Lingua Italiana

Enzo Caffarelli

Enzo Caffarelli (Roma, 1953), allievo di Luca Serianni, ha pubblicato la sua tesi di laurea in Germania (“L’onomastica personale nella città di Roma dalla fine del secolo XIX ad oggi”, Tübingen, Niemeyer 1996). Nel 1995 ha fondato, con Serianni e altri illustri studiosi italiani e stranieri, la «Rivista Italiana di Onomastica-RIOn», che tuttora dirige. Agli inizi del XXI sec. è stato professore a contratto presso l’Università di Roma “Tor Vergata”, tenendo corsi sui nomi propri e coordinando il LIOn-Laboratorio internazionale di onomastica. È consulente dell’Accademia della Crusca per l’onomastica e la deonomastica e ha collaborato con il progetto panromanzo PatRom (Patronymica Romanica). Tra le sue pubblicazioni, i due volumi “I cognomi in Italia. Dizionario storico ed etimologico”, con Carla Marcato (Torino, Utet 2008) e circa 300 tra monografie e contributi in miscellanee e riviste. Per la SER-Società Editrice Romana dirige le collane “Quaderni italiani di RIOn”, “Quaderni internazionali di RIOn”, “Chiamare l’Italia per nome” e “L’arte del nome”. In quest’ultima ha pubblicato il dizionario dei cognomi dei nuovi italiani (immigrati stranieri), un dizionario dei nomi mariani, le monografie su “Paparazzo”, sul cognome “Rossi”, sull’onomastica di Totò, un repertorio di cognomi curiosi, ingannevoli e imbarazzanti e 450 domande e risposte sui cognomi. Ha contribuito in maniera significativa allo sviluppo in Italia degli studi di antroponimia (soprannomi) e toponomastica (odonimi) e quelli innovativi su crematonimia (marchi commerciali), transonimia (dal nome proprio al nome proprio di differente tipologia), statistica e mode onomastiche e onomastica letteraria.

Pubblicazioni
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Cognomi migranti: una mappa d'Italia attraverso i nomi di famiglia

 

Il santo calabrese d’Aosta

I cognomi più frequenti ad Aosta sono francesi, francoprovenzali o italiani? Osservando le liste di frequenze ci si meraviglierà non poco: ai primi due posti Fazari e Mammoliti, tra i primi 10 Giovinazzo, Raso e Romeo, tra i primi 50 anche Agostino, Tripodi, Furfaro, Cannatà, Sergi, Carere e Mafrica: tutti cognomi della provincia di Reggio Calabria, ai quali si aggiungono altri genericamente meridionali, come D’Agostino, Peloso, Amato, Caruso, Fonte, Addario. L’immigrazione è iniziata in maniera significativa nel periodo tra le due guerre mondiali e si è accentuata negli anni Sessanta del Novecento. Uno dei motivi economici è stata l’industria siderurgica valdostana di proporzioni imponenti: dalla Calabria sono arrivate intere colonie, in particolare da San Giorgio Morgeto, che conta una rappresentanza molto numerosa nella zona aostana di Saint-Martin-de-Corléans. La festa annuale in onore di San Giorgio e Giacomo è divenuta la più grande manifestazione popolare della città.
Del resto, si sa, l’Italia è un paese di migranti. Dal Sud al Centro-nord nel XX secolo, ma anche dal Nord al Centro-sud, dall’epoca medievale – si pensi alle comunità di parlata galloitalica, di un’area tra Piemonte e Lombardia, che nel XII secolo scesero in Sicilia – a quella contemporanea (la ripopolazione dell’Agro pontino da parte di gruppi veneti e friulani). E poi dalle montagne alle valli e dalle campagne ai centri urbani, con il recente e opposto fenomeno dello spostamento dalle metropoli ai comuni dei vari hinterland.
Di queste migrazioni rappresentano un indizio misurabile i cognomi. La cartografia di ciascun nome di famiglia offre un panorama della loro origine e diffusione: il risultato talora non lascia adito a dubbi; altre volte gli spostamenti hanno creato una distribuzione irregolare e complessa, per cui soltanto la conoscenza dei flussi demografici e quella linguistico-dialettologica possono determinare con sufficiente chiarezza l’epicentro, o i vari centri di irradiazione in casi di poligenesi, di un cognome.

Pescatori di di Ischia a Monte Argentario

Il primo indizio sul riflesso dei movimenti nei cognomi è dato dai nomi di famiglia coincidenti con toponimi o con etnici. In Italia i più diffusi risultano, in ordine di frequenza, Greco, Lombardo e Lombardi, Sorrentino, Catalano, Calabrese, Mantovani, Napolitano, Pugliese, Trevisan, Pisano e Pisani, Pavan, Romagnoli, Genovese, Tarantino, Cosentino e Toscano.
La loro distribuzione a volte risulta istruttiva, altre volte dice poco. La prima considerazione è che alcune forme derivano da soprannomi che non dicono quello che sembrano dire. Il “lombardo” o “il greco” non necessariamente era qualcuno che proveniva dalla Lombardia, o dall’Italia settentrionale nel suo complesso, e dalla Grecia o in generale dall’altra sponda dell’Adriatico. Questi etnici avevano assunto valori legati al mestiere di bancario e cambiavalute il primo, di osservante di rito bizantino il secondo, e poi di ‘strozzino’ l’uno e di ‘astuto’ e infine ‘ladro’ l’altro.
Ma alcuni cognomi che possiamo definire “di provenienza” parlano chiaro. A Monte Argentario e dintorni sappiamo di un forte afflusso nei secoli scorsi da parte di marinai e pescatori dell’arcipelago napoletano. I cognomi ne sono la piena conferma: non solo all’Argentario è frequentissimo il nome di famiglia Schiano, che vale ‘ischitano’, ma numerosi sono i cognomi tipici sia del Golfo di Napoli (Procida in particolare) sia del Grossetano: alcuni di questi hanno cambiato la finale da -o in -i, assumendo cioè un tratto morfologico tipico dell’onomastica cognominale dell’Italia centrale al posto di uno meridionale, o hanno subìto altri cambiamenti: Vitiello si è trasformato in Vitelli, Giovine e Colantone in Giovani e Collantoni, Spillimpetto in Spillimbergo.

In taxi dal Molise a Roma

Roma ha esercitato il suo influsso attrattivo in varie epoche. Tra la fine del XV e la prima metà del XVI secolo, per esempio, la futura capitale fu toscanizzata; nei secoli seguenti, soprattutto per i movimenti all’interno dello Stato pontificio, accolse genti da Umbria, Marche e Lazio, dopo l’Unità d’Italia attirò i ceti medi della pubblica amministrazione che in precedenza vivevano o erano soliti emigrare a Torino; e, di nuovo, un numero crescente di cittadini dell’Italia centrale e inoltre meridionale.
Talvolta si può ricostruire anche la provenienza di ampi nuclei familiari o di categorie professionali da un singolo comune. Oggi è singolare il caso dei tassisti romani, la gran parte dei quali discende da vetturini di carrozze, che a Roma giungevano da un comune molisano, Bagnoli del Trigno, così come molti garagisti e meccanici dalla vicina Schiavi d’Abruzzo (Chieti), e vari profumieri da Sant’Elena Sannita (Isernia). Se confrontiamo i cognomi più tipici e diffusi a Bagnoli del Trigno – Bartimoccia, Ciarniello, Cimagna, Di Tosto, Ialungo, Massullo, Pallotto, Pilorusso – risultano tutti ben più numerosi a Roma che in Molise.
E al di là delle statistiche demografiche, sono proprio i nomi di famiglia a dirci in che modo si sono orientati i fenomeni migratori dal Sud verso il Centro-nord. Il confronto di frequenze e distribuzioni di cognomi regionalmente ben connotati indica che i pugliesi si sono trasferiti soprattutto a Milano e in Lombardia, i calabresi a Roma, in Piemonte e in Liguria, i siciliani nell’intero triangolo industriale nord-occidentale.
I valori assoluti dei cognomi parlano chiaro: oggi Russo, il cognome più alto per rango nel Sud d’Italia, è anche il 9º nel Lazio, l’11º in Piemonte, il 23º in Liguria e il 30º in Lombardia. Tra i cognomi meridionali, Milano registra il 3º nucleo per valore numerico di Russo, di De Luca e di Santoro, il 4º di Romano, di Greco, di Messina e di Gallo, il 6º di Esposito e di Ferrara, tutti tipici del Sud. Se prendiamo i più diffusi cognomi della Puglia, di Calò o Perrone il gruppo più numeroso risiede attualmente a Roma, che vanta il 2º nucleo per consistenza di Leo e il 5º del cognome Quarta, mentre Milano ospita il 5º nucleo per grandezza di Lorusso, primatista a Bari. Ripetiamo l’analisi con i cognomi siciliani più numerosi: la capitale registra il 3º gruppo per consistenza di Puglisi, Arena, Randazzo, Catania e Giuffrida, il 4º di Sanfilippo e il 5º di Pappalardo, Privitera e Trovato. Quanto ai più frequenti in Calabria, Roma registra il primo gruppo di Macrì (Torino il 2º, Genova il 3º); il 2º di Perri e Tripodi; il 3º di Mancuso, di Morabito e di Procopio.
Nella provincia di Latina sono invece numerosi i cognomi veneti: si tratta dei gruppi di contadini chiamati a popolare le zone bonificate dell’Agro pontino, in cui nacquero in epoca fascista i nuovi centri di Littoria (poi Latina), Pontinia, Sabaudia, Aprilia e i borghi che hanno ripreso nomi veneti (Grappa, Pasubio, Piave, Sabatino). Oggi, tra i primi 20 a Latina, spiccano Marangon, tipico di Chioggia-Ve, e Nardin, nome di famiglia veneziano; tra i primi 100 anche Salvador di Vittorio Veneto-Tv, Baretta di Anguillara Veneta-Pd, Mancin, che ha il suo massimo valore a Porto Tolle-Ro e il padovano Peruzzo.

 

Quei Baresi della Val Brembana

Negli spostamenti e negli incontri con parlate (e abitudini linguistiche) diverse, alcuni cognomi hanno cambiato aspetto o pronuncia. Non si allude solo alla standardizzazione italiana di voci dialettali o alla traduzione forzata di forme straniere, ma per esempio ai casi di cambiamento d’accento tonico. Il più noto, Sàlgari dal veronese Salgàri (da salix ‘salice’, attraverso un intermediario *salica suffissato con -ariu a indicare più un fitonimo collettivo che non un mestiere di chi lavorava il legno del salice), si è tramandato per iscritto e non a voce, ed è stato toscanizzato. Analogamente, del cognome Cagliari s’è perduto l’etimo, cioè la forma sincopata dal latino caligarius ‘calzolaio’ e l’analogia con il capoluogo sardo ha trasformato la voce da piana in sdrucciola. Sorprendente il cognome Barési, concentrato a Brescia e nel Bresciano: non ha alla base l’etnico di Baribensì la località Bàresi, nel comune bergamasco di Roncobello, in Val Brembana. E così si ascoltano pronunce aberranti, in particolare per influsso del tedesco sino ai primi decenni del XX secolo o per mera anglofilia, come Fùrlan ‘friulano’, Bènetton (da Benedetto + one), e Còin (‘codino’); Sàlomon e Sànson (per Salomone e Sansone), Trèvisan; Zàmparo (variante di campàro, ‘contadino’); alcuni ormai si sono ormai imposti, come Fògar ‘focolare’; Vertòva, per il toponimo bergamasco sdrucciolo, Àgnes che corrisponde ad Agnése, Sagràmola ‘sacra costruzione’, Chinnìci ‘quìndici’; Àugias da aùza ‘spilla’ e Cossìga ‘Còrsica’.
Alcune questioni di pronuncia riguardano antiche grafie che si sono cristallizzate nelle forme cognominali (e in alcuni toponimi), pur essendo scomparse dal lessico e dall’uso linguistico; un esempio tipico è rappresentato dalla [x] intervocalica che, in Sardegna e in Sicilia, rappresenta una fricativa palatale; così, nel continente la variante del diffuso Maxìa ‘magìa’ è divenuta Màscia, e Craxi, in origine tronco, ha perduto il suono palatale di Crascì (‘venditore di vini’), e Bixio è ora pronunciato con /ks/ anziché con la sibilante, Bisio.
Un altro esempio di pronuncia incerta o oscillante è fornito dalla -z finale di numerosi cognomi della Valle d’Aosta, derivanti sia da toponimi, sia da patronimici. Tale -z non corrisponde ad alcun fonema, ma a un segno distintivo che nel sec. XIV gli amministratori francesi posero accanto a quelle voci che, contrariamente alle aspettative e alle loro abitudini, nella parlata locale di tipo franco-provenzale non erano tronche ma piane. Marcoz, per esempio, era in origine Marco, e l’appunto a forma di “z” indicava che la pronuncia corretta era Màrco e non, francesamente, Marcó. I cognomi (oltre che i toponimi) di questo tipo sono nella regione numerosissimi; tra i primi per frequenza Bionaz e Vuillermoz, e poi Aguettaz, Artaz, Borettaz, Chabloz, Cornaz, Cuaz, Cuneaz, Curtaz, Diemoz, Lillaz, Lucianaz, Marguerettaz, Pasquettaz, Praz, Savioz.

