«Non vorrei che ci si concentrasse più sugli aggettivi dei comici che sui sostantivi della manifestazione», ha commentato l’ex ministro ulivista Arturo Parisi il giorno dopo il cosiddetto No-Cav Day, la manifestazione antiberlusconiana organizzata dai circoli intellettuali dei girotondini, svoltasi l’8 luglio scorso in piazza Navona a Roma e in altre città collegate. Una manifestazione caratterizzata dall’eloquenza tribunizia di Antonio Di Pietro e dagli “aggettivi” (metonimia che indica la parte per il tutto: in questo caso, gli “aggettivi” stanno per i “monologhi” che li contenevano) di Beppe Grillo e Sabina Guzzanti, lanciati come strali contro il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi e la ministra Mara Carfagna, contro il Papa e contro il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano – in ogni caso, in polemica costante con Walter Veltroni, segretario del Partito Democratico, accusato di essere troppo morbido con lo storico avversario ora al governo. E i “sostantivi” della No-Cav Day? Lasciamo ai politologi e agli amanti della politica parlata la disamina dei contenuti adombrati dalla metafora dei “sostantivi”.

Ibridi, assonanze, compiacenze

Affrontiamo invece proprio il curioso No-Cav Day, pseudo-anglismo che ibrida il no e il day inglesi con l’italianissima sigla Cav(aliere), riferita a Silvio Berlusconi, che almeno sin dal 1993 è il Cavaliere per antonomasia, nella pubblicistica politica e dipoi nell’immaginario linguistico collettivo nazionale. Quasi come in una creatura del dott. Frankenstein, parti vive (non smembrature di cadavere) del lessico politico e giornalistico contemporaneo sono ricucite insieme, dopo essere state escerpite da organismi ad altra lingua originariamente appartenenti, nella fattispecie, quella inglese. Da una parte il modulo sostantivo + Day (o day), di angloamericano riporto. Dall’altra i conglomerati del tipo no ‘privo di qualcosa, contrario a qualcosa’ + aggettivo o sostantivo (no name ‘non contrassegnato da marchio industriale’, no global ‘contrario a ciò che è globale, ovvero alla globalizzazione’).

Dal D-day al vaffa day

Partiamo dalla prima struttura. Capostipite fu D-day, il giorno dello sbarco in Normandia delle truppe anglo-americane al comando di Eisenhower nel corso della II guerra mondiale (in realtà si trattò di due giorni: dal 6 al 7 di giugno del 1944). Questa fortunata espressione, in virtù della sua significatività politica e simbolica, lasciò impresso nella lingua inglese lo stampo generatore di locuzioni indicanti un giorno particolare in cui si celebra una ricorrenza o accade qualcosa di fuori dell’ordinario. Fu così che la formula sostantivo + day prese piede nei paesi di lingua inglese. Si pensi agli statunitensi Thanksgiving day, ‘giorno del ringraziamento’ (che ricorre ogni quarto giovedì di novembre), Independence day, ‘giorno in cui si celebra l'Indipendenza’ (4 luglio) e Columbus day ‘giorno in cui si è celebrato il cinquecentenario della scoperta dell’America da parte di Cristoforo Colombo’. Poi, però, day cominciò a riferirsi – e qui si viene ad anni recenziori – a manifestazioni di piazza in cui chi vi scende si mobilita contro (di solito) o a favore di qualcosa. In epoca ormai di dilagante appeal esercitato dalla prestigiosa lingua inglese sulla nostrana, il modulo sostantivo + day è stato importato in Italia e reso produttivo come un moltiplicatore di locuzioni sloganistiche, buono, negli ultimi dieci anni, per designare tante manifestazioni politiche (dal no tax day berlusconiano del 2004 ai due vaffa day e al munnezza day promossi da Beppe Grillo tra il 2007 e il 2008), qualche occasione istituzionale (election day, ‘giornata elettorale in cui si unificano varie consultazioni in un’unica tornata’) e poi, grazie alla facile verve del giornalismo di costume, anche una trafila di fatti reali, più o meno ironicamente, più o meno sensazionalisticamente pompati, che avessero al centro un elemento ritenuto di spicco (risparmio day, shopping day, Barrichello Day ‘giorno del successo del pilota di Formula 1 Ruben Barrichello’). Tra politica e adrenalina giornalistica, ecco dunque il Cav Day. Però, negato.

