La diffusione tragica e repentina del COVID-19 comporta – ormai da alcune settimane – che il coronavirus sia l’argomento centrale in tutti gli organi di stampa. Ciascuno di essi, selezionando e diffondendo notizie, crea narrazioni della realtà che orientano inevitabilmente la percezione dei lettori. Tali narrazioni passano necessariamente da scelte linguistiche precise: l’uso di immagini e metafore, ad esempio, veicolate da specifiche parole, contribuisce a raccontare storie diverse sulla diffusione dell’epidemia.
I modi in cui il discorso giornalistico sta affrontando un tema così delicato è oggetto da alcuni giorni di analisi e talvolta di critiche. Per citare solo alcuni contributi, Federico Faloppa ha parlato del virus raccontato attraverso la metafora della guerra, citando alcuni scritti di Susan Sontag e di George Lakoff. Lo stesso tema legato al frame della guerra è stato affrontato in modo critico da Daniele Cassandro, Matteo Pascoletti e Annamaria Testa. Di metafore hanno parlato anche Nicola Grandi e Alex Piovan, oltre che di messaggi nascosti e immagini ricorrenti negli articoli dei giornali sul coronavirus. Antonio Polito ha riflettuto su alcune parole relative all’epidemia che stanno in parte cambiando il loro significato (positivo e contagio, ad esempio). Daniela Pietrini ha descritto alcuni fenomeni di mutamento lessicale causati dalla diffusione del contagio, e ha messo a confronto i discorsi ufficiali di Conte, Macron e Merkel sul contrasto alla diffusione del virus.
Questo contributo ha il duplice scopo di aggiungere al dibattito alcuni dati su come la stampa italiana sta raccontando l’epidemia, e di portare alcune riflessioni su come diverse scelte linguistiche adottate da specifici giornali corrispondano a diverse narrazioni del virus.
I dati a cui mi riferisco sono gli articoli pubblicati nei trenta giorni che vanno dal 21 febbraio (due giorni prima del primo Decreto del governo per contrastare la trasmissione del Coronavirus) al 20 marzo 2020 da sei quotidiani italiani: Repubblica, La Stampa, Il Giornale, Libero, Il Foglio e Huffington Post. Si tratta in totale di 6.685 articoli pubblicati online nel periodo dell’esplosione del contagio e delle successive, graduali misure di contenimento adottate dal governo.
Ridare il giusto peso alle parole: emergenza
La narrazione di un evento, si diceva, è fatta di parole. E la parola che più di tutte è associata all’evento “coronavirus”, come mostra il grafico 1, è stata nel periodo considerato emergenza. L’emergenza sanitaria, le regioni più colpite dall’emergenza, la gestione dell’emergenza, le zone flagellate dall’emergenza, sono alcune delle espressioni più ricorrenti nella stampa del mese in questione. Nel momento in cui a livello globale si diffonde un’epidemia di questa portata, l’uso sistematico di un termine che significa “momento critico, che richiede un intervento immediato […], situazione di estrema pericolosità pubblica, tale da richiedere l’adozione di interventi eccezionali” (Treccani.it) appare totalmente giustificato dagli eventi descritti.
Ciò è vero soprattutto se l’uso di queste settimane viene confrontato con altre precedenti “emergenze” che lo giustificavano molto di meno: basti pensare all’“emergenza migranti” di solo pochi mesi fa, che come tale è stata a lungo raccontata da buona parte della stampa italiana, diffondendo, in modo a volte poco obiettivo, l’immagine di un fenomeno sproporzionato e fuori controllo.
L’epidemia, in queste settimane, ha dunque ricondotto alcuni usi linguistici ai loro significati originari (come ad esempio virus e virale, che si sono ripresi il loro ambito medico-biologico, a scapito del dominio del digitale) o ai loro sensi propri, al netto di enfasi e appelli all’emotività: quella che stiamo vivendo oggi è un’emergenza autentica, e non amplificata o costruita ad arte.
La paura e i suoi multipli
Sulla presenza di emergenza come parola chiave nella narrazione del virus tutti i quotidiani considerati mostrano dati concordi. Il quadro cambia se prendiamo in esame ad esempio alcuni stati d’animo associati alla diffusione del contagio (grafico 2; tutte le frequenze sono relativizzate per mille parole, per renderle confrontabili tra giornali diversi).
Paura descrive un livello di base dell’emozione in questione, ed è utilizzata in modo abbastanza uniforme dai sei quotidiani considerati: è del tutto ragionevole descrivere come “paura” gli stati d’animo suscitati da una pandemia.