 

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Vizi e Virtù dei cognomi italiani

Nel repertorio dei nomi di famiglia italiani c’è un po’ di tutto. Anche se in vari casi il significato non è propriamente ciò che sembra. Prendiamo le Virtù (oltre 100 cittadini con questo cognome) e i Vizi (una decina), i Sentimenti (una ventina) e i Valori (oltre 1.500), Umani, Morali e Civili (200 portatori per ciascuno). Ebbene, accanto ai numerosissimi signori Pace, Gioia, Speranza, Sapienza, Costanza, Amore, Letizia, Malizia, Fede, Forza, Baldanza, ci sono alcune centinaia di famiglie Rabbia, Invidia, Bontà, Coraggio, Aiuto, Carità, Verità, Creanza, Fortezza, Paura, Fiducia, Gentilezza, Allegria, Salute. Meno frequenti i Cortesia, i Ricchezza, i Prudenza, gli Amicizia, gli Ira, i Passione, gli Ardimento, i Buonavolontà, i Temperanza. E decisamente rari, ma ben documentati, i cognomi Fratellanza, Simpatia, Vanità, Timore, Rispetto, Dolore, Contentezza, Ilarità, Umanità, Odio e Superbia.

 

Famiglie con Lira, famiglie con Euro
 

Molti sono i signori Gesti e simili. Sono cognomi frequenti Botta, Tocco, Mossa, Pedata, Colpo, Pugno, Salto, Corsa, Saluto, Sorriso, un po’ meno Calcio, Lancio, Bacio, Carezza, Urlo, Passo, Schiaffo, Manata, Caduta. Pochi si chiamano Risata, Solletico, Spintone e Grido. Si parlava di ricchezza. Osserviamo il repertorio delle monete e dei gioielli. Nel primo caso, incontriamo i signori Denaro, Franco, Corona, Fiorino, Marco, Dinaro. Le famiglie Lira sono quasi dieci volte più numerose delle famiglie Euro. Infrequenti i Peso, i Tallero, i Leu, i Centesimo, gli Scellino; rarissimi i Rupia e i Dollaro. Nel secondo caso, i Preziosi sono molto più numerosi dei signori Gioielli; nello specifico, la classifica è guidata da Rubino davanti a Corallo, Granato, Gemma, Anelli, Perla, Diamante, Bracciale, Zaffiro, Orecchini, Giada, Topazio, Smeraldo, Spilla. C’è anche chi si chiama Diaspro, Diadema, Madreperla, Onice, Ametista e Turchese.

Abbigliamento made in Italy, con Calzini
 
Lo stesso dicasi per i tessuti. Pizzo, Raso, Lana, Gramaglia, Lino, Damasco superano e si avvicinano alle mille presenze ciascuno. Seguono i Velluto, i Seta, i Cotone, i Tela, i Broccato, i Ciniglia. Più in basso nella graduatoria si va dai Gessato ai Satin, dai Feltro agli Alpaca, dai Felpa ai Lamè.
Forse inutile sottolineare che i capi d’abbigliamento formano un gruppo ancor più consistente. Alcuni nomi di famiglia sono davvero rarissimi: Cinta, Colbacchi, Fazzoletti, Giubetto, Camice, Farsetto, Laccio, Maniche, Vesti. Ma altri sono portati da migliaia di italiani: da Cappelli a Coppola, da Pelliccia a Corsetti, da Cappuccio a Scarponi e Scarpini, da Berretta a Calzoni, da Tacchi a Giacchetti, da Mantello a Busto. Nel mezzo un Ventaglio (ebbene sì, anche una sessantina con questo cognome) di altri tipi, come Calzini, Cuffia, Ciabatta, Guanti, Mantellina, Spolverino, Zimarra, Giacche, Turbante, Grembiale, Toga, Veletta, perfino Parrucca e Tuta.
 
 
Orchestra da Trombetta a Gong
 
E gli strumenti musicali? Il grande Totò, nella scenetta dello scomparto ferroviario, prendeva in giro l’onorevole Trombetta, che chiamava Tromba, Trombone, Contrabbasso, Violoncello e infine presentava come suonatore di clarino. Ma si può fornare una grande orchestra con i nostri cognomi; in ordine di frequenza: Viola, Basso, Piva, Piatti, Corno, Tamburello (e Tamburo), Flauto, Tromba, Fagotto, Violino, Timpani, Zampogna, Spinetta, Cembalo, Piffero, Arpa, Cetra, Trombone, Organo (e perfino un Organetto), Mandola (e Mandolino), Chitarra e infine Pianoforte, Clarinetto, Ottavino, Liuto, Tuba, Cornamusa e Gong!
 
Astrologia e astronomia
 
I segni zodiacali figurano al completo nell’onomastica. Prevalgono com’è intuibile Leone, Pesci, Gemelli e Toro. Vergine è cognome leccese con epicentro Cutrofiano, Bilancia è soprattutto laziale, Cancro è tipico del Salernitano, Gemelli si trova in Sicilia e in Calabria, Ariete in Calabria e in Campania. I meno numerosi sono Acquario, Sagittario, Capricorno e soprattutto Scorpione. Ed anche i pianeti sono tutti presenti: pochi i Nettuno, gli Urano e i Plutone; all’opposto, in oltre 5.000 possono contarsi i signori Mercurio, seguiti dai Giove, i Saturno, i Luna, i Terra, i Marte, i Venere, tutti con più di 500 presenze.
 
Il governo dei Quaranta
 
E a proposito di numeri, il cognome più frequente risulta Quaranta. Migliaia sono anche le famiglie Sette e Cinque, e centinaia hanno per cognome Trenta, Cento, Trentadue, Tredici, Venticinque, Venti, Milioni, Cinquanta, Dieci, Zero e Quarantotto. In ordine di frequenza, seguono i signori Trentanove, Mille, Dodici, Ventisette, Sei, Quattro, Sedici, Quindici, Trentuno, Ottocento, Otto, Miliardi, Settanta, Tre, Novanta, Ventinove, Quarantacinque, Duecento, Sessanta, Quattordici e Due. I più rari si chiamano Diciotto, Nove, Cinquantaquattro, Diciannove, Ottantadue, Trecento, Uno, Ventiquattro e infine Ventisei. Si trovano un po’ in tutta Italia, ma in modo particolare sono siciliani e toscani.
 
Matematica e chimica
 
Dalla matematica alla geometria, con i cognomi Cerchio, Cono, Sfera, Piramide, Rombo, Cilindro, Prisma, Quadrato, Ottagono, Esagono, Trapezio, Cubo e Poligono, nonché Lato, Base e Altezza. E alla chimica: c’è chi si chiama Stagno, Piombo, Polonio, Zolfo, Palladio, Bromo, Boro, Cloro, Cobalto, Manganese, Iodio, Carbonio, Curio, Titanio, Bismuto, Magnesio, Nichel, Arsenico, Cromo, Idrogeno, Sodio, Antimonio, Fosforo, Alluminio, Azoto, Calcio, Berillio...
 
Giocare con Scarabeo
 
I cognomi come giochi reclamano il loro spazio. Le anagrafi sono ricche di Scacchi, Dama, Lotto, Soldatini, Scopone e Calcetto e registrano perfino alcuni Scarabeo, Risico, Canasta e Baccarà!
 
Eataly
 
Se poi entriamo nell’ambito della gastronomia ce n’è per tutti i gusti. Possiano accontentarci dei dolci: Miele è il più numeroso, quasi 6.000 cittadini; oltre i 1.000 anche Crema e Torta, poi Ricciarelli, Gelati, Cassata, Confortini, Caramella e Caramello, Buccellato, Cornetti, Ciambella, Frittella, Zucchero e Zuccherini, tutti con più di 200 portatori. E, ancora, Torrone, Vaniglia, Panna, Zuccotto, Taralli, Amaretti e i rari Sacher, Montebianco, Sorbetto, Cannolo, Cialdoni, Marzapane, Panforte, Maritozzi, Panettone, Savoiardi. Rarissimi gli italiani cognominati Bavarese, Budino, Crumiri, Millefoglie, Pandolce, Pandoro e Zabaione.
 
Fonte: ricerche su dati SEAT/Pagine Gialle (utenti telefonici 1995-2000).

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Cognomi d'Europa

 
 
In Italia il significato più ricorrente tra i nomi di famiglia è quello di ‘rosso’. Rossi e Russo a parte, vi fanno riferimento quasi 300 differenti cognomi, da Abaterusso a Zanrosso, passando per Barbarossa, Capirossi, Carmosino, Colarusso, Cuccia (dall’albanese), De Rossi, Granata, La Russa, Paolorossi (tutt’un cognome), Pettirossi, Pirrò (dal greco), Pizzolorusso, Roggi, Roscigno, Rossato, Rossellini, Rossini, Rossofuoco, Rubino, Ruffolo, Russolillo, Scarlata, Trentarossi, Vermigli, ecc.
 
I derivati di Giovanni
 
Il secondo gruppo semantico è quello del fabbro ferraio. Accanto a Ferrari con suffissati e derivati, e Fabbri con altrettante varianti, per esempio il veneto Fàvaro e il sardo Frau, spiccano i sinonimi Magnani tosco-emiliano e Forgione meridionale. Al terzo posto troviamo la somma dei derivati del nome maschile per eccellenza dagli inizi del Cristianesimo al XIX secolo, Giovanni (con i suffissati e derivati delle varie forme accorciate e dialettali: Gianni, Ianni, Zanni, Nanni, Scianni, ecc.). Il quarto è occupato da un concetto tipico di devianza dalla norma, il mancinismo: si pensi a espressioni come tiro mancino, sinistro per ‘incidente’ o per ‘losco, buio’ e per contro destreggiarsi, addestrarsi, agire con destrezza. Peraltro mancino spesso era colui cui l’amputazione dell’arto destro imponeva l’uso del sinistro.
Seguono, senza un ordine facilmente rilevabile, il ‘trovatello’ (non solo Esposito), alcune provenienze (Greco e Lombardi/-o in particolare), l’idea del ‘bianco’, la tipologia ‘riccia’ di barba e capelli, il colore ‘bruno’ e ‘moro’ della carnagione, la figura del ‘leone’, il repertorio dei derivati da altri nomi personali, specie da Martino, Pietro, Angelo, Domenico, Francesco, Giacomo/Jacopo, Luca, Maria, Matteo, Michele, Tommaso e Nicola.
 
Barbe rosse a Sud, barbe nere a Nord
 
Nei nomi di famiglia delle altre lingue in Europa sono contenuti gli stessi temi e concetti?
Prendiamo i colori di barba e capelli. Se gli allontanamenti dalla norma si sono fissati nei soprannomi (e poi nei cognomi) per la loro funzione distintiva, il rosso di barba e capelli spiccherà nei Paesi mediterranei, ma sarà il nero a ritrovarsi più spesso nell’onomastica inglese, scandinava o slava, dove la maggioranza delle capigliature erano (e sono) bionde o rosse. Ecco allora da una parte Roux, Rousseau e simili nonché Blanc con Leblanc e Blanchet in Francia, in Olanda De Wit ‘bianco’ o ‘biondo’, in Spagna Blanco e Rubio. Dall’altra, il tedesco Schwarz ‘nero’, l’inglese Brown e in Irlanda Dunne e Duffy, Donovan, Donnelly, O’Dwyer che segnalano diverse gradazioni cromatiche da ‘scuro’ a ‘nero’, mentre Lyons vale ‘grigio’ e Flynn, Flanagan e Reid ‘rosso’.
 
Biondi rumeni e calvi spagnoli
 
La situazione cromatica è più complessa altrove. In Romania spiccano Roşu ‘rosso’, Balan ‘biondo’, Albu ‘bianco’ e Negru ‘nero’. Tra i primi cognomi in Ungheria si collocano Veres ‘rosso’, Fekete ‘nero’, Fehér ‘bianco’, Szőke ‘biondo’ e inoltre Tarcsa ‘variopinto’. I ‘mori’ si trovano un po’ dappertutto, con allusione più alla pelle scura che al pelo.
Barba, baffi e capelli tornano per la forma e la consistenza. In Germania Krause e Kraus stanno per ‘riccio’ e, con lo stesso valore, in Romania Creţu e in Spagna Crespo, come in Italia Ricci e Rizzo. Originale l’Ungheria con i frequenti Fodor ‘riccio’, Szakál ‘barba’, Kónya ‘dai baffi pendenti’ e Hajas ‘che ha tanti capelli’. Anche l’assenza di capelli è particolarmente notata: in Croazia Čosic, in Francia Chauvin, in Spagna Calvo, ecc.
 
Baffi pendenti ungheresi
 
L’aspetto fisico è in gran parte d’Europa al centro della soprannominazione con i concetti di ‘magro/grasso’, ‘grande/piccolo’, ‘alto/basso’. In Germania Klein ‘piccolo’ è il cognome più frequente tra quelli da soprannomi; seguono Lange e Lang ‘lungo, alto’ e Groß ‘grande’. Lo stesso vale per Petit in Francia. In Olanda si segnala de Groot ‘grande, grosso’ e in Romania Lungu e Scurtu ‘corto’. Ma è l’Ungheria ancora una volta a segnalarsi con il quartetto Nagy ‘grande’, Kis ‘piccolo’, Köver ‘grasso’ e Terhes ‘pesante’, tutti molto diffusi.
 
