1. Definizione e cenni storici

L’apostrofo (dal greco apóstrophos, «rivolto altrove, indietro») è una virgoletta alta che indica la caduta di una vocale o di una sillaba alla fine o all’inizio di una parola.

Tracciarne la storia del passaggio dal latino al volgare è piuttosto complesso: si consideri che fino all’XI secolo veniva utilizzata quasi esclusivamente la pratica della scriptio continua (il metodo di scrittura per cui non si segnavano gli spazi tra la fine di una parola e l’inizio di quella successiva), dunque l’uso dell’apostrofo risultava marginale e con valori diversi da quelli attuali (cfr. Geymonat 2008).

La prima attestazione dell’apostrofo in un testo volgare a stampa risale al 1496 (nel trattato De Aetna di Pietro Bembo) e quindi, a partire dal Cinquecento, il segno inizia a diffondersi, pur con qualche difficoltà a causa del suo impiego piuttosto irregolare.

A proporre principi normativi simili a quelli moderni sono stati, tra i primi, Leonardo Salviati (1584-86) e Daniello Bartoli (1644), e più tardi Raffaello Fornaciari (1879).

Tuttavia, l’utilizzo dell’apostrofo rimane in gran parte ancora guidato dal gusto, soprattutto in poesia, e solo nel Novecento si raggiunge una definitiva regolarità, in particolare grazie a Giuseppe Malagoli, che nel suo Ortoepia e ortografia italiana moderna (1905) propone un compendio degli usi sostanzialmente identico a quello delle grammatiche attuali (cfr. Demartini 2010, p. 89).

2. Apostrofo sì, apostrofo no.

A volte è difficile stabilire con esattezza quando utilizzare l’apostrofo e quando, invece, è necessario l’accento, oppure non va usato nessun segno: vi sono infatti più occasioni che mettono in difficoltà anche gli scriventi competenti, soprattutto perché non sempre «l’apostrofo marca nella grafia ciò che si realizza nella pronuncia» (Cignetti & Demartini 2016, p. 32).

Alcuni «tranelli linguistici» si risolvono facilmente tenendo presente la regola secondo cui l’apostrofo non va usato quando la caduta della vocale finale si può verificare tanto davanti a vocale quanto davanti a consonante.

Vediamo meglio cosa significa con degli esempi pratici, distinguendo il fenomeno dell’elisione dal troncamento.

2.1. L’elisione

L’elisione si verifica in corrispondenza della caduta della vocale finale di una parola quando la parola che segue inizia per vocale: l’apostrofo segna appunto questa caduta. I casi in cui questo avviene sono molteplici.

L’apostrofo è necessario se l’articolo determinativo maschile lo (l’orso) e quello femminile la (l’automobile) sono seguiti da un nome che inizia per vocale; lo stesso vale per le rispettive preposizioni articolate, come dell’olio e all’entrata.

Anche con l’articolo indeterminativo femminile una (un’amica), se seguito da un nome femminile che inizia per vocale, è necessario utilizzare l’apostrofo; non vuole invece l’apostrofo l’articolo indeterminativo maschile un (un uomo).

Lo stesso vale per gli aggettivi indefiniti: con il femminile ci vuole l’apostrofo (qualcun’altra), mentre con il maschile no (qualcun altro).

Per queste regole, può essere utile ricordare la frase del Cyrano de Bergerac di Edmond Rostand, ovvero che «un bacio è un apostrofo rosa tra le parole t’amo», badando però di scrivere un apostrofo… senza l’apostrofo!

Gli aggettivi dimostrativi nella forma singolare sia maschile sia femminile questo/-a (quest’uomo) e quello/-a (quell’altra) vogliono l’apostrofo, così come gli aggettivi qualificativi come bello/-a (bell’elemento), grande (grand’uomo) e santo/-a (Sant’Abbondio) quando precedono un nome, gli aggettivi numerali (vent’anni) e i numeri 8 e 11, sia arabi sia romani (l’8 giugno, dall’11 ottobre, fino all’XI secolo).

I pronomi clitici lo, la, mi, ti, ci, si, vi, ne, ve possono essere apostrofati se seguiti da persone del verbo essere che iniziano per vocale. A seconda del contesto, potranno apparire di uso attuale e ricorrente (c’è, ce n’è, ce n’erano), segnalare uno stile formale (s’è visto, m’è parso), oppure ormai desueto (amor, ch’al cor gentil ratto s’apprende, Dante, Inf. V).

L’elisione del monosillabo che, seppur corretta, oggi è caduta in disuso; il medesimo discorso vale per dove, come e quando se usati in combinazione con le persone del verbo essere che iniziano per vocale (dov’è andato, com’era giovane, quand’ero in vacanza).

Vi sono poi alcune locuzioni stabilizzate nel tempo come tutt’uno, mezz’ora, nient’altro, d’accordo, d’altronde, tutt’altro, senz’altro o alla bell’e meglio (mentre né finoratuttora vogliono l’apostrofo), che vanno scritte con l’apostrofo. Anche il verbo entrarci rientra in questa categoria (io non c’entro nulla, il tuo intervento c’entra poco con la lezione).

Infine, occorre prestare attenzione ai casi di elisione che non vogliono l’apostrofo: il pronome gli o la preposizione articolata degli a cui fa seguito una vocale diversa da i (gli allievi e non *gl’allievi, degli estranei e non *degl’estranei) e la preposizione da (vengo da Assisi e non *d’Assisi).