Se tuttavia intensifichiamo il livello dello stato d’animo e passiamo ad analizzare ad esempio panico e psicosi, notiamo che il comportamento dei quotidiani varia in modo considerevole: Libero fa un uso due o tre volte maggiore dei due termini rispetto a tutti gli altri giornali, mostrando di puntare ad un racconto dell’epidemia molto più basato sull’emotività e sulla drammatizzazione, come mostrano alcuni esempi:
Impressionante numero di nuovi casi. Onda incubazione, 7 giorni di panico? La tabella. (Libero, 2 marzo 2020)
Un uomo che ha detto di avere la situazione sotto controllo e ha tentato di farsi uno spot con la battaglia al virus, oggi che l' epidemia è scoppiata non è credibile agli occhi dei cittadini. Più il premier appare in tv, più si diffonde il panico. (Libero, 29 febbraio 2020)
L'Italia e il tampone, così il governo ha seminato il panico? (Libero, 29 febbraio 2020)
La paura amplificata diventa panico, a sua volta enfatizzato da altre parole co-occorrenti (impressionante, onda, seminare), e sistematicamente associato alle azioni intraprese dal governo: in altri termini, è l’inefficienza del governo a seminare il panico.
Qualcosa di analogo avviene con psicosi, associata spesso a dilagante, che la rende un fenomeno tendenzialmente fuori controllo:
In questi giorni di psicosi dilagante a causa del coronavirus ne stiamo sentendo di tutti i colori: consigli, dritte, vademecum, esperti e via discorrendo. (Libero, 1 marzo 2020)
Già, è proprio Milano la grande città più colpita dall'emergenza, tra ordinanze di chiusura e psicosi dilagante. (Libero, 29 febbraio 2020)
Il discorso dei giornali, dunque, modella e talvolta amplifica le nostre paure in modo diverso, sulla base di precise scelte editoriali, che passano attraverso conseguenti scelte linguistiche. La paura si trasforma in panico e in psicosi sulle pagine di alcuni giornali, e con questa carica di intensità ci viene proposta nella narrazione di un fenomeno che è già di per sé decisamente inquietante.
Un pericolo incombente
L’immagine di un pericolo invisibile che minaccia silenziosamente ciascuno di noi è un’altra costante nel racconto del virus. Il pericolo ci tiene in uno stato di tensione costante e irrazionale. Uno stato di allarme, di allerta, associato da alcuni giornali allo stato di pericolo generato dal terrorismo (grafico 3).
Anche in questo caso, le scelte dei diversi giornali variano in misura rilevante: ancora una volta è Libero che attinge molto di più al sentimento di allarme, sempre in associazione ad altre parole che lo rafforzano: l’allarme travolge, l’allerta cresce. Da notare inoltre che la responsabilità di accrescere il senso di minaccia viene attribuita al terrorismo di Stato, con le sue decisioni restrittive.
L'allarme Coronavirus ha travolto tutti: chi riesce a controllare l'agitazione e chi non parla o pensa ad altro. (Libero, 29 febbraio 2020)
Cresce l'allerta coronavirus in Francia, dopo che nelle ultime 24 ore un 60enne cittadino transalpino ha perso la vita in ospedale. (Libero, 27 febbraio 2020)
È giusto muoversi con i piedi di piombo, ovvio, ma bisogna saperlo fare, e infatti è stato proprio lo scomposto balletto governativo e mediatico a scatenare il panico: si è passati da una palese sottovalutazione a un terrorismo di Stato che si è tradotto nei supermercati svuotati e nelle decisioni a grappolo che hanno fermato qualsiasi luogo di aggregazione, peraltro con comiche contraddizioni. (Libero, 29 febbraio 2020)
Il lessico, di nuovo, amplifica e intensifica le emozioni e le percezioni associate ad una realtà già di per sé oscura e minacciosa. Nel racconto del virus, Libero sceglie di far prevalere le immagini di minaccia e di terrore su quelle di rassicurazione, di solidarietà e di pacatezza.
La metafora di altre malattie
Il virus è raccontato sui giornali non solo come malattia che si propaga e che minaccia le vite e la salute delle persone, ma anche per le conseguenze che ha sulla società, nel presente e in proiezione futura. L’impatto dell’epidemia sulla vita economica e sociale è spesso narrato attraverso la metafora della malattia (grafico 4): non una malattia contagiosa, come il coronavirus stesso, ma una patologia improvvisa e bloccante (collasso, paralisi), o un morbo che appanna la ragione (delirio). Il Giornale si serve in modo particolare dell’immagine del collasso, riferito soprattutto agli ospedali e al sistema sanitario.
Nell'intervista rilasciata a La Verità, il direttore della clinica di malattie infettive del Policlinico genovese San Martino ha sottolineato che andando a mettere tutti i pazienti nelle strutture ospedaliere si potrebbe seriamente rischiare il collasso del sistema sanitario: per evitare questo drastico scenario, a suo giudizio sarebbe opportuno concentrarci solo sui casi molto gravi". (Il Giornale, 7 marzo 2020)
Libero è invece il giornale che privilegia le immagini della paralisi e del delirio collettivo, spesso generato dal cattivo operato di qualche amministratore. Anche in questo caso, le scelte lessicali sono tutte convergenti nel far emergere una narrazione drammatica ed enfatica dell’impatto dell’epidemia sulla società (minacciata, dannosa, incide drammaticamente).