Lupo, orso e leone
 
Poi ci sono gli animali. I tre più rappresentanti sono il lupo, l’orso e il leone. Non è un caso: di là dalla gamma di simboli che ciascuno di essi racchiude, sono anche nomi personali di tradizione secolare. Croazia e Serbia, per esempio, pullulano di lupi e lupacchiotti: Vuković, Vukelić, Vukić, Vuletić, Vukušić; in Romania è ben diffuso Lupu, in Ungheria Farkas, in Germania e in Austria Wolf, nella Repubblica Ceca Vlček, in Irlanda Whelan.
Seguono la volpe (Vos e De Vos in Belgio e in Olanda, Fuchs in Germania e ancor più in Austria, Rebane in Estonia), il gallo (Lecocq in Francia e nel Belgio, Kukk in Estonia), il coniglio e la lepre (Fenech a Malta, Zajac in Polonia, Zec in Croazia, Epure in Romania), il colombo o piccione (Golubić in Croazia, Golob in Slovenia, Holub in Cechia). Più specifici dei repertori nazionali: in Croazia Kos ‘corvo’, in Romania Paun ‘pavone’, in Estonia Ilves ‘lince’ e Luik ‘cigno’, in Polonia Kozłowski ‘capra’, Dudek ‘upupa’ e Sokołowski ‘falco’, in Cechia Jelinek ‘cervo’ e un gran numero di uccelli tra cui Strnad ‘zigolo, migliarino’, Sykora ‘cincia’, Cizek e Slavik ‘usignolo’. In Lettonia sono frequenti Balodis (‘piccione’), Cīrulis (‘allodola’), Gulbis (‘cigno’) e Vanags (‘falco’). Il primato va al ‘gufo’ e alla ‘cicogna’ in Finlandia, all’‘oca’, al ‘passero’ e alla ‘cornacchia’ in Germania. Anche il repertorio italiano abbonda di Galli e Gallina, Merlo, Cornacchia, Passeri, Falchi, Quaglia, ecc., specie in Piemonte.
 
Lefebvre, Schmidt e Kuznetsov: tutti fabbri
 
Tra i mestieri, la lotta per il primato europeo è tra l’artigiano del ferro (e dei metalli in genere) e il mugnaio-fornaio. Nel primo caso, incontriamo una sfilza di varianti, derivati e sinonimi in Francia e nel Belgio vallone (Lefebvre, Lefèvre, Faivre, Favre, Fabre, Fauré, Le Goff), e in quello fiammingo (De Smet, Smets, De Smett, Smet), in Olanda (Smit e Smits), e soprattutto in Germania (Schmidt, Schmitt, Schmid) e in Inghilterra e Galles, dove Smith è il n° 1. E poi in Danimarca (Schmidt e Smed), Spagna (Herrero e Ferrer), Romania (Fieraru, Faur e Lacatuş), Irlanda (O’Gobham), Croazia (Kovačević, Kovačić, Kovać), Slovenia (Kovačić e Kovać), Cechia (Šmíd, Kovář, Kovarik), Ungheria (Kovács), Polonia (Kovalski e Kovalsczyk), Estonia (Sepp), Finlandia (Seppänen), Russia (Kuznetsov), tutti col significato di fabbro ferraio e tutti ai primi posti nei rispettivi Paesi.
 
Camilleri, il cammelliere di Malta
 
Nel secondo caso il concetto di ‘lavoratore del grano, della farina, del pane’ si riscontra nel primatista tedesco Müller, negli olandesi Mulder e Vermeulen, nei francesi Meunier, Monnier, Mounier, Monier, Lemonnier, Molinier (nonché Fournier, Dufour, Boulanger), nel rumeno Morariu, nel croato Mlinarić, nell’ungherese Molnár, nel danese Møller.
E mentre in Italia, dopo il fabbro, il mestiere più cognominato è Barbieri, in Germania seguono il sarto (Schneider), il pescatore (Fischer) e il capo del villaggio o della fattoria (Meyer); in Austria il ‘fattore’ e il ‘contadino’, Huber e Bauer; in Inghilterra il sarto (Taylor); in Polonia il ‘carrettiere’ (Woźniak) e inoltre due attività della ristorazione: Kaczmarek ‘oste’ e Kucharski ‘cuoco’; in Romania il gruppo più numeroso, davanti anche al fabbro, ricorda la pastorizia: Ciobanu, Mocanu, Baciu.
In Croazia al ‘fabbro’ seguono il ‘vasaio’ (Lončar) e il ‘carrettiere’ (Kolar e Kolarov). A Malta il primo mestiere rappresentato è il ‘cammelliere’ (Camilleri) davanti al ‘giudice’ (Micallef). In Finlandia è il ‘conciatore di pelli’ (Kinnunen), in Estonia il ‘carpentiere’ (Raudsepp) e il ‘cacciatore’ (Kutt). Il repertorio ungherese, sempre tra i cognomi più frequenti, attinge alla confezione di abiti e calzature – Szabó, Takács, Varga, Csizmadia, Szûcs – e alla musica: Hegedûs vale ‘violinista’, Dudàs ‘cornamusaro’, Sipos ‘pifferaio’.
 
Ho visto un re
 
Ben presente è il concetto di ‘re’, con Leroy in Francia, König in Germania, Kralj in Croazia, Kral in Cechia, Ryan in Irlanda. Fra i titoli nobiliari e amministrativi, Lecomte e Baron, Lemaire e Lemaitre sono diffusi in Francia, e lunga è la serie croata: Herceg ‘duca’, Car ‘imperatore’, Ban e Banić ‘governatore, viceré’, Dukić ‘duce’. Il tipo O’Brien, in Irlanda, vale ‘nobile, alto’. Il significato di ‘capo di un gruppo’ risalta negli sloveni Župančić e Župan. Il significato di ‘prete’ spicca nell’Europa orientale, specie in Romania con il dominio di Popa, Pop e Popescu; Popović è tra i primi in Croazia.
 
L'uomo del colle
 
Un concetto tra i più ricorrenti nei Paesi europei riguarda la provenienza da fuori il centro abitato, specie dalle alture o dai boschi verso territori pianeggianti e coltivati. L’uomo del colle o del monte nella visione urbano-centrica è sentito come un diverso. Bastino l’esempio francese con Dubois, Dupont, Duval, Dumont, Rivière, Roche, Dumas, Dupuis e quello fiammingo con Vermeulen, Dubois, Dupont, Van de Velde. Nel repertorio finlandese prevalgono i cognomi indicanti elementi naturali del territorio, a cominciare dal primatista Virtanen ‘(del) fiume’. Tra i nomi di famiglia estoni diffusissimi quelli per ‘isola’ (Saar) e ‘monte, colle’ (Mägi). Tra i cognomi svedesi assai frequenti sono gli elementi equivalenti a ‘monte’, ‘collina’, ‘valle’, ‘terra’, ‘casa’ e poi ‘fiume’, ‘ruscello’, ‘riva’, ‘cascata’, ‘palude’, ‘isola’.
 
Vecchi e giovani
 
Vari nomi di famiglia hanno a che vedere con il concetto di giovinezza e di vecchiaia: De Jong 1° in Olanda, Lejeune in Francia e in Belgio, Yung in Germania, Young in Inghilterra e Galles, Hogan in Irlanda. Tra le forme che corrispondono a ‘vecchio’, i più alti in rango sono il finlandese Korhonen, il maltese Agius e il croato Starčević. Il rapporto non è di regola legato al fattore anagrafico; l’allusione può essere alla collocazione nel mondo del lavoro (l’artigiano con il suo apprendista). Il soprannome può assumere valori ironici o correlati alle contraddizioni tra età e aspetto fisico; in Italia un nomignolo Vecchio è stato spesso imposto a persone di giovane età ma con tratti fisici o comportamenti tipici dell’anziano.
Un altro gruppo significativo riporta al concetto di alterità attraverso l’idea della novità, ossia di ‘nuovo arrivato, nuovo insediato’. Novak è primatista in Polonia e nella Repubblica Ceca, seguito in entrambi i Paesi da Novotny; in Croazia Novak è tra i primi, come Neumann in Germania.
 
Parentele alla lontana
 
Nel caso dei nomi di persona che hanno originato cognomi, alcuni si ripetono in tutta Europa: Giovanni, Pietro, Tommaso, Giacomo o Matteo. Altri (considerando i cognomi derivati) raggiungono il massimo della frequenza in aree più ristrette: Bernardo e Riccardo in Francia, Fernando e Rodrigo in Spagna, Martino in generale nell’Europa occidentale, Roberto e Guglielmo in Gran Bretagna, Andrea in Scandinavia, Demetrio e Giorgio in Romania, Marco in Croazia, Basile in Estonia.
In sintesi, i cognomi che corrispondono a nomi personali dominano in Danimarca, Svezia, Norvegia e inoltre in Spagna. Potremmo accostare questi Paesi al repertorio della Toscana. I nomi indicanti provenienza dalla topografia circostante – monti, coste, valli, boschi, mulini, ecc. – sono i più numerosi in Olanda e in Belgio. In questo caso la rassomiglianza è con la Sicilia e con la Lombardia (delle tante famiglie Pozzi, Fontana, Strada, Costa, ecc.). Nei Paesi germanofoni e parzialmente in quelli anglofoni ai primi posti delle classifiche troviamo denominazioni di mestieri: un tenue legame con l’Emilia e la Romagna dei Ferrari, dei Fabbri, dei Barbieri, dei Magnani e dei Molinari. Altrove sono soprattutto i soprannomi ad aver dato vita ai nomi di famiglia più numerosi, come in Ungheria, Polonia, Repubblica Ceca. Un po’ come in Campania e in altre regioni del Sud peninsulare, nonché in Sardegna.
 
Bibliografia
Josep Mª Albaiges, El gran libro de los apellidos, Barcelona, Círculo de Lectores, 1999.
Enzo Caffarelli, Frequenze onomastiche. I cognomi più diffusi in alcuni Paesi d’Europa, «Rivista Italiana di Onomastica», IV, 1, pp. 281-303.
Dictionary of American Family Names,a cura di Patrick Hanks, Oxford, Oxford University Press, 2003, 3 voll.
Jules Herbillon / Jean Germain, Dictionnaire des noms de famille en Belgique romane et dans les régions limitrophes (Flandre, France du Nord, Luxembourg), Bruxelles, Crédit Communal, 1996, 2 voll.
Rosa Kohlheim / Volker Kohlheim, Duden Familiennamen. Herkunft und Bedeutung, Mannheim/Leipzig/Wien/Zürich, Dudenverlag, 2000.
 
 

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Quanti accenti fuori posto!

 
 
È noto che il cognome sassarese Cossiga vale il toponimo Corsica e la pronuncia esatta è dunque Còssiga. Pochi invece sanno che il cognome di Sanluri nel Cagliaritano (e di qui in Piemonte) Sàragat è una forma accorciata (e catalanizzata) di Saragattu (fu cambiato su richiesta del nonno di Giuseppe Saragat), da pronunciarsi con l’accento sull’ultima sillaba.
 
Quasimòdo come introito
 
Un altro cognome noto e prestigioso, quello del poeta siciliano premio Nobel Salvatore Quasìmodo, è in realtà Quasimòdo; trae infatti origine dalla formula “Quasi modo geniti infantes”, introito della Messa che si celebra nella liturgia cattolica la prima domenica dopo Pasqua in albis; si tratta della continuazione di un soprannome imposto a persona particolarmente devota, o di un nome dato a un bambino nato in tale giorno dell’anno (o di cognome imposto a trovatelli); l’arretramento dell’accento è frutto della perdita di consapevolezza del significato originario, forse anche per la confusione dovuta alla traduzione italiana del nome del protagonista Quasimodo (ovviamente tronco in francese) del romanzo di Victor Hugo Notre-Dame de Paris.
 
Il salice di Salgàri
 
Ma l’accento più discusso è quello di Emilio Salgari, che ha alla base il latino salix ‘salice’, attraverso un *salica suffissato con -ariu (a indicare più un fitonimo collettivo che il mestiere di chi lavorava il legno dell’albero) con sonorizzazione della velare intervocalica e sincope della vocale pretonica (salicariu > saligario > salgaro/i). Dunque senz’altro da accentare sulla penultima, a dispetto dell’uso.
 
Il calzolaio non è di Cagliari
 
Il caso più simile a quello di Salgàri è il cognome Cagliari; si tratta della pluralizzazione antroponimica di un altro suffissato con -ario, qui certamente nome di mestiere, forma sincopata dal latino caligarius ‘calzolaio’ (in origine: militare) e strettamente imparentato con Cagliaro, Caliari, Caliaro, Calliari, Caligaris, Calligaris, Calligari, Calgaro, ecc.; altri vorrebbero individuarlo nel mestiere del cagliaro, fabbricante di formaggi. Come che sia, è voce piana e la ritrazione dell’accento è dettata dall’analogia con il toponimo Càgliari; la distribuzione del cognome – le province di Mantova, Modena, Bologna, Verona – non lascia dubbi circa l’indipendenza dal capoluogo sardo.
 