In una parola: no

Non è che l’italiano non conosca, da tempo, sostantivi o locuzioni sostantivali autoctoni in cui la negazione funzioni in origine come prefisso negativo. Basti pensare, per esempio, a noncuranza (1604); o anche, per venire a tempi più vicini a noi, o vicinissimi, non fumatore, non intervento, nonviolenza, non belligeranza, nonluogo ‘luogo privo di caratterizzazione locale e culturale, come autogrill, centri commerciali, aeroporti’ (ma qui forse si tratta di calco del francese non-lieu). Senz’altro, negli ultimi anni, la compagine di sostantivi e locuzioni s’è infoltita anche per via dell’influsso inglese. Per via di ripresa pretta, ovverosia di adattamento, l’italiano s’è nutrito recentemente, tanto per fare qualche esempio, di non-fiction ‘(di) opera letteraria, film o programma basati su storie vere’, di non-oil ‘(di) prodotto o servizio che prescinde dal petrolio e dai suoi derivati’, di non profit ‘(di) ente che opera senza scopo di lucro’. Sempre, la provenienza inglese favorisce in italiano la doppia diatesi di sostantivo e di aggettivo posposto: il non profit è un settore in espansione (sostantivo); le organizzazioni non profit (aggettivo). In un processo di rinforzo a rimbalzo, l’influsso inglese induce poi la lingua italiana a generare autonomamente unità lessicali, non riprese dall’inglese: non lavoro, non-ideologia, non denaro ‘denaro elettronico’, non-lettore, non-notizia, non-personaggio, non utilizzo, non voto ecc. Ma l’inglese, va detto, tenta una carta forte con la negazione no. Una carta che vince in alcune fortunate circostanze, ma, per ora, conti alla mano, non innesca un meccanismo di conglomerazione o composizione delle parole tanto produttivo come nel caso di non + sostantivo. Certo va detto che no global ‘che, chi è contrario alla globalizzazione e, in particolare, chi fa parte del movimento che la contesta in manifestazioni di piazza’ non ha concorrenti (anti-global e antiglobale sono apparsi episodicamente); e lo stesso dicasi a proposito di no-logo ‘che rifiuta l’economia globalizzata, contraddistinta dal successo dei più famosi marchi di fabbrica’. E se sei contrario al collegamento Torino-Lione tramite linea di alta velocità ferroviaria, potrai essere chiamato anche anti-Tav da qualcuno, ma, per solito, ti distinguerai in quanto no-Tav, magari facente parte di un permanente e strutturato comitato no-Tav piemontese. E già in quest’ultimo caso vediamo comunque come la struttura anglosassone no + sostantivo abbia avuto la forza di battezzare un ibrido anglo-italico, essendo Tav un acronimo tutto italiano (Treno [ad] alta velocità). Proprio come succede con l’ultima creatura politico-giornalistico-sloganistica della presente estate, anno domini 2008, No-Cav, che a noi sembra echeggiare con gioco di paronomasia intenzionale il succitato no-Tav (tra l’altro, Berlusconi è favorevole alla linea Tav Torino-Lione; come anche il suo nemico giurato Antonio Di Pietro, peraltro).

Rimettiamo insieme i pezzi sparsi e la formula è pronta, composita e funzionante: No-Cav Day, che, a scanso di troppo facili vanti di primogenitura, ha un precedente strutturale nel già citato no tax day. Una manifestazione, però, che anni fa fu tutta dalla parte del Cav.

Immagine: Manifestazione denominata "No cav day", Roma. Crediti: Emanuele [CC by 2.0 (https://creativecommons.org/licenses/by/2.0/deed.it)]. Fonte: https://www.flickr.com/photos/34282378@N00/4163665381/, attraverso Wikimedia Commons.

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