Aumentano le preoccupazioni per i riflessi negativi del virus sulla economia nazionale, minacciata dal fermo imposto dal governo alle attività commerciali e industriali. Effettivamente una paralisi del genere non può che essere dannosa e incide drammaticamente sui conti privati e pubblici. (Libero, 29 febbraio 2020)
Gli usi di delirio mirano invece a suggerire una situazione di confusione estrema, in cui il caos è attribuito – implicitamente o esplicitamente, come nell’esempio – alle decisioni del governo o delle amministrazioni locali.
A Prato c'è la più grande comunità cinese d'Italia, una delle più grandi d' Europa, e in Toscana è tutto tranquillo. Dov' è il pericolo che ha portato a chiudere le fabbriche, gli uffici, i musei, i teatri, gli stadi? A Napoli non c' è stato nemmeno un caso ma il sindaco ne ha approfittato per chiudere le scuole: è un delirio! (Libero, 2 marzo 2020)
Quella peste di coronavirus
L’accostamento dell’epidemia attuale ad altre epidemie del passato, rese celebri da capolavori della letteratura, è comune anche nella stampa: abbondano citazioni esplicite della peste manzoniana o di altre opere. Il Foglio è di gran lunga il giornale che ricorre di più all’associazione del coronavirus con la peste, che risulta piuttosto immediata e non conferirebbe enfasi particolare ai testi (le due epidemie sono in effetti due eventi paragonabili) se non fosse, nel primo dei due esempi seguenti, per la co-occorrenza di flagello:
In certi anfratti rupestri e isolati – tipo la foresteria dell'eremo di Montecastello, appena sopra Tignale – che sono delle autentiche fortezze in cui rifugiarsi per schivare il flagello della peste attualmente in corso. (Il Foglio, 15 marzo 2020).
Rispetto alle epidemie del XIV e del XVII secolo noi abbiamo dalla nostra parte la medicina moderna, non è poco credetemi, i suoi progressi, le sue certezze, usiamo il pensiero razionale di cui è figlia per preservare il bene più prezioso che possediamo, il nostro tessuto sociale, la nostra umanità. Se non riusciremo a farlo la peste avrà vinto davvero. (Il Foglio, 26 febbraio 2020).
Diverso è il caso di altre parole attinenti alla peste, che invece aggiungono ai testi in cui sono usate una carica di enfasi negativa legata al loro significato. È Libero in particolare a usare lazzaretto, untore e appestato come marchi di infamia attribuiti all’Italia e agli italiani per la cattiva gestione della crisi legata al coronavirus. Di nuovo, precise scelte lessicali indirizzano gli articoli verso modalità espressive fortemente connotate, nel senso della drammatizzazione e dell’enfatizzazione - in negativo in questo caso - delle realtà che vengono narrate.
Invece no, il segretario dem ha in testa Salvini e, mentre tutta l' Italia si prepara alla quarantena, lui vuole legiferare perché si riaprano i porti, malgrado ci sia il rischio di importare il coronavirus anche dall' Africa. Ma evidentemente l' influenza non ci basta, il Pd punta a farci diventare il lazzaretto del mondo. (Libero, 29 febbraio 2020)
Italiani trattati come appestati: le conseguenze del coronavirus e del contagio che ha colpito il Nord. (Libero, 29 febbraio 2020)
Invece, grazie alla poca grazia del nostro presidente del Consiglio, tutto il mondo crede che sul Bel Paese si sia abbattuta una piaga biblica. Gli errori di comunicazione di Palazzo Chigi ci hanno fatto passare per gli untori del pianeta, con danni all'economia al momento ancora incalcolabili, visto che viviamo di export e turismo. (Libero, 29 febbraio 2020)
La metafora del terremoto
I giornali associano l’epidemia di coronavirus al terremoto perché che si tratta di due eventi catastrofici, che minacciano vite umane. La metafora in questo caso è più concreta di altre, perché l’associazione è a volte legata alla richiesta di rinviare le scadenze fiscali, come in passato è già successo proprio in seguito a forti terremoti, per aiutare cittadini e imprese. Libero fa un uso particolarmente frequente di questa associazione (grafico 6):
Sospensione delle scadenze fiscali, coronavirus come un terremoto. (Libero, 24 febbraio 2020)
Sempre Libero, ma anche La Stampa, Repubblica e Huffington Post utilizzano la metafora del terremoto attraverso la parola epicentro: come un fenomeno tellurico, il virus ha una o più zone in cui si manifesta con particolare intensità. La metafora, in questo caso, non è usata in funzione di una drammatizzazione dei testi: terremoti ed epidemie sono entrambi fenomeni naturali, di fronte ai quali le persone provano paura e smarrimento. L’epicentro del terremoto, come quello del virus, è il luogo più pericoloso, perché più fisicamente vicino all’origine del fenomeno.