Barési non è di Bari...
 
Un caso analogo, e più sorprendente, è il diffuso cognome Barési, che individua oltre 1.000 portatori, tutti concentrati a Brescia e nel Bresciano: alla base non può essere l’etnico di Bari (curiosamente rappresentato da altre forme tra le quali Varese!), ma la località Bàresi, nel comune bergamasco di Roncobello, in Val Brembana. Curioso che, anche in loco, i cittadini siano chiamati Barési e il toponimo regolarmente Bàresi, senza alcuna percezione dell’incontrovertibile collegamento tra i due nomi.
 
… e Parmesàn è di Venezia
 
Ecco altri cognomi che hanno cambiato posizione dell’accento; molti sono veneti e friulani, con apocope della vocale finale di un suffisso -ino, -one, ecc. Il caso più notevole è Furlan ‘friulano’, cognome di rango 1 a Trieste, che proprio nel Nord-Est alcuni pronunciano Fùrlan. Subiscono talvolta un simile trattamento Benettón (da Benedetto + one), il veneziano Coìn (‘codino’), Salomón e Sansón (apocopati per Salomone e Sansone rispettivamente), il panveneto Trevisàn, il veneziano e triestino Padovàn, il veneziano e trevigiano Vazzolèr, il trevigiano Piovesàn, il veneziano Parmesàn, il triestino Muiesàn.
Ancora in àmbito veneto-friulano (e non soltanto) si possono ascoltare Fóngaro per il vicentino Fongàro (nome di mestiere legato alla raccolta e vendita di funghi, qui forse per influenza di Óngaro); Zàmparo per l’udinese Zampàro (variante di camparo ‘sorvegliante dei campi’); Bóscari e Bóscaro per Boscàri/-o dall’appellativo boscarolo; l’udinese Fògar per Fogàr ‘focolare’. Il fenomeno è stato attribuito in varia misura, specie per le variazioni maturate da tempo, alla mediazione della pronuncia tedesca nell’epoca del dominio austroungarico.
 
Perdita di trasparenza
 
Per altre zone d’Italia, le ragioni dello spostamento di accento andranno cercate altrove, a partire dalla perdita di trasparenza semantica delle forme (e dalla scarsa conoscenza della toponomastica italiana) o da specifiche pressioni analogiche. In alcuni casi il cognome di provenienza esprime palesemente origine o legame degli avi con un toponimo: e se il toponimo è il lecchese Sìrtori, non può trasformarsi nel cognome (milanese) Sirtòri (rifatto su Sartòri); se è il bergamasco Vèrtova (presente intorno a Bergamo oltre che a Milano) non potrebbe diventare il nome di famiglia Vertòva, che suona caricaturalmente slavo; né se è l’alessandrino Àlbera Ligure può farsi, in antroponimia, Albèra (di diffusione, appunto, piemontese e ligure).
 
Correttamente Aùgias
 
Derivanti da patronimici e matronimici, si segnalano altri esempi: Àgnes, nome di famiglia equamente distribuito tra le province di Piacenza e di Avellino, è evidentemente Agnés (da Agnése); il casertano e napoletano Mennòne (con epicentro a Gioia Sannitica), piano per analogia con le forme in -óne e da alcuni considerato uno dei tanti discendenti di Domenico, è in realtà un ipocoristico aferetico di Agamènnone, e dunque proparossitono; il toscano (di Abbadia San Salvatore nel Senese e Foiano della Chiana nell’Aretino) Seriacòpi è un composto di Ser + Iàcopo, dunque proparossitono. E ancora, l’anconitano Sagràmola non può che essere Sagramòla, perché composto da “sacra” e da “mola” ‘mulino’ o ‘costruzione in generale’; il palermitano (di Belmonte Mezzagno) Chìnnici ha avanzato l’accento tonico per analogia con altre forme in -ìci, ma è quasi certo che valga ‘quìndici’; il sassarese Àugias (e Àuzzas) deriva da una voce sarda aùza ‘spilla’ a sua volta dall’italiano agùglia o dal catalano agulla e la pronuncia corretta è Aùgias (e Aùzzas).
Se infine consideriamo i nomi di persona Simplicio, Genesio e Nemesio, ecco che i cognomi che ne derivano andrebbero considerati piani: Semplìci, Genèsi e Nemèsi.
 
Bibliografia
Enzo Caffarelli/Carla Marcato, I cognomi d’Italia. Dizionario storico ed etimologico, Torino, UTET 2008, 2 voll.
 
 

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Deonomastica

 

Strana storia con fagiani e fantozziani

«Un martedì di luglio il faro della galleria illuminava la silhoutte di fagiano di un dongiovanni con tanta cipria e rimmel o mascara da sembrare il sosia della giunonica e gioviale sgualdrina in bikini e pantaloncini bermuda la cui berlina, senza benzina, caricava una damigiana di chinotto sbolognato per cognac e poi dalie, begonie, zinnie, ortensie, camelie e gardenia. Nel vicino pullman impantanato, un cicerone gradasso e beota, in jeans turchesi, cravatta fucsia e montgomery bordò, ripeteva che un fantomatico camorrista aveva sfregiato con un grimaldello, per pochi dollari, un fantozziano boéhemien che burchielleggiava alla carlona come un canarino».
D’accordo, il racconto sarà rocambolesco, ma plausibile, perché tutti e 50 i sostantivi, gli aggettivi e i participi che vi compaiono sono parte della lingua italiana e registrati da qualsiasi dizionario di lessico. Con una particolarità: derivano tutti e 50 da nomi propri, antroponimi o toponimi. Nascosti fra gli etimi, che in questo caso chiamiamo eponimi (per aver dato origine a un’antonomasia, a una metafora, a una metonimia o a un derivato suffissale), possiamo individuare l’isola di Pharos, la Galilea, la Faside in Asia Minore, Cipro, la città tunisina di Mascara, Bagdad, l’atollo Bikini e le isole Bermuda, Berlino, Giava, la Cina, Bologna, il comune di Cognac nella Charente, il lago Pantano (oggi di Lesina), la Beozia, Genova, la Turchia, la Crozia, Bordeaux, Gomorra, la Frigia, la cittadina di Skt. Joachimsthal e la Boemia in cui si trova, le Canarie. Personaggi mitologici come gli dèi Marte, Giove e Giunone; figure storiche come Giulio Cesare, Cicerone, Carlo Magno, il ministro francese Étienne de Silhouette, Mr. Rimmel, Madame Hortense Lepante, i botanici Dahl, Begon, Zinn, Kamel, Garden e Fuchs, l’ingegner Pullman, il maresciallo inglese Montgomery, il poeta fiorentino quattrocentesco Burchiello. E poi personaggi finzionali, da Sosia a Don Giovanni, da Gradasso a Pantalone, da Fantomas a Fantozzi, nonché nomi popolari come il fabbro Grimaldo o Dame Jeanne (il lettore potrà ritrovare i nessi meno immediati nel dizionarietto di questo stesso speciale). E non dimentichiamo Rocambole, l’avventuriero dei romanzi di Ponson du Terrail.

Un coro (nascosto) di voci deonimiche

Dire che la lingua italiana, al pari di molte altre, ha nel suo lessico un gran numero di voci derivanti da nomi propri è quasi lapalissiano (dal generale De La Palisse, alla cui eroica morte i suoi soldati intonarono un ritornello che diceva pressappoco “poco prima di morire era ancora vivo”). Meno ovvio che tali voci si chiamino deonomastiche – ma è meglio usare il termine deonimiche – e che al parlante spesso sfugga questa derivazione.
In Italia è stato pubblicato un solo dizionario di deonomastica, di Enzo La Stella T. (Dalie dedali e damigiane - dal nome proprio al nome comune, Bologna/Ginevra, Zanichelli–Olschki 1984); ma in Germania esce dal 1997 l’imponente opera di Wolfgang Schweickard, il Deonomasticon Italicum, che raccoglierà in 7 volumi le principali voci lessicalizzate derivanti da toponimi (primi 5 volumi) e da antroponimi (gli altri 2).
Oggi le cronache e i commenti giornalistici, la lingua di Internet con il suo conio continuo di parole derivate e composte, originano nuovi deonimici, soprattutto derivati di cognomi di personaggi noti. Non a caso nei dizionari di neologismi la quota di deonimici è sempre molto elevata.
Ma molte di queste parole sono apparse da secoli e spesso anche scomparse. Da Bretagna per es., appartengono al passato bertone, imbertonare e imbertonati. Altrettanto raro è sentire ancora i verbi buscherare o buggerare, originate da bulgaro, inteso dapprima come ‘eretico’ per eccellenza e poi come ‘imbroglione’ e infine ‘sodomita’. Lo stesso per bugia, dall’omonima città algerina; il piccolo candeliere la cui base è un piattello con manico.

A chi piacciono e a chi no

Si discute sull’utilità di registrare in un’opera lessicografica i deonimici di rara attestazione e di effimera esistenza. Ma il Grande Dizionario della Lingua Italiana fondato da Salvatore Battaglia riporta, per es. tra i derivati di Petrarca, petrarcume e petrarchizzante (Montale), petrarcale (Pascoli), petrarcalità (Caro), petrarchescaria (Aretino) e inoltre petrarcheo (L. Bellini), petrarchesato (Fagiuoli) petrachevoleria (Baldini) e altre voci che certo non possono dirsi consolidate, a dispetto dei loro illustri onomaturgi, più delle centinaia di suffissati, alterati e composti di Berlusconi che affollano le odierne pagine di giornali e siti web.
Il Grande dizionario italiano dell’uso (Gradit, Torino, Utet 1999) diretto da Tullio De Mauro, registra migliaia di deonimici risultando il più aperto, nella lessicografia contemporanea, a tale genere di neoformazioni. Il Supplemento al GDLI (2004), ha aggiornato i 21 volumi precedenti con un elevato numero di deonimici. Se analizziamo gli oltre 1.000 lemmi inizianti con B-, 1 su 6 appartiene a questa categoria: si tratta di aggettivi etnici, soprattutto di derivati, aggettivi e sostantivi, ma anche avverbi (baudelairianamente, boccaccescamente, brechtianamente) e verbi (borbonizzare, britannizzare), e metonimie, compresi oggetti, strumenti, unità di misura, ecc. che portano il nome di uno scienziato, il cui eponimo, tuttavia, è più spesso un toponimo (badminton, bologna, bordeaux, bottegone, bourbon, ecc.) che un antroponimo (baedeker, béchamel, bignami, bodoni, borsalino, braille, ecc.), con alcune metafore (bagonghi, brambilla, bronx, ecc.) e perfino nomi commerciali (Balacron, Betacom, Bren), derivati da sigle (bierrista) e un composto con deonimico (biodiesel).

Nei dialetti, tra i giargianise

Ogni parlata ha poi i suoi deonimici. L’opera I dialetti italiani. Dizionario etimologico di Manlio Cortelazzo e Carla Marcato (Torino, Utet 1998) riporta decine di voci, tra le quali ricordo qui il ciociaro casbarronë ‘uomo crudele’, dal brigante Antonio Gasparone da Sonnino; il friulano germaniòt ‘operaio stagionale’ (che dal Friuli emigrava ogni anno in Germania); il siciliano bbaialardu ‘grasso’, dall’alchimista salernitano Pietro Barliario, voce corrotta e incrociata con lardo; il messinese cabbarùsu ‘scampagnata del lunedì di Pasqua’ dalla località Calvaruso, meta di gite; i salentini giargianise ‘straniero dal linguaggio incomprensibile’, derivante da vigevanese, a motivo dei commercianti lombardi che si recavano in Puglia per comprare l’uva; e bbibbicàssu ‘cucina a gas’, adattamento di Pibigas, primo tipo di gas giunto in Salento.
Nel Vocabolario napoletano-toscano degli Accademici Filopatridi, pubblicato a Napoli nel 1789 presso Giuseppe Maria Porcelli per mostrare la superiorà del napoletano nei confronti del fiorentino, si legge una lista di nomi di luogo e di persona divenute parole del lessico, ma di cui non si ha alcuna notizia nell’italiano moderno e di cui s’avverte la forte connotazione locale: arzeneca da Seneca, ‘vecchio avarissimo’, combinato con arsenico; feluffe ‘denari’, corruzione di Filippo, nome di vari re di Spagna che batterono moneta; fajenzaro ‘vasaio di creta’, da Faenza, con passaggio a ‘imbroglione’; Autamura, ossia Altamura nel Barese, da cui il detto “Patentato d’Autamura” ‘essere rozzo, ostinato, zotico’; ferrannina, specie di stoffa in lana, che si fabbricava a Ferrandina in Basilicata, ecc.

