Segni collerici, le virgolette: a ignorarli, si rischia grosso. Si provi a dimenticare una virgola, a sbagliare un punto e virgola o a esagerare con i punti esclamativi. Forse non si farà bella figura, ma al massimo ci toccherà riscrivere la frase. Non così con le virgolette. Ne sa qualcosa l’ex-ministra tedesca dell’istruzione Annette Schavan, dimessasi nel 2013 perché accusata di non avere citato le fonti della tesi di dottorato, o l’ex presidente ungherese Pal Schmitt, che lasciò l’incarico nel 2012 per lo stesso motivo, o ancora l’ex primo ministro romeno Victor Ponta e l’ex ministra della sanità spagnola Carmen Monton, di assai simile sorte (fonte, che mai come in questo caso è opportuno citare, l’agenzia Adnkronos). Meglio avere ben chiaro, dunque, quando usare le virgolette e come destreggiarsi tra le loro diverse funzioni.

1. Le origini

Già presenti nel Dicta et facta [Facta et dicta] memorabilia di Valerio Massimo, pubblicato nel 1502, dove erano usati per evidenziare i passi più importanti, i segni delle virgolette compaiono per la prima volta con la funzione di segnalare un discorso riportato nel ms. S del Cesano di Claudio Tolomei (1525-29) e nell’editio princeps del Castellano (1528) di G.G. Trissino. Si tratta però ancora di simboli posti al lato della pagina: l’uso interno al testo, simile a quello che conosciamo oggi, risale a non prima del XVII secolo (cfr. Castellani 1995, pp. 44-7; 1996, p. 108; Cignetti 2011, p. 1581).

2. Segni con più forme

Di virgolette esistono diverse forme: quelle alte singole  (‘ ’), quelle alte doppie (“ ”), quelle basse singole (< >) e quelle basse doppie (dette anche «a caporale») (« »). Anche se possono darsi orientamenti generali, come ad esempio l’uso delle basse per citazioni e discorsi diretti, delle alte per il distanziamento e delle singole per gli usi metalinguistici (ed è quello adottato in questo contributo), la scelta del tipo di virgoletta è determinata in massima parte delle convenzioni tipografiche dell’editore oppure dalle preferenze dell’autore (cfr. Dardano & Trifone 1995, p. 698; Cignetti 2011, p. 1581). Più stabili sono gli usi convenzionali delle varie lingue, riprodotti nella stampa e adottati anche dai programmi di videoscrittura più diffusi: a titolo di esempio, la forma ‘X’ dell’inglese (ma l’inglese degli Stati Uniti preferisce “X”), la forma « X » (spaziato) del francese, la forma „X“ e »X« del tedesco, la forma „X” del polacco, la forma ”X” dello svedese e così via.

3. Il valore polifonico

Collocate, nella prospettiva di Ferrari et al. (2018), tra i segni di valore interattivo, le virgolette sono segni polifunzionali impiegabili per segnalare la presenza di un discorso riportato, per introdurre una presa di distanza oppure con un valore metalinguistico (cfr. Cignetti 2011). Con la prima funzione, anche detta “polifonica” (Stojmenova 2018, p. 217), le virgolette servono a delimitare i confini con la parola altrui, che nella forma più comune corrisponde a un discorso diretto inserito in una cornice enunciativa completa, in cui compaiono sia la fonte sia un verbum dicendi:

