonostante la ricodificazione di tempi, strutture e stili comunicativi avvenuti nella neotelevisione, è innegabile che l'italiano di Alberto e Piero Angela o di Mario Tozzi nelle loro trasmissioni di divulgazione scientifica sia diverso dall'italiano del quiz a premi Affari tuoi o da quello dei cronisti sportivi; che nei notiziari gli spezzoni di giornalistese stereotipato, burocratese, politichese avranno un certo peso, distinguendosi dalla informale e sciatta colloquialità di Amici o dalle grezze movenze dell'oralità che caratterizzano l'eloquio di tanti protagonisti del Grande fratello. Come scrive Beccaria, «la televisione offre agli utenti la fascia completa delle formulazioni orali, divaricandosi, a seconda degli argomenti e delle situazioni, dal registro familiare al registro professionale, specialistico». Però lo stesso studioso ammette che la neotelevisione, con la sua scelta di integrare tv e pubblico a tutti i livelli sociolinguistici, «ha per un verso contribuito a un forte assestamento o movimento dell'italiano verso il basso, verso il colloquiale-informale-disinvolto, per altro verso ha testimoniato e diffuso "autorevolmente", ahimé, una lingua spesso sbracata e "selvaggia"».

 

Dentro il fluido neotelevisivo

La neotelevisione propone un modello di italiano fluido, in scorrimento trasversale da genere a genere. I generi sono ormai canonicamente mescolati tra loro nelle grandi trasmissioni-contenitore. Ma, soprattutto, sono sempre più mutati geneticamente al loro interno e finiscono per ritrovarsi collocati alla frontiera incerta tra fiction e non fiction: nel reality show la rappresentazione mediata delle istanze aggressive dell'individuo si stilizza in gioco di maschere; nella docusoap il genere documentaristico si applica alle vicende intime, sentimentali (possibilmente con risvolti drammatici) del soggetto, che di norma è l'uomo o la donna qualunque; la presa in diretta dell'avvenimento viene riproposta segmentata, montata e commentata costruendo un itinerario narrativo; viceversa, un evento reale viene sceneggiato e recitato da attori secondo i moduli della docufiction.

 

Quattro tipi di italiano parlato

Antonelli cita il lavoro svolto dall'osservatorio sulla lingua della televisione istituito presso l'Università di Catania dalla studiosa Gabriella Alfieri. Dall'analisi di numerosi programmi trasmessi da Rai e Mediaset nel decennio 1995-2005, emerge nella neotelevisione più recente il costituirsi di quattro tipi di modalità di comunicazione in relazione con tre gruppi di generi (sufficientemente omogenei al loro interno per stile comunicativo): «1) trasmissioni d'informazione e divulgazione politica, culturale o scientifica medio-alta = parlato serio semplice; 2) trasmissioni di intrattenimento: a. dallo show o varietà all'infotainment, edutainment, emotainment ecc.; da giochi e quiz a premi a giochi e quiz d'azzardo = parlato sciolto e colloquiale; b. dal varietà ai reality e al talk show "verità" ecc. = parlato trascurato o sciatto; 3) fiction: dai romanzi sceneggiati, dal teleteatro e dagli originali televisivi al serial "all'italiana" = parlato simulato» (cit. da Giuseppe Antonelli, L'italiano della società della comunicazione, Il Mulino, 2007). La sensazione forte è che sulla bilancia quantitativa e qualitativa pesi molto di più il piatto degli stili linguistici "bassi", della colloquialità se non della sciatteria, rispetto al piatto del parlato più composto se pure di tono divulgativo. Se gli stili intellettuali alti in questo Paese non vengono coltivati né incoraggiati, non c'è da stupirsi che la neotelevisione offra per via linguistica un'autorappresentazione dell'Italia come di un posto al riparo dagli influssi di una cultura vivificante e di un intrattenimento non mortificante.

 

 

 

 

 

Crediti immagine: Logo del programma tv Grande Fratello, Mediaset.


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