Dalla metafora al degrado

Ma in quali àmbiti in particolare si sono formati i deonimici dell’italiano? Se parliamo di metafore e di antonomasie l’àmbito è soprattutto quello del carattere dell’uomo, dei suoi vizi e delle sue virtù. Nelle metonimie, invece, sono ben presenti scienziati nominati per l’invenzione che ne porta il nome, o personaggi che per primi usarono un certo oggetto, e poi, in grandissima copia, i luoghi dove furono rinvenuti o dove vengono prodotti bevande, cibi, tessuti, monete.
Quanto ai derivati, i filoni principali sono due: quello artistico, storico e politico, per cui da un cognome celebre si formano aggettivi e altre categorie grammaticali; e le scienze che, soprattutto nelle tassonomie, utilizzano in abbondanza nomi di persona e di luogo: così botanica, zoologia, mineralogia e petrologia, geologia, chimica e fisica, astronomia e medicina.
L’opera pionieristica e tuttora insuperata di Bruno Migliorini (Dal nome proprio al nome comune, Ginevra, Olschki 1927) documenta in modo ampio un’altra importante forma di lessicalizzazione: il degrado semantico dei nomi propri, soprattutto nomi di battesimo; quando diventano troppo comuni, la storia dimostra che vengono utilizzati per indicare l’uomo o la donna qualunque, poi vengono attributi ad animali o piante e a oggetti.

Da Barabba ai barabinesi

Il passaggio da nome proprio al lessico non è dato però una volta per tutte. Il lessico deonimico può dar origine a sua volta a nuovi nomi propri. Si possono scoprire, al proposito, filiere lunghissime. Dalle voci ebraiche bar ‘figlio’ e abba ‘padre, maestro’ si è formato il nome personale Barabba che, a causa dell’associazione al personaggio del Nuovo Testamento, ha assunto un particolare significato in vari dialetti, tra cui il ligure barabin ‘figuro poco raccomandabile’ e poi ‘poveraccio mal vestito’; di qui il cognome Barabino, portato dal celebre architetto Carlo (1768-1835) al quale sono stati intitolati a Genova vari enti e luoghi, compreso un liceo artistico i cui studenti, con un nuovo deonimico, si dicono barabinesi.
Il cognome Fuchs, legato a personaggi storici, ha generato sostantivi deonimici ben noti: dal medico e botanico bavarese Leonhart Fuchs (1501-1566) è stato denominato il fiore fucsia. Dal mineralogista tedesco Joahnn Nepomuk von Fuchs (1774-1856), il minerale fuchsite. Da fuchsia, a causa della pigmentazione, è derivato il color fuchsia nonché il sostantivo fuchsia, ‘colorante organico usato per tingere di rosso il cotone’, con l’alterato fucsina e di qui parafucsina, fucsone, fucsonofilia e fucsonimmina, da fucsina si diparte di un altro grappolo di voci tra cui l’acido fucsico, col (dimetil)fucsone, ecc. E il cipresso e il rame (nella forma greco-latino cupr-), sono strettamente legati tra loro attraverso un toponimo, Cipro.

 

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Onda su onda, lingua su lingua. Come si è formato il patrimonio italiano dei nomi personali (dal Rinascimento ai giorni nostri)

 

Proseguiamo e concludiamo la rapida carrellata sull’origine dei nomi che, nel corso dei secoli, sono giunti in territorio italiano da popolazioni non indigene e da lingue estranee, o da recuperi del mondo classico.

 

Umanesimo e Rinascimento

Con la riscoperta e rivalutazione dei testi classici, latini e greci, nel XV-XVI secolo sono riemersi numerosi nomi personali che erano stati, se non del tutto dimenticati, certo usati in misura marginale nel Primo Medioevo e in quello di mezzo. Sono nomi che riguardano figure storiche o dell’epica: Mario, riemerso dopo un lungo letargo, Attilio, Claudio, Livio, Achille, Agamennone, Aristotele, Cinzio, Ettore, Elena, Enea, Oreste, Ulisse nonché Romolo e Remo.

 

Nomi da altre lingue moderne

Naturalmente i nomi di origine latina e greca, ebraica, longobarda, franca, normanna non sparirono, tutt’altro. Diverso il caso degli Arabi: pur avendo influenzato notevolmente il lessico italiano (navigazione, commercio, astronomia; chimica, matematica, colori e gioielli, frutta e agricoltura in genere), non hanno lasciato tracce onomastiche nei prenomi, se non Meschino, divenuto poi aggettivo degradato semanticamente e dunque non più usato come nome di persona (e reso popolare dal romanzo epico medievale Il Guerrin Meschino di Andrea da Barberino). Gli Arabi, infatti, non si fusero con le popolazioni indigene sul piano religioso (e scarsamente sul piano sociale); i loro nomi non si intrecciarono con quelli latini o greci o germanici né vi furono santi cristiani con nomi arabi.

A motivo della dominazione straniera in Italia – catalana, castigliana, francese, austriaca – in un primo tempo, e poi per i sempre più frequenti scambi linguistici e culturali, si sono invece diffusi in Italia nomi prestati dallo spagnolo, dal francese, dal tedesco e, in particolare nel XX secolo, dall’inglese. Tra questi possono ricordarsi, dalla penisola iberica, Ramiro, Gertrude e Rodrigo, nonché Ines e Alvaro, anche perché la trasmissione per via libresca ha portato a uno spostamento d’accento rispetto alla lingua di provenienza (in spagnolo erano e sono Inés e Álvaro). Anche dall’Europa settentrionale e orientale sono penetrati in Italia numerosi nomi divenuti popolari, come gli slavi Ivan, Sofia e il suo diminutivo Sonia, Boris, Igor; d’origine scandinava è Oscar.

 

Dalla letteratura e dal teatro

In particolare nel XIX e nel XX secolo si sono diffusi ampiamente nomi derivanti da personaggi della letteratura, del teatro di prosa e del teatro lirico – Aida, Amneris, Desdemona, Liù, Malvina, Rossana, Vanessa, ecc. – e nomi derivanti da cognomi di personaggi della storia e della politica, da protagonisti dello sport e dello spettacolo (specie cinema e tv), nomi ideologici da forme del lessico comune o indicanti toponimi sedi di rivendicazioni indipendentiste o di battaglie, nonché i prenomi di moda d’origine francese, spagnola, inglese, tedesca, slava, scandinava.

Un caso particolare è costituito da Ornella, personaggio del dramma di Gabriele D‘Annunzio La figlia di Iorio, scritto nel 1903 e rappresentato dal 1904; la convinzione che anche questo fosse un nome (soltanto) letterario è svanita quando nel dizionario dei nomi italiani di Alda Rossebastiano e Elena Papa (Torino, Utet 2005), è stato documentato più volte il nome prima di quelle date.

 

Nomi ideologici dal lessico o dall’onomastica

Negli ultimi due secoli hanno avuto una limitata diffusione alcuni nomi ideologici legati al Risorgimento, all’irredentismo, alle guerre di conquista italiana in Africa, alla prima guerra mondiale, al socialismo, all’anarchismo, all’anticlericalismo, alle lotte operaie, al fascismo. Tali nomi sono tratti tanto dal lessico – Ateo, Avanti, Idea e Solidea, Progresso, Riscatto, ecc. – quanto dall’antroponimia, ossia da nomi e cognomi di personaggi distintisi per le proprie idee o azioni – Azeglio, Badoglo, Battisti, Benso, Bixio, Cafiero, Caserio, Cattaneo, Ferrer, Lenin, Mameli, Marx, Menotti, Oberdan, Ricciotti – e dalla toponimia – Adua, Ainzara, Asmara, Bengasi, Gorizia, Libia, Magenta, Mentana, Nizza, Tolmino, Trento, Trieste, Tripoli ecc.

 

Nomi trasparenti

Il Novecento ha recuperato e ampliato il repertorio dei nomi trasparenti femminili, corrispondenti a voci di lessico ancora in uso: Aurora, Azzurra, Chiara, Costanza, Dalia, Fiore, Fortuna, Gaia, Gardenia, Giada, Gioia, Gloria, Iris, Letizia, Luna, Margherita, Preziosa, Primula, Serena, Sole, Viola, ecc. alcuni dei quali giù medievali.

Al contrario gli ultimi decenni hanno decretato la scomparsa (provvisoria?) dei nomi trasparenti maschili, allusivi in genere a virtù o a eventi fausti: Gentile, Grazioso, Fortunato, Gagliardo, Tranquillo, Celeste (ambigenere), Benvenuto, Bonaventura e appunto Fausto (ma non di quelli mediati da un’immagine zoofila: Lupo, Orso, Leone).

 

Nomi stranieri d’introduzione recente

I grandi flussi immigratori che hanno caratterizzato l’Italia negli ultimi decenni, insieme a qualche scelta esterofila delle famiglie, hanno infine portato in Italia, tra gli anni Novanta del secolo scorso e i giorni nostri, successi internazionali come Kevin o Emily e Olivia e dall’America Liam, Bryan, Dylan, e Noa(h), C(h)loe, voci francesi come Denise, Désirée e soprattutto Nicole, al momento il più frequente in Italia tra i nomi stranieri non adattati. Inoltre, l’ipocoristico Alex anche anagrafico e non solo nel linguaggio orale, gli ebraici Adam e Nathan, le forme inglesi Thomas, Samuel, Daniel, Michael, Gabriel, Nic(h)olas, Sebastian, Isabel, che si affiancano senza mai superare quelle italiane (tranne i due ultimi esempi) lo spagnolo Santiago e – appannaggio delle comunità arabofone – Rayan, Amir, Omar, Youssef.

Molti nomi stranieri si sono adattati a una grafia tendenzialmente fonetica che ha prodotto “mostri” onomastici come Caren, Chelli, Daiana, Doroti, Genis, Gennifer, Laisa, Monic, Quanita, Sindy, Stasy e poi Ciarli, Devid, , Entoni, Gheri, Saimon e Seimon, Stiv e Stivi, Timoti, Uilliam. Liberi di immaginarsi una Cherolain e un Endriu che, mettendo su famiglia, potrebbero chiamare i figli Recel e Maicol.

 

 

Il ciclo Onomastica: un mondo da scoprire è ideato, curato e scritto da Enzo Caffarelli.

Di seguito il link agli interventi già pubblicati:

 

1 Onomastica: un mondo da scoprire. Introduzione

2 Cognomi in Italia: il contributo fondamentale dei nomi personali

3 Abbonante, Abbondanzieri, Zappalà, Zappellaro. Dalla A alla Z, ma che tipo di mestiere facevano i nostri avi?

4 Buoncambio, Migliore, Soperchia, Perchecivenisti. Quando i genitori indicavano nel nome soddisfazione o disappunto

5 Trasmissione del cognome: d’ora in poi doppio

6 Etimologie consolatorie: non sempre è come sembra...

7 Un po’ di statistiche. I nomi maschili più attribuiti nel 2021

8 Un altro po’ di statistiche. I nomi femminili più attribuiti nel 2021

9 Il cognome moderno, etichetta muta o parlante? Quel che ci dice del suo portatore

10 Emma, Giulia e Matilde sono tornate. La teoria delle mode dei nomi personali

11 Il profilo dei cognomi italiani, regione per regione: Piemonte, Valle d’Aosta, Liguria

12 Onda su onda, lingua su lingua. Come si è formato il patrimonio italiano dei nomi personali (da Roma antica al XIII secolo)

13 Cognomi polivalenti: quando la semantica fa brutti scherzi

14 I cognomi italiani, regione per regione: Lombardia, Veneto, Trentino Alto Adige, Friuli Venezia Giulia

15 Paternoster, De Baptistis, Fidelis e Dixitdomino. Cognomi moderni in veste latina

16 Finisce l’era del signor Mario Rossi

17 Perché nomi frequenti e altri rari?

18 I cognomi italiani, regione per regione: Emilia-Romagna, Toscana, Umbria, Marche

 

 

Immagine: Aurora ad Aquisgrana (Germania), via Wikimedia Commons

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I cognomi italiani, regione per regione: Emilia-Romagna, Toscana, Umbria, Marche

 

Emilia-Romagna

Nella regione abbondano i nomi da indicazioni di mestiere: Ferrari con Fabbri e Magnani (pressappoco con il medesimo significato) e il derivato Ferrarini; poi Barbieri, gli equivalenti Molinari e Monari, Vaccari e Cavallari, Massari e Mezzadri, Fornaciari e Fornasari, Muratori, Cuoghi, Medici. L’antica presenza e valorizzazione degli artigiani è completata da Sarti e Sartori, Calzolari, Borsari, Artioli (genericamente ‘artigiano’); altri mestieri posso celarsi dietro sostantivi quali Mazza, Martelli, Cavalli, Farina. Tale repertorio rispecchia bene l’Italia dei Comuni, che ebbe in Emilia-Romagna una delle sue espressioni più vivaci; e segnala una maggiore propensione degli addetti – notai, pubblici ufficiali, sacerdoti ecc. – a definire un individuo attraverso l’attività esercitata.