(1) Gli atleti «speciali» degli Special Olympics tornano a Lugano. Il 23 giugno le strutture sportive della città ospiteranno il «cablecom challenge», dedicato agli atleti con handicap mentale. «Lugano città olimpica – spiega Giorgio Ricci, direttore di cablecom Ticino – è un motto volutamente forte. Sta a sottolineare l’importanza che diamo all’avvenimento e al legame con Special Olympics, con cui abbiamo sottoscritto un impegno di tre anni, rinnovabile nel 2009, perché crediamo che un’azienda come la nostra abbia anche responsabilità sociali. Il cablecom challenge non sarà solo un’operazione di sponsoring ma ci coinvolgerà direttamente nell’organizzazione attraverso il volontariato dei nostri dipendenti e anche dei membri della direzione». [...] «Per noi – gli fa eco Sandro Rovelli, capo dei servizi sportivi della città – è normale aver aderito a questa iniziativa e siamo orgogliosi di essere stati scelti. Lugano è una città sportiva non solo per le 140 società che ospita ma soprattutto per la loro disponibilità in occasioni del genere». (Corriere del Ticino, 12/05/2007).

Naturalmente altre realizzazioni sono permesse, in cui e.g. la fonte o il verbum dicendi non prendono parte, così come gli impieghi, così frequenti nello stile giornalistico, di discorso “narrativizzato” (cfr. Cignetti 2009, pp. 320-3). In questi usi il testo riportato è collocato, attraverso una serie di discorsi diretti “a mosaico” (cfr. Dardano 1986, p. 469), in una sequenza sintatticamente omogenea, per mezzo di un «continuo avvicendamento di discorso diretto e scrittura redazionale, non sempre ben distinti tra loro» (Bonomi 1994, p. 698):

(2) L’appuntamento è alle undici. Veltroni arriva per primo e si ritira qualche minuto con Prodi. Seguono tutti gli altri, Gawronski, Adinoldi, Letta. Rosy Bindi si presenta alle 11 e 30. Rimbrotto seccato di Letta: «Non ci si comporta così, non si fanno aspettare le persone, è una questione di rispetto». Il ministro si scusa, «sono rimasta imbottigliata nel traffico». Gawronski vorrebbe cominciare mettendo sul piatto «il vero problema: la non democraticità delle regole con cui è nato il Pd». Ma non è aria. Il premier ha in mano la sua relazione, 8-9 fogli a quadretti per ribadire due concetti**: «Un partito democratico forte è utile a questo governo»** tanto per fugare i rumors sulla crisi politica all'indomani del 14 ottobre; «siate concorrenti ma non nemici in questa campagna elettorale». Fair play, dunque, e «rendere possibile la contendibilità nel Pd», cioè abbassare le barriere della partecipazione politica. (La Repubblica, 1/10/2007).

Altre volte ancora il discorso diretto non è realmente pronunciato bensì fittizio, oppure solo supposto o immaginato (cfr. Stojmenova 2018, p. 218), come nel seguente esempio di A. Campanile:

(3) Floro d’Avenza aveva trovato il documento. Col petto gonfio d’emozione, data la sua natural timidezza, si preparò a fare il colpo di scena. Avrebbe detto: «Scusate, signori, se mi permetto d'interloquire nei vostri discorsi, ma sento che parlate di me». «Come sarebbe a dire?» gli avrebbero domandato. «Ma sì, ecco, guardate, è una tessera con fotografia». No, questo era banale. Avrebbe detto: «Ounque, signore, voi mi trovate simpatico adesso...». No. Aveva trovato. Avrebbe detto: «Mi duole di portare una nota stonata in questo coro di lodi per Floro d’Avenza, ma io non la penso come voi: Floro d’Avenza è mio intimo amico...». I suoi pensieri furono interrotti dalla conversazione che si riaccese. (A. Campanile, Asparagi e immortalità dell’anima. Milano, Rizzoli, 2010 (1974), p. 75).

Quando a essere delimitata da virgolette è una citazione, ossia una porzione di un secondo testo, è necessario esplicitarne con precisione le coordinate bibliografiche impiegando, all’occorrenza, anche parentesi e note a piè di pagina:

(4) Ha scritto un grande teorico contemporaneo, Karl Popper, che «un solo passo divide l’ameba da Einstein»1_, un essere unicellulare elementare da un essere pluricellulare altamente capace di raccogliere una pluralità di una pluralità sollecitazioni imitative, di combinarle regolarmente, di reagire innovativamente cogliendo nuovi problemi o risolvendone vecchi in modo nuovo._ (T. De Mauro, L’educazione linguistica democratica, Roma-Bari, Laterza, 2018, p. 94).