E se l'epicentro del coronavirus si trasferisse altrove tipo in Africa? A rispondere alla domanda è Vittoria Colizza, specialista di epidemiologia, che tratteggia uno scenario irreparabile. (Libero, 23 febbraio 2020)
Un evento fuori controllo
Il grafico 7 mostra la distribuzione di due espressioni che associano l’epidemia all’idea di una diffusione incontrollata, che si moltiplica senza che si riesca a porvi freno. Esponenziale, usato in misura largamente preponderante da Huffington Post, è un aggettivo entrato nel lessico comune per indicare incrementi molto rilevanti e repentini. Nei dati analizzati è quasi sempre riferito al sostantivo crescita, a scandire l’impennata quotidiana dei casi di contagio, certificata da bollettini, grafici e commenti degli esperti.
Nel grafico si vede una bella retta celestina che rappresenta una crescita esponenziale, tipica delle epidemie nella fase iniziale non controllata. (Huffington Post, 16 marzo 2020)
Un senso analogo assume dilagare, che, con l’aiuto del riferimento etimologico all’acqua e dell’associazione con isteria, suggerisce l’idea di una diffusione ormai fuori controllo. L’uso del verbo è più uniforme rispetto ad altri casi, ma è riconducibile in particolare a Il Giornale.
Nelle ultime settimane, col dilagare del morbo, si è estesa la paura e con essa si è fatta strada pure l'isteria che, guarda un po', è finita per dilagare anche sui mercati azionari e per farci bruciare altri soldi. (Il Giornale, 2 marzo 2020)
L’epidemia è dunque raccontata attraverso immagini che ne accentuano l’idea di una diffusione senza controllo e di un’elevatissima rapidità di progressione, e che contribuiscono a conferire ai testi una connotazione enfatica di irrimediabilità.
La metafora della fine del mondo
Catastrofe e apocalisse sono metafore di una sciagura globale e senza ritorno. La seconda in particolare porta con sé l’idea di una potenziale fine del mondo. Il loro uso, particolarmente frequente ne Il Foglio e La Stampa (grafico 8), risponde ad una scelta esplicita di drammatizzazione degli eventi narrati, specie se tale uso è associato a parole con caratteristiche analoghe come terrorizzati, allarme terroristico, tsunami.
La paura del contagio e la paura di questa apocalisse con complicazioni respiratorie è stata sostituita, in una giornata, dal pensiero di tutti i nostri figli a casa, senza scuola. Che ne sarà di loro, anzi che ne sarà di noi. Un minuto prima eravamo terrorizzati dal coronavirus, un minuto dopo siamo terrorizzati dai figli a casa. La domanda quindi è sempre la stessa, sempre un po' scema: come faremo? (Il Foglio, 5 marzo 2020)
Patrizio Bertin, presidente di Confcommercio Veneto, testimonia "enorme preoccupazione”. Rischiamo la catastrofe. La comunicazione politica ha generato una sorta di allarme terroristico. Una onda di tsunami che rischiamo di non recuperare nemmeno in estate. Così muore il Paese. (La Stampa)
Una diversa rappresentazione del mondo
Le notizie sono la rappresentazione della realtà attraverso le parole. Come ogni altra forma di discorso, quello della stampa modella le realtà di cui parla. La scelta di un elemento linguistico non è mai neutra, ma veicola differenze nella rappresentazione del mondo.
Questo avviene anche nel caso del discorso dei giornali sul coronavirus: la scelta, a volte sistematica, di elementi lessicali enfatici, che fanno leva sull’emotività più che sulla riflessione, e che tendono alla drammatizzazione piuttosto che alla descrizione misurata di una realtà già di per sé tragica, corrisponde ad una volontà esplicita di offrire una rappresentazione del mondo che miri alle emozioni più che al senso critico dei lettori.
Informare in modo sereno, verificato ed equilibrato i propri destinatari è il compito della stampa in qualsiasi momento storico. Nelle circostanze a cui il nostro presente ci mette drammaticamente di fronte, un atteggiamento di questo tipo diventa un dovere etico prima ancora che giornalistico. Raccontare l’epidemia in modo sobrio e oggettivo, accurato e composto, sarebbe prova di civiltà oltre che di buon giornalismo. I dati, oltre alla lettura quotidiana delle notizie, ci dicono che alcuni giornali ci provano, ma altri no.
Immagine: L’urlo
Crediti immagine: Edvard Munch / Public domain