Non mancano tuttavia alcuni aggettivi relativi all’aspetto fisico: tra i più frequenti, a parte Rossi, Bianchi e Neri, si segnalano Ricci, Grandi, Vecchi e Bassi, e, tipici, quelli formati da verbo o aggettivo più nome, oppure da due sostantivi: Tagliaferri, Paraboschi, Pelagatti, Codeluppi (‘testa di lupo’), Ligabue (‘lega il bue’), Tagliavini (chi era solito annacquare il vino), Pellacani (dove il verbo può significare ‘rubare’), Mazzavillani, Maccaferri che indica sì l’atto dell’ammaccare il ferro, ma al pari di Ferramosca, Tettamanzi o Mazzagrillo poteva valeva ‘fannullone, perdigiorno’, ossia chi compie un’azione inutile o impossibile o poco plausibile.

 

Toscana

Si caratterizza, al contrario del Nord d’Italia, per una prevalenza di cognomi brevi, per lo più bisillabi, dovuti a forme raccorciate – Gori, Baldi, Landi, Berti, Bacci, Pucci, Neri, Bini – o suffissate di nomi propri; rari i derivati da nomi di luogo, specifici o generici, e pochi i cognomi derivanti dal lessico: tra quelli di maggior rango, da nomi di cariche e mestiere incontriamo Conti, Fabbri, Ferrari, Barbieri, Baroni, Sarti, Mugnai e Mugnaini, Magnani, e da soprannomi descriventi l’aspetto fisico o comportamenti Mancini, Cappelli e Cappellini, Grassi, Biondi, Martelli, Ciampi. Il predominio del cognome nº 1, Rossi, è tale che nessun altro ne supera la metà delle occorrenze.

Tipici della regione sono Lucchesi, Manetti, Pratesi, Bindi, Melani, Niccolai, Brogi, Pardini, Nocentini. Possono considerarsi sostanzialmente toscane anche altre forme accentrate per più del 50% nella regione: Bacci, Biagi e Biagini, Casini, Cecchi, Cioni, Dini, Gori, Innocenti, Pacini, Paoli, Papini, Pieri, Salvadori. Da Giovanni derivano 5 cognomi tra i primi 100 – Giannini, Vanni, Vannini, Vannucci, Giovannini – e altri 6 tra i primi 200 – Gianelli, Giovannetti, Nannini, Giannetti, Giannoni, Giannotti.

In Toscana una persona veniva dunque identificata con il primo nome seguito da quello paterno, più raramente con il luogo di provenienza, con il mestiere esercitato, con la carica ricoperta o con un soprannome.

Un altro fenomeno linguistico che ha colpito i nomi in modo particolare in Toscana, è la sincope, con mantenimento della consonante iniziale e le sillabe terminali: si tratta del tipo Madonna > Monna e Durante > Dante, Donato > Dato, Benvenuto > Buto, Bencivenni > Benni, Benedetto > Betto, Baroncio > Boncio, Bonaccorso > Borso ecc.

Diffusissimi, invece, i cognomi imposti ai trovatelli: Innocenti (dallo Spedale degli Innocenti, secolare istituzione fiorentina) con le varianti Degl’Innocenti, Nocenti e Nocentini.

 

Umbria

I cognomi più frequenti sono in gran parte tipici dell’Italia centrale, ben presenti anche a Roma e nel Lazio e in altre regioni, in piccola parte esclusivi del territorio umbro. Si caratterizzano per derivare in massima parte da nomi personali, in forma patronimica e uscenti in -i (97 sui primi 100, alcuni suffissati in -ini, -etti, -elli e -ucci), con pochi nomi di famiglia, tra quelli frequenti, corrispondenti a nomi di luogo, nomi di mestiere o da soprannomi.

Numerosi sono i tipi con base i nomi dei santi degli ordini mendicanti del ’200: da Francesco, Ceccarelli, Cecchetti, Cecchini; da Antonio, Antonini e Antonelli; da Domenico, Dominici, Mencarelli, Menichetti ecc. Altri nomi personali che hanno originato un certo numero di nomi di famiglia. sono Mariano, Benedetto, Sabatino, Mariotto, Santino, Costantino, Angelo, Tomasso, Petrino, Brunetto, Donato: oltre a essere quasi tutti legati fortemente alla tradizione onomastica cattolica, sono perlopiù d’origine latina o greca, ma non germanica, nonostante l’Umbria sia stata a lungo dominio dei Longobardi, che anzi ebbero a Spoleto il capoluogo di un secolare ducato.

Tra i soprannomi spiccano quelli che hanno dato origine a Ricci, Mancini, Tosti, Conti; mentre per Moretto e Morello, Rosato, Bello e altri si può ipotizzare un nome personale poi divenuto cognome. Troviamo inoltre composti come Barbanera e Barbarossa, Capotosti, Toccaceli (per una persona molto alta) e Ciancaleoni (ovvero zampa di leone, per un uomo dal braccio forte). Da nomi di animali, Volpi, Piccioni e Lepri, nonché Formica, Lupi, Pettirossi, Corvi, Faina. I discendenti degli esposti sono chiamati Proietti o Alunni.

 

Marche

Le Marche presentano cognomi tra i più comuni in Italia, a cominciare dai primatisti Rossi e Mancini, ma anche nomi di famiglia localmente tipizzati: così Cingolani, l’aggettivo etnico da Cingoli nel Maceratese, Capriotti, Sabbatini e Bartolucci.

Dal punto di vista tipologico, anche nelle Marche predominano i cognomi che originano da un nome personale, in analogia con Umbria e Lazio, e inoltre con l’Abruzzo: Ricci, Mariani, Costantini, Valentini, Luciani, Giuliani ecc., tutti con la tipica pluralizzazione in -i e spesso suffissati, specie con -ini (Angelini, Cecchini, Paolini, Rossini, Alessandrini ecc. e con -etti (Paoletti, Marchetti, Ferretti, Carletti, Rossetti, Simonetti ecc.); o anche in -elli (Marinelli, Agostinelli, Antonelli, Mancinelli ecc.). Tipiche, inoltre, le terminazioni in -ucci (Bartolucci, Balducci, Pascucci) e in -oni (Marconi, Carloni, Santoni, Baldoni, ecc.); talvolta il suffisso è doppio, vedi Paolinelli o Belardinelli.

Indica provenienza Romagnoli, seguono Montesi e Montanari; si segnalano inoltre Pesaresi, Perugini, Albanesi. L’alta frequenza di Marchegiani si spiega con la mobilità interna alla regione e, per lungo tempo, all’interno dello Stato della Chiesa, dove i marchigiani erano noti anche come esattori delle tasse; l’esercizio di questo mestiere, inviso alla popolazione, ha trasformato marchigiano in un soprannome che vale spregiativo di ‘imbroglione’.

 

 

Il ciclo Onomastica: un mondo da scoprire è ideato, curato e scritto da Enzo Caffarelli.

Di seguito il link agli interventi già pubblicati:

 

1 Onomastica: un mondo da scoprire. Introduzione

2 Cognomi in Italia: il contributo fondamentale dei nomi personali

3 Abbonante, Abbondanzieri, Zappalà, Zappellaro. Dalla A alla Z, ma che tipo di mestiere facevano i nostri avi?

4 Buoncambio, Migliore, Soperchia, Perchecivenisti. Quando i genitori indicavano nel nome soddisfazione o disappunto

5 Trasmissione del cognome: d’ora in poi doppio

6 Etimologie consolatorie: non sempre è come sembra...

7 Un po’ di statistiche. I nomi maschili più attribuiti nel 2021

8 Un altro po’ di statistiche. I nomi femminili più attribuiti nel 2021

9 Il cognome moderno, etichetta muta o parlante? Quel che ci dice del suo portatore

10 Emma, Giulia e Matilde sono tornate. La teoria delle mode dei nomi personali

11 Il profilo dei cognomi italiani, regione per regione: Piemonte, Valle d’Aosta, Liguria

12 Onda su onda, lingua su lingua. Come si è formato il patrimonio italiano dei nomi personali (da Roma antica al XIII secolo)

13 Cognomi polivalenti: quando la semantica fa brutti scherzi

14 I cognomi italiani, regione per regione: Lombardia, Veneto, Trentino Alto Adige, Friuli Venezia Giulia

15 Paternoster, De Baptistis, Fidelis e Dixitdomino. Cognomi moderni in veste latina

16 Finisce l’era del signor Mario Rossi

17 Perché nomi frequenti e altri rari?

 

Immagine: Città di Maranello, via Wikimedia Commons

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Perché nomi frequenti e altri rari?

 

Nella popolazione italiana odierna nel suo complesso, Giuseppe risulta sempre il nº 1 in campo maschile, ma ormai di poco, davanti ad Andrea e Marco; e Maria precede Anna al 1º posto in campo femminile. Se invece contiamo i nomi imposti con maggior frequenza ai nuovi nati nei primi anni del XXI secolo (e negli ultimi del XX), altri sono i nomi più frequenti: Sofia, Giulia, Giorgia, Aurora, Chiara, Sara, Alice, da un lato; Leonardo, Lorenzo, Matteo e Mattia, Francesco, Alessandro, Andrea, dall’altro. Ma perché alcuni nomi sono frequenti e altri rari? Ecco le ragioni principali.

 

La tradizione famigliare e religiosa

La tradizione, di carattere famigliare (il nome di nonni, zii o altri parenti, padrini di battesimo), o religiosa (la dedicazione a un santo o alla Madonna) ha modellato per secoli l’onomastica italiana ed è tuttora viva, specie al Sud, pur avendo subìto una certa erosione. Le cause: dalla seconda metà del ’900 la secolarizzazione e l’abbandono di aspetti rituali legati alla religione, i mutamenti sociali della famiglia, la propensione dei genitori per nomi innovativi.

I più tradizionali, per quantità e qualità, del repertorio italiano sono soprattutto quelli che hanno alla base la Vergine e i santi più venerati. Uno stesso nome portato da più santi ha maggiori probabilità di moltiplicarsi nelle comunità: è il caso di Giovanni (se ne segnalano alcune centinaia!), ma certo il Battista è quello che ha più ha influito sulle scelte; è il caso di Francesco, con il culto per l’Assisano ma anche per Francesco di Paola; e di Antonio, amato in particolare nel Meridione oltre che in Veneto; il culto per il santo di Padova è affiancato da quello per S. Antonio Abate.

 

Le figure di culto locale

Una seconda motivazione, legata alla prima, riguarda i santi o le diverse immagini della Madonna oggetto di particolare venerazione popolare in una specifica località. I santi particolarmente amati dal popolo, i patroni delle città, quelli le cui spoglie sono conservate in una determinata chiesa o santuario, ecc., svolgono un ruolo nella perpetuazione del proprio nome.

Il fenomeno si coglie facilmente estrapolando dalla liste dei nomi connotati come unici (o quasi) di una regione o di una provincia, quelli corrispondenti ai culti locali. Per es. in Sardegna Monserrata, Remedia, Miracola, Bonocatta; in Sicilia Odigìtria, Tìndara, Signora, Matrice, Letterìa, Catena; in Calabria Montagna e Montagnina, Spasimina, Achiròpita, Pettoruta, Pileria; in Puglia Concepita, Fonte e Fontana, Sterpeta, Popola, Soccorsa, Valverde, Finimunda; in Campania Partorina, Refugia, Avvocata, Dolorinda.

 

L’eufonia e la moda

Che cosa sia un “nome bello” è questione senza soluzione: i gusti sono personali, anche se spesso influenzati dal contesto, dalla pressione dei pari, dalle tendenze. Certa letteratura e taluni ambienti, come quello dello spettacolo, hanno puntato su nomi che risultassero gradevoli e lo stesso vale per i cosiddetti nomi d’arte. Negli ultimi decenni, specie presso le classi meno acculturate, hanno avuto buon gioco nomi esotici ben illustrati da personaggi di opere cinematografiche e televisive, soprattutto seriali.

In parte legata alla precedente, la motivazione della moda ha avuto un’incidenza crescente sul successo di un nome, specie nel XX secolo. Per imitazione, per “andare sul sicuro”, perché adatto a un bambino o bambina, si sceglie un nome diffuso che piace, che è nell’aria, che si ascolta spesso, che – si ritiene – non farà sentire inadeguato/a e fuori del tempo il figlio o la figlia.

La moda risulta influenzata dai mezzi di comunicazione e di espressione come tv, radio, cinema (e, prima dell’invenzione di tali mezzi, da letteratura, teatro di prosa e ancor più teatro lirico).

 

La frammentazione in varianti, derivati e composti

Nel valutare la frequenza di un nome occorre tener conto delle varianti. Alcuni nomi si presentano in una forma senza (o con pochissimi) alterati e derivati; è il caso di Marco, Andrea, Luca, Massimo, ecc. Altri invece si frammentano in varianti e alterati: Nicola con Nico, Nic(c)olò, o Giacomo, con Giacobbe e con Jacopo; ciò comporta una riduzione del valore numerico dei singoli nomi, qualora, come legittimo, in una qualsiasi graduatoria le varianti non siano sommate (a voler essere fiscali, nelle statistiche anagrafiche perfino le varianti grafiche Sara e Sarah o Debora e Deborah vengono conteggiate separatamente).