2.2. Il troncamento

Il troncamento corrisponde alla caduta della vocale o della sillaba finale di una parola e, di norma, non richiede l’apostrofo.

Eccezioni corrispondenti a forme tronche con l’apostrofo si verificano quando la sillaba che cade esce in vocale, come tipicamente accade con le forme della seconda persona singolare dell’imperativo da’ (da dai!), va’ (da vai!), di’ (da dici!), fa’ (da fai!), sta’ (da stai!).

Vuole l’apostrofo e non l’accento, inoltre, anche il troncamento sillabico nelle parole po’ (da poco), be’ (da bene) e mo’ (da modo); si scrivono invece con l’accento piè (da piede), diè (da diede) e (da fede).

Inoltre, il troncamento non è segnalato dall’apostrofo quando l’ultima consonante della parola è una l, m, n o r, a prescindere dal fatto che la parola seguente inizi per vocale o meno: per questo motivo, parole come fratel, signor e miglior si scrivono senza apostrofo.

Va inoltre ricordato che qual è e tal è non vogliono mai l’apostrofo (anche se la grafia qual’è era usata in passato: si trova ad esempio nelle Avventure di Pinocchio di C. Collodi): sia qual sia tal esistono infatti anche come forme autonome, come nelle espressioni qual buon vento o tal altro.

Naturalmente, si scrivono senza apostrofo anche qual era e tal era; non però qual’erano, perché in quest’ultimo caso l’apostrofo serve a segnalare l’elisione di quali.

3. Alcuni problemi pratici della «scrittura digitata»

Infine, quando si scrive digitando al computer sono necessarie alcune cautele.

Il tasto dell’apostrofo, situato in alto a destra nelle tastiere con layout IT QWERTY, può produrre due simboli: uno «rivolto in avanti» (‘) se cliccato prima di una lettera (‘sto), e uno «rivolto all’indietro» (’) se cliccato dopo una lettera (l’).

Il primo simbolo non è un apostrofo, ma un tipo di virgoletta, e precisamente quella «alta singola» di apertura (come precisato nel contributo di questa serie sulle virgolette.

Anche ricordando la sua etimologia greca (apostrofo significa «indietro»), la prima variante «in avanti» risulta dunque scorretta: bisogna dunque scrivere ’sto e non ‘sto.

Lo stesso vale per l’apostrofo nelle date, dove segnala la caduta della prima o delle prime cifre: si scrive «il ’900 », «i moti del ’48» e non «il ‘900», «i moti del ‘48»: quando si scrive al computer è importante quindi verificare ed eventualmente correggere manualmente la direzione del segno.

Occorre inoltre prestare attenzione al fatto che tra l’apostrofo e la parola che lo segue non ci vuole alcuno spazio: si scriverà quindi l’arancio e non l’ arancio.

Riferimenti bibliografici

Bartoli, D. (1670), Dell’ortografia italiana: trattato, Bologna, Giovanni Recaldini e Buonaventura Pellegrini.

Bembo, P. (1496), De Aetna ad Angelum Chabrielem liber, Venezia, in aedibus Aldi Romani.

Cignetti, L. & Demartini, S. (2016), L’ortografia, Roma, Carocci.

Cignetti, L. & Fornara, S. (2014), Il piacere di scrivere. Guida all’italiano del terzo millennio, Roma, Carocci.

Demartini, S. (2010), Apostrofo, in R. Simone, a c. di, Enciclopedia dell’italiano, Roma, Istituto dell’Enciclopedia Italiana, pp. 89-90.

Fornaciari, R. (1879), Grammatica italiana dell’uso moderno, Firenze, G.C. Sansoni.

Geymonat, M. (2008), Grafia e interpunzione nell’antichità greca e latina, nella cultura bizantina e nella latinità medievale, in B. Mortara Garavelli, a c. di, Storia della punteggiatura in Europa, Roma-Bari, Laterza, pp. 27-62.

Malagoli, G. (1905), Ortoepia e ortografia italiana moderna, Milano, Hoepli.

Salviati, L. (1584), Degli avvertimenti della lingua sopra ’l Decamerone, volume primo, Venezia, Domenico e Giovanni Battista Guerra.

Salviati, L. (1586), Del secondo volume degli avvertimenti della lingua sopra il Decamerone, Firenze, Giunti.

Viviani, A. (2011), Apostrofo [prontuario], in R. Simone, a c. di, Enciclopedia dell’italiano, Roma, Istituto dell’Enciclopedia Italiana, pp. 1643-44.

I punti della situazione. Viaggio nella punteggiatura dell’italiano di oggi, a cura di Luca Cignetti

1. La presentazione della serie – Luca Cignetti

2. Il punto – Angela Ferrari

3. La virgola – Angela Ferrari

4. La virgola splice – Silvia Demartini

5. Il punto interrogativo – Simone Fornara

6. Il punto esclamativo – Elisa Désirée Manetti

7. I due punti – Letizia Lala

8. I puntini di sospensione – Filippo Pecorari

9. Le parentesi (tonde) – Luca Cignetti

10. Lineette doppie e lineetta singola – Fiammetta Longo

11. Le virgolette – Luca Cignetti

12. L’accento – Luca Cignetti

Immagine: Luna crescente

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