[nota 1 = K. Popper, Conoscenza oggettiva, Armando, Roma, 1975, p. 453]

In questa tipologia di casi il polimorfismo dei segni può essere sfruttato per contrassegnare parole o gruppi di parole interne alla citazione, ricorrendo a forme diverse di virgolette, in genere basse per la prima sequenza e alte per le successive:

(5) Lo Iaconello, sempre nel corso del 1482, presterà la propria consulenza al Rottweil per l’edizione della Cronicha de Sancto Isidoro mentore; egli appartiene, dunque, alla schiera dei correttori tipografici, da identificare con «i maestri di scuola, gli ecclesiastici, i docenti universitari di basso rango, insomma tutti gli “intellettuali” che fin dall’inizio hanno collaborato con i tipografi» (Claudio Giovanardi, Il bilinguismo italiano-latino del Medioevo e del Rinascimento, in Storia della lingua italiana, a cura di L. Serianni & P. Trifone, Torino, Einaudi, 1994, 3 voll., vol. 2°, p. 452) [es. tratto da Cignetti 2011, p. 1581).

4. Il distanziamento

Un impiego delle virgolette di cui si fa spesso un uso eccessivo (cfr. Serianni 2003, p. 57) è quello di distanziamento, che coincide con una marca cautelativa rispetto a un’espressione ritenuta non del tutto appropriata poiché d’uso gergale o dialettale, che deve essere interpretata con valore ironico o allusivo, oppure perché di ambito settoriale:

(6) Trattando dell’arte che si è sviluppata in Europa e, più tardi, nell'America del Nord nel corso del XIX e XX secolo ricorreranno spesso i termini **“**classico” e “****romantico”. La cultura artistica moderna appare infatti imperniata sulla relazione dialettica, se non di antitesi, tra questi due concetti. Essi implicano il riferimento a due grandi fasi della storia dell’arte: il **“**classico” è legato all’arte del mondo antico, greco-romano, ed a quella che veniva considerata la sua rinascita nella cultura umanistica del XV e XVI secolo; il **“**romantico" all’arte cristiana del Medioevo e più precisamente al Romanico e al Gotico. (G.C. Argan, L’arte moderna: dall’illuminismo ai movimenti contemporanei, Firenze, Sansoni, 1988, p. 3) [es. tratto da Sojmenova 2018, pp. 223-4).

5. Le virgolette metalinguistiche

L’ultima, ma non meno importante, funzione delle virgolette è quella metalinguistica, per mezzo della quale si segnala un riferimento alla forma (come nel caso di forestierismi o dialettismi) o al significato di un’espressione (è il caso di traduzioni e definizioni) (cfr. Cignetti 2011, p. 1582), oppure anche a un titolo (di un libro, un film ecc.) o a un nome proprio (di luogo, oggetto ecc.) (cfr. Stojmenova 2018, p. 217):

(7) L’aggettivo ‘breve’ è breve; l’aggettivo ‘italiano’ è italiano; l’aggettivo ‘aggettivale’ è aggettivale; l’aggettivo ‘polisillabico’ è polisillabico. Ognuno di questi aggettivi è, nella terminologia di Grelling, autologico. Altri aggettivi sono eterologici; così ‘lungo’, che non è un aggettivo lungo; ‘tedesco’, che non è un aggettivo tedesco; ‘monosillabico’, che non è monosillabico. Il paradosso di Grelling nasce dalla domanda: l’aggettivo ‘eterologico’ è autologico o eterologico? (E. Spedicato, Facezie truculente. Il delitto perfetto nella narrativa di Dürrenmatt, Roma, Donzelli, 1999, p. 10) [es. tratto da Cignetti 2011, p. 1582].