Alla forma piena, o nucleo base, di un nome, per es. Giovanni da Iohannes, possono infatti aggregarsi: i suffissati o alterati Giovannino, Giovannello, Giovannetto; i corrispondenti del genere opposto: Giovanna, Giovannina, Giovannella; i composti: Giovanni Battista, Giovanpaolo, Giovancarlo; i derivati come Giovannìco; gli ipocoristici o raccorciati: Gianni, Vanni, Nanni, Zanni, Gio; gli ipocoristici a loro volta suffissati: Giannino, Giannetto, Gianettino, Vannino, Ninetto, Ninuccio coi femminili Gianna, Vanna, Nannina; le varianti: Giani, Vani, Zani; i composti: Giancarlo, Giampiero, Giampaolo, Giambattista, Giammaria ecc.; nonché le varianti: Giovàni, Iovanni, Gioanni, Ioana.

 

L’adattamento al sistema linguistico

In un qualsiasi repertorio onomastico, è importante la capacità di un nome di entrare in un dato sistema linguistico e di trovarvi un proprio spazio, il che comporta un adattamento. Un nome che risponde meglio alle caratteristiche dell’italiano – uscita in vocale, assenza di nessi consonantici complessi, relativa facilità di pronuncia, possibilità di sostituire agevolmente grafemi estranei all’italiano – ha più probabilità di diffondersi e di sopravvivere rispetto al nome che non risponde a tali requisiti; per es. Jessica (e Gessica) appare più integrato nella lingua italiana di Jennifer, o Ivan più di Juri.

Va da sé che, almeno in determinati periodi della storia di una lingua, l’adattamento è reciproco; negli ultimi decenni l’esterofilia ha condotto la lingua italiana ad accogliere ed anzi talvolta a ricercare con entusiasmo forme esotiche o estranee alla nostra tradizione.

 

Il ciclo Onomastica: un mondo da scoprire è ideato, curato e scritto da Enzo Caffarelli.

Di seguito il link agli interventi già pubblicati:

 

1 Onomastica: un mondo da scoprire. Introduzione

2 Cognomi in Italia: il contributo fondamentale dei nomi personali

3 Abbonante, Abbondanzieri, Zappalà, Zappellaro. Dalla A alla Z, ma che tipo di mestiere facevano i nostri avi?

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7 Un po’ di statistiche. I nomi maschili più attribuiti nel 2021

8 Un altro po’ di statistiche. I nomi femminili più attribuiti nel 2021

9 Il cognome moderno, etichetta muta o parlante? Quel che ci dice del suo portatore

10 Emma, Giulia e Matilde sono tornate. La teoria delle mode dei nomi personali

11 Il profilo dei cognomi italiani, regione per regione: Piemonte, Valle d’Aosta, Liguria

12 Onda su onda, lingua su lingua. Come si è formato il patrimonio italiano dei nomi personali (da Roma antica al XIII secolo)

13 Cognomi polivalenti: quando la semantica fa brutti scherzi

14 I cognomi italiani, regione per regione: Lombardia, Veneto, Trentino Alto Adige, Friuli Venezia Giulia

15 Paternoster, De Baptistis, Fidelis e Dixitdomino. Cognomi moderni in veste latina

16 Finisce l’era del signor Mario Rossi

 

Immagine: Beato Angelico, Cristo glorificato nella corte del paradiso, 1423-24, via Wikimedia Commons

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Finisce l’era del signor Mario Rossi

 

Dalla metà del Novecento il signor Rossi, con tanto di nome di battesimo, Mario, è divenuto sinonimo dell’uomo qualunque italiano. Eppure Rossi rappresenta solo due terzi del nostro Paese e Mario non è mai risultato il nome di battesimo più comune in Italia.

 

Le accoppiate vincenti

L’accoppiata Mario Rossi primeggia esclusivamente in Toscana. E – tra i capoluoghi di regione – a Firenze, Perugia, Ancona. Il “bergamasco qualunque” è Angelo Rota, il veneziano Giuseppe Vianello, l’agrigentino Giuseppe Vella, il viterbese Roberto Delle Monache, il triestino Giuseppe Furlan, l’aquilano Antonio Ianni, il campobassano Antonio Palladino, il salernitano Antonio Santoro, il barese Giuseppe Lorusso, il potentino Giuseppe Rotundo, il catanese qualunque è Giuseppe Giuffrida e via dicendo.

E allora chiediamoci come mai il soprannome (e nome personale) Rosso si sia moltiplicato con frequenza tale da costituire la base per una serie ampia e radicata di cognomi centro-settentrionali. Certamente fu assegnato a chi aveva capelli e barba rossi: una minoranza nelle varie comunità del territorio italiano; un nome utile, dunque, per la sua funzione distintiva.

 

Valori simbolici

Questa minoranza fu spesso soggetta a una stigmatizzazione sociale. Basti pensare alle associazioni medievali del colore rosso, a cominciare dalla pelle (del volto in particolare), la porzione più scoperta del corpo umano. L’arrossamento poteva essere causato da alcolismo, iperossigenazione nelle zone di montagna, stati patologici fino alla lebbra, a lungo una delle piaghe più devastanti in Europa. La medicina medievale parlava di febbre rossa per riferirsi a un tipo di sintomi di cui ancora oggi rimane traccia nella scarlattina (da scarlatto ‘rosso’). Il soprannome veniva dunque a segnalare un’anomalia e poteva portare a una sorta di condanna: si pensi all’associazione popolare tra l’essere montanari e il venir considerati rozzi di modi e piccoli di cervello.

D’altra parte, nel Medioevo più che in altre epoche, il valore simbolico dei colori era fondamentale. Il rosso era accostato al sangue, ad animali ritenuti diabolici come la volpe, al fuoco infernale e al demonio. Secondo una tradizione, erano rossi capelli e barba di Giuda. Il pelo rossiccio era popolarmente considerato un segno di bizzarria e di malizia, quando non di volgarità e cattiveria. Tale credenza ha caratterizzato anche la rappresentazione di personaggi della letteratura, dal ciclo cavalleresco arturiano (è rosso Meleagante, il cavaliere fellone che rapisce la regina Ginevra) al Decameron (con il frate Cipolla ‘di pelo rosso’), fino alle novelle di Giovanni Verga (Rosso Malpelo). Tuttavia, a volte, i nomi dei colori possono essere divenuti indicatori di una fazione politica o un riferimento a stemmi araldici.

 

Centro-Nord contro Sud

Rossi è tipico di quasi tutto il Nord d’Italia (in Piemonte e in Liguria compete con Rosso) e tipicissimo del Centro, mentre nel Sud è quasi latitante. In Puglia non figura tra i primi 200 per frequenza, in Sicilia neppure tra i primi 500. Nel Meridione peninsulare e nell’isola a dominare è Russo. Russo è ben lontano dall’apparentarsi con i cittadini della Russia. Tanto meno con il verbo russare, per quanto un cittadino dal doppio cognome, tempo fa, abbia chiesto alle autorità di modificarlo: si chiamava Russo Forte. Si tratta invece del corrispondente meridionale di Rossi, espresso al singolare e con la vocale tonica trasformata da -o- in -u- in seguito a fenomeni fonetici di alcuni dialetti meridionali.

Mario è stato semplicemente un nome di moda, imposto con elevatissima frequenza, ancora una volta soprattutto nel Centro e nel Nord, ma raramente al Sud, tra gli anni Ottanta del XIX secolo e gli anni Trenta del XX. Ma, appunto, frequentissimo nella generazione dei 40-70enni culturalmente dominante negli anni in cui fu coniata l’espressione “Mario Rossi” col valore di ‘italiano qualunque’. E dominante, insieme a Rossi, in città come Roma (capitale politica), Milano (capitale economica), Torino (co-capitale industriale e prima sede della Rai), Firenze (co-capitale della cultura e della lingua italiana). Difficile, per il meridionale Giuseppe Russo, competere con tali e tanti poteri.

Eppure ai punti, come in certi sport, Giuseppe Russo avrebbe prevalso, perché la diffusione di Giuseppe è secolarmente radicata in tutta Italia e compattamente nel Meridione. Nel primo conteggio ufficiale operato nel 2000 sugli abbonati telefonici (dunque solo persone adulte) da seat/Pagine Gialle, la coppia onomastica nº 1 era Giuseppe + Russo, mentre il ticket Mario + Rossi occupava solo l’8ª posizione, preceduto anche da Antonio Russo, Antonio Esposito, Giuseppe Rossi, Salvatore Russo, Francesco Russo e Giuseppe Esposito. I primatisti regionali, poi, sono altri: in Piemonte Giovanni Ferrero, in Liguria Giuseppe Parodi, in Lombardia Luigi Colombo, in Veneto Umbria e Marche Giuseppe Rossi, in Emilia-Romagna Giuseppe Ferrari, nel Lazio Antonio Rossi, in Abruzzo Antonio D’Angelo, in Campania Antonio Esposito, in Puglia Antonio Greco, in Calabria Giuseppe Romeo, in Basilicata e in Sicilia Giuseppe Russo, in Sardegna Antonio Sanna.

 

Sorpasso inevitabile

Nel 2023 è molto probabile che Giuseppe Russo sia ancora in testa in Italia, per quanto minacciato da Andrea Russo, Marco Russo, Andrea Rossi e Marco Rossi. Più in generale, il signor Rossi – qualunque sia il suo nome di battesimo – è insidiato negli ultimi anni dal signor Russo. I fenomeni migratori del ’900 hanno portato nelle città del Centro-Nord decine di migliaia di Russo. E il risultato è inevitabile: mentre i Rossi continuano a essere romani, umbri, toscani, marchigiani, emiliani e lombardi, i Russo sono ancora siciliani, pugliesi, campani ma parlano inoltre con accento romano, fiorentino, bolognese, milanese e torinese. A Torino, dal 2010, è proprio Russo il cognome più diffuso in assoluto, davanti al piemontesissimo Ferrero, a Rosso e a Rossi. Insomma, Russo rappresenta meglio di Rossi l’Italia nel suo insieme e il sorpasso, a livello nazionale, è imminente.

 

 

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1 Onomastica: un mondo da scoprire. Introduzione

2 Cognomi in Italia: il contributo fondamentale dei nomi personali

3 Abbonante, Abbondanzieri, Zappalà, Zappellaro. Dalla A alla Z, ma che tipo di mestiere facevano i nostri avi?

4 Buoncambio, Migliore, Soperchia, Perchecivenisti. Quando i genitori indicavano nel nome soddisfazione o disappunto

5 Trasmissione del cognome: d’ora in poi doppio

6 Etimologie consolatorie: non sempre è come sembra...

7 Un po’ di statistiche. I nomi maschili più attribuiti nel 2021

8 Un altro po’ di statistiche. I nomi femminili più attribuiti nel 2021

9 Il cognome moderno, etichetta muta o parlante? Quel che ci dice del suo portatore

10 Emma, Giulia e Matilde sono tornate. La teoria delle mode dei nomi personali

11 Il profilo dei cognomi italiani, regione per regione: Piemonte, Valle d’Aosta, Liguria

12 Onda su onda, lingua su lingua. Come si è formato il patrimonio italiano dei nomi personali (da Roma antica al XIII secolo)

13 Cognomi polivalenti: quando la semantica fa brutti scherzi

14 I cognomi italiani, regione per regione: Lombardia, Veneto, Trentino Alto Adige, Friuli Venezia Giulia

15 Paternoster, De Baptistis, Fidelis e Dixitdomino. Cognomi moderni in veste latina

 

 

Immagine: Amore e dolore di Edvard Munch, via Wikimedia Commons

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Paternoster, De Baptistis, Fidelis e Dixitdomino. Cognomi moderni in veste latina

 

I numerosi cognomi odierni che si presentano in veste latina o pseudolatineggiante (o iperlatineggiante), non hanno alcuna continuità diretta non solo, com’è evidente, con nomina, cognomina e agnomina classici, ma neppure con le forme attestate in documenti d’epoca medievale (salvo rarissime eccezioni). Tali cognomi possono suddividersi in quattro gruppi.

Il primo gruppo comprende nomi di famiglia con uscita ablativale plurale e preceduti in genere da preposizione, frutto di ricostruzioni notarili d’epoca moderna e mantenutesi nel tempo secondo usi locali, come dimostra l’elevata concentrazione in un’area ben specifica, le province abruzzesi di Teramo soprattutto e di Pescara, con sconfinamenti in Molise e nel Foggiano. Tale distribuzione territoriale vale soprattutto per le forme che presentano anche tratti latini estranei all’italiano, come i nessi consonantici -ct- o -pt-, i digrammi -ph- o -ti- davanti a vocale, le uscite -iis e -ibus, una -h- iniziale o la -y- d’origine greca.

Esemplifichiamo con il frequentissimo De Sanctis in Lazio e Abruzzo; De Pamphilis chietino e aquilano; i teramani De Baptistis, De Prophetis, De Ascentiis, D’Annuntiis (a Corropoli), De Galitiis (ad Atri); De Laurentiis tra i primi 100 per frequenza a Teramo ma più numeroso sia nel Chietino, sia a Roma, con De Lorentiis di Lecce; De Crescentiis e De Stephanis con epicentri Pratola Peligna-Aq, De Innocentiis nel Chietino e la lista potrebbe a lungo continuare.