6. Le virgolette nel parlato

Si è detto in questo contributo dei rischi di dimenticarsi delle virgolette, ma anche degli impieghi che sarebbe bene contenere, come alcuni usi di distanziamento: lo stesso vale per le formule, sempre più diffuse nella varietà orale, come tra virgolettedetto tra virgolette e messo tra virgolette, veri esempi di “punteggiatura parlata” (cfr. Cignetti 2008). Francamente eccessivo, infine, l’uso, di origine statunitense, di segnalare le virgolette con il gesto di indici e medi ripetutamente piegati.

Riferimenti bibliografici

Bonomi, Ilaria (1994), La lingua dei giornali del Novecento, in Storia della lingua italiana, a cura di L. Serianni e P. Trifone, vol. II, Torino, Einaudi, pp. 667-701.

Castellani, Arrigo (1995), Sulla formazione del sistema paragrafematico moderno, in «Studi linguistici italiani» n. 21, pp. 3-47.

Castellani, Arrigo (1996), Le virgolette di Aldo Manuzio, in «Studi linguistici italiani» n. 22, pp. 106-9.

Cignetti, Luca (2008), “Dire” la punteggiatura. Sul fenomeno della verbalizzazione dei segni interpuntivi nell’italiano scritto e parlato, in Prospettive nello studio del lessico italiano, in Atti del IX congresso della Società Internazionale di Linguistica e Filologia Italiana (Firenze, 14-17 giugno 2006), a cura di E. Cresti, Firenze, Firenze University Press, vol. II, pp. 289-95.

Cignetti, Luca (2009), La lingua dei giornali ticinesi. Il discorso riportato, in Linguisti in contatto. Ricerche di linguistica italiana in Svizzera. Atti del convegno dell’Osservatorio linguistico della Svizzera italiana (Bellinzona, 16-17 novembre 2007), a cura di B. Moretti,  E.M. Pandolfi e M. Casoni, Bellinzona, Osservatorio linguistico della Svizzera italiana, pp. 317-32.

Cignetti, Luca (2011), Virgolette, in Enciclopedia dell’Italiano, a cura di R. Simone, Roma, Istituto dell’Enciclopedia Italiana, vol. II, pp. 1581-2.

Dardano Maurizio, 1986, Il linguaggio dei giornali italiani, Roma-Bari, Laterza (1a ed. 1973).

Dardano, Maurizio & Trifone, Pietro (1995), Grammatica italiana. Con nozioni di linguistica, Bologna, Zanichelli (1a ed. 1983).

Serianni, Luca, 2000, Alcuni aspetti del linguaggio giornalistico recente, in L’italiano oltre frontiera, a cura di S. Vanvolsem, D. Vermandere, Y. D’Hulst e F. Musarra, Leuven-Firenze, Leuven University Press-Franco Cesati, vol. I, pp. 317-58.

Serianni, Luca (2003), Italiani scritti, Bologna, il Mulino.

Stojmenova, Roska (2018), Le virgolette, in A. Ferrari et al., La punteggiatura italiana contemporanea. Un’analisi comunicativo-testuale, Roma, Carocci, pp. 217-29.

I punti della situazione. Viaggio nella punteggiatura dell’italiano di oggi

(a cura di Luca Cignetti)

1. La presentazione della serie – Luca Cignetti

2. Il punto – Angela Ferrari

3. La virgola – Angela Ferrari

4. La virgola splice – Silvia Demartini

5. Il punto interrogativo – Simone Fornara

6. Il punto esclamativo – Elisa Désirée Manetti

7. I due punti – Letizia Lala

8. I puntini di sospensione – Filippo Pecorari

9. Le parentesi (tonde) – Luca Cignetti

10. Lineette doppie e lineetta singola – Fiammetta Longo

Immagine: Jardins de Marià Cañardo

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