Si noti la H- in: De Hieronymis, a Bologna e sparso; De Hippolytis a Salerno, De Honestis a Milano, a Roma, in Campania; il gruppo -cha- in De Archangelis, a Lanciano-Ch e a Pescara; il dittongo in De Matthaeis, a Roma e sparso; la resa -th- anche in De Mattheis, a Tossicia-Te e nella capitale, De Mathia in Campania, De Thomasis nel Pescarese. Oltre ai tanti cognomi uscenti in -is e in -iis, una ventina sono quelli in -ibus, tra cui Bonitatibus, De Collibus e De Felicibus, De Iudicibus, Fidelibus, De Leonibus, quasi tutti abruzzesi o marchigiani o pugliesi.

Nel novero dei tanti cognomi in -is dobbiamo poi considerare quelli non preposizionali: patronimici settentrionali come Andreis, Giorgis, Michelis, Tomatis, specie piemontesi, ma anche pugliesi; Antonellis, Iacobellis, Lippolis, Miccolis, Petruzzellis; pluralizzazioni latineggianti dei suffissi -ario, -erio, -ero, -ore, in particolare corrispondenti a nomi di mestiere: Barberis, Beccaris, Caligaris, Cavalleris, Ferraris, Forneris, Pastoris, Sartoris, tutti in Piemonte; Fabbris e Fabris in Veneto; nomi di famiglia lombardi, quasi esclusivi del Bergamasco – Cortinovis, Maffeis, Bolis, Noris, Epis, Facheris, Acerbis, Rovaris Ongis, ecc. che possono avere origini notarili, ma in alcuni casi potrebbero rappresentare anagrammi tipici degli istituti di accoglienza degli esposti: Epis = pesi; Facheris = schifare, che farsi; Pecis = pesci, cispe; Cefis = sfece; Ongis = sogni ecc.

 

Devozione cristiana nei brefotrofi

Il secondo gruppo è infatti costituito da cognomi imposti a trovatelli in vari brefotrofi italiani, presumibilmente nel corso del secolo XIX. Tra gli esempi latini, Ex Ignotis a Reitano nel Messinese, Deus Scit e Deuscit, siracusani, nel significato di ‘Dio (solo lo) sa (di chi sei figlio)’ e Deus Dedit a Campomaggiore-Pz; Dicidomine nel Trapanese e altrove in Sicilia e Dissidomino nel Messinese, Dixit Domini a Palermo, Dixitdomino a Torino e dintorni, tutti con alla base l’espressione per ‘(lo) ha detto il Signore’. Dalla formula tibi, Domine, do, ‘a te lo consacro, o Signore’, si hanno i cognomi Addomine, Addomino e Dominedò. Interessanti le possibili spiegazioni di Salvemini e Miseremini, seconde persone plurali del congiuntivo presente passivo dei verbi salvari e miserari, rispettivamente “che siate salvati” e “che riceviate misericordia, compassione”.

Da una formula burocratica e non religiosa dovrebbe derivare il cognome, accentrato in Piemonte, Actis, relitto della formula “professio in actis” relativa alla conferma della nascita di figli illegittimi.

 

Direttamente dalla liturgia

Il terzo gruppo di cognomi latini deriva da forme soprannominali tratte dalla liturgia cristiana e dalle preghiere più popolari. Si tratta dei nomi di famiglia Agnusdei, specie tarantino, brindisino, umbro e molisano; vi si riconducono anche le forme aferetiche Nusdeo e Nosdeo, rarissime e calabresi; Amen, specie lucano e campano, dalla parola ebraica corrispondente a ‘vero, certo’, usata poi col significato di ‘così sia’ e ‘così è’; Chirieleison dall’espressione greca che vale ‘Signore, abbi pietà!’, all’origine di un soprannome imposto probabilmente a persone molto devote e ferventi; il cognome è messinese come pure Crieleison e la variante con K- iniziale (ne deriva anche l’italianizzato Crialesi).

Ancora, nel Perugino il nome di famiglia Santificetur ‘sia santificato’, deriva da un soprannome coincidente con un frammento del Padre Nostro e lo stesso Paternoster dalla formula iniziale della preghiera cristiana per eccellenza. Deogratias, pesarese, corrisponde all’espressione ‘(siano rese) grazie a Dio’.

Dall’Ave Maria sono ricavati Graziaplena, teramano e campobassano, e il napoletano Salveregina maceratese. Alessandrino e torinese, ma anche pescarese e molisano, risulta Miserere; di Castro dei Volsci Vitaterna. Si aggiungano, forse non sempre da formule liturgiche, Nobis, Vobis, Ecclesia, Angelus, Materdomini, Filius. E ancora l’avellinese De Iesu, l’alessandrino De Homen Christo, nonché Trinitas, Fratres, Corpus, Omnia, Omnis, Miracula, Santorum.

Particolari sono i casi di Quasimodo e di Asperges. Il primo trova origine nella formula «Quasi modo geniti infantes...» “come bambini appena nati”; L’arretramento dell’accento è frutto della perdita di consapevolezza del significato originario del cognome e della popolarità del protagonista Quasimodo del romanzo di Victor Hugo Notre-Dame de Paris (in francese ossitono); è l’introito della Messa nella prima domenica dopo Pasqua, detta in Albis. L’altro, specie a Milano e dintorni, corrisponde alla forma dell’italiano antico asperges per ‘aspersorio’ o ‘aspersione’, che risale all’antifona del Salmo 50: «Asperges me, Domine...».

 

Gli avverbi intrappolati

L’ultimo gruppo di questo genere di nomi di famiglia è costituito da avverbi o pronomi latini che, usati come tali nei documenti redatti in latino, hanno perduto in successive trascrizioni gli epiteti cui erano collegati e, venendo meno anche la loro trasparenza in contesti ormai volgarizzati, si sono cristallizzati come cognomi autonomi.

Il nome di famiglia Quondam corrisponde al lat. quondam, ‘un tempo, una volta’, aggettivo nel senso di ‘defunto’, al pari all’it. fu nelle formule onomastiche. Talora è rimasto solo, talaltra si accompagna a un nome: Quondam Angelo Quondam Girolamo a Spoleto-Pg, Quondam Matteo Quondamcarlo per lo più umbri.

Vulgo con valore di ‘cosiddetto, volgarmente detto’ si è fissato nel triplo Esposito Vulgo Gigante, tipico di Napoli. Similmente, la formula ricorrente nella documentazione medievale “qui et”, con il significato di ‘che è (detto) anche’, ‘che è (noto) come’, s’intravede nei cognomi pugliesi Quitadamo, da un originario qui et Adamo e Diquigiovanni.

 

Cosa testimoniano questi cognomi

In conclusione, il panorama di questi originali cognomi da un lato mostra l’influenza della chiesa e della religiosità popolare nell’imposizione di soprannomi poi divenuti nomi di famiglia; dall’altro conferma l’altissimo numero di cognomi del repertorio nazionale che hanno avuto origine negli istituti della ruota e nei brefotrofi in genere. E infine testimoniano la ricerca di un tocco di prestigio sociale latinizzando il cognome, da cui la falsa credenza che tutti i portatori di un cognome De + Nome uscente in -is siano nobili, anziché, in genere, discendenti di avi ambiziosi o di notai stravaganti.

 

 

Il ciclo Onomastica: un mondo da scoprire è ideato, curato e scritto da Enzo Caffarelli.

Di seguito il link agli interventi già pubblicati:

 

1 Onomastica: un mondo da scoprire. Introduzione

2 Cognomi in Italia: il contributo fondamentale dei nomi personali

3 Abbonante, Abbondanzieri, Zappalà, Zappellaro. Dalla A alla Z, ma che tipo di mestiere facevano i nostri avi?

4 Buoncambio, Migliore, Soperchia, Perchecivenisti. Quando i genitori indicavano nel nome soddisfazione o disappunto

5 Trasmissione del cognome: d’ora in poi doppio

6 Etimologie consolatorie: non sempre è come sembra...

7 Un po’ di statistiche. I nomi maschili più attribuiti nel 2021

8 Un altro po’ di statistiche. I nomi femminili più attribuiti nel 2021

9 Il cognome moderno, etichetta muta o parlante? Quel che ci dice del suo portatore

10 Emma, Giulia e Matilde sono tornate. La teoria delle mode dei nomi personali

11 Il profilo dei cognomi italiani, regione per regione: Piemonte, Valle d’Aosta, Liguria

12 Onda su onda, lingua su lingua. Come si è formato il patrimonio italiano dei nomi personali (da Roma antica al XIII secolo)

13 Cognomi polivalenti: quando la semantica fa brutti scherzi

14 I cognomi italiani, regione per regione: Lombardia, Veneto, Trentino Alto Adige, Friuli Venezia Giulia

 

Immagine: Dormitorio del reparto lattanti (primi anni ’20) del brefotrofio di Vicenza, Wikimedia Commons

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I cognomi italiani, regione per regione: Lombardia, Veneto, Trentino Alto Adige, Friuli Venezia Giulia

 

Proseguiamo il nostro viaggio tra i cognomi delle regioni italiane, avviato con Piemonte, Valle d’Aosta e Liguria.

 

Lombardia

Nella regione più popolosa i cognomi più frequenti sono quelli derivanti da città e comuni ben definiti – Locatelli, Rota, Milani, Cazzaniga, Mandelli – e da aggettivi etnici – Mantovani, Bresciani, Cremonesi, Bergamaschi, oltre al più generico Lombardi – e qui spiccano, più che in ogni altra zona d’Italia, i nomi di famiglia di residenza, come Sala, Villa, Pozzi, Fontana, Porta, Chiesa, Strada, Torri, Castelli, Corti, ecc., che continuano voci del lessico indicanti punti specifici all’interno di un centro abitato – la fontana, il pozzo, la porta, la torre, la chiesa, ecc. – o il centro nel suo insieme.

Vari i cognomi di mestieri, professioni, cariche e titoli onorifici: a parte i ben diffusi Ferrari e Ferrario, Cattaneo (‘capitano’), Barbieri (chi si occupava di barba e capelli, ma anche di piccola chirurgia, come incisioni e salassi), Tagliabue (se allusivo a un macellaio), Giudici, Molinari da un lato; Clerici, Conti, Marchesi, Baroni, Re (che può inoltre derivare da rivus ‘piccolo corso d’acqua’) dall’altro.

Dallo zoonimo, più che da un nome personale, almeno in Lombardia, ha origine il cognome 1º per frequenza, Colombo, che qui si spiega come imposizione ai trovatelli del milanese Istituto S. Caterina della Ruota, che aveva per simbolo, appunto, una colomba. Rispetto ad altre regioni, sono meno presenti i nomi di famiglia derivanti da nomi personali o da soprannomi; tra questi, tuttavia, Rossi, Galli, Gatti, Beretta, Negri, Moretti, Grassi, Rizzi, Magni, Rossetti, Ghezzi (dal color grigio scuro, detto in origine di animali), nonché tra i composti verbo+nome, Fumagalli, che in dialetto vale ‘rubapolli’, forse ‘persona di malaffare e di poco conto’ più che un autentico ladro di galline.

 

Veneto

Presenta un repertorio cognominale in parte condiviso con altre regioni, ma anche caratterizzato da forme tipiche, come Favaretto, Rampazzo, Vianello, Baldan.

I cognomi veneti sono tra quelli che hanno subìto in misura minore il processo di italianizzazione e normalizzazione. Tipica l’uscita in consonante, soprattutto in -n, che caratterizza in modo marcato (anche se non esclusivo) il repertorio. La troviamo in derivati da nomi personali, da aggettivi indicanti provenienza, da voci relative a mestieri o a soprannomi: Marangon e Marangoni ‘carpentiere’, Ballarin ‘ballerino’, Zanon da Giovanni – come Zanella Zanetti, Zampieri, Zambon, Zanin, Zanatta e Zanini – e inoltre Marin, Perin, Baldan, Lorenzon, Martin, Berton; da etnici Trevisan, Visentin, Pavan, Furlan, Bressan, Trentin.

Il mestiere del fabbro ferraio è rappresentato da Ferrari, Favaro e Fabris. Numerosi altri nomi professionali: Sartori e Sartor, Carraro ‘fabbricante o portatore di carri’, Masiero ‘mezzadro, colono’, Zago ‘diacono, chierichetto’ (ma anche ‘zotico, semplicione’), nonché Pegoraro, Barbieri, Tessari.

Il Veneto è la regione più settentrionale tra quelle che registrano Rossi al 1º posto, davanti alla forma locale Boscolo. Da nomi personali anche Vianello, accorciamento suffissato di Viviano, Frigo (contrazione di Federico), nonché, tipici di tutta l’Italia centro-settentrionale, Bernardi, Martini, Stefani e Girardi. Da soprannomi Basso, Moro e Moretto, Gallo e Scarpa, Gobbo e Baggio (dal colore rossiccio del manto del cavallo). Casagrande può alludere a origini di trovatello.

In Veneto, come in Friuli, la preposizione “dal” è preferita a “del”, con lo stesso significato: Dal Cin, Dal Corso, Dal Lago, Dal Maso, Dal Molin, Dal Santo ecc. Un suffisso tipico è -ato: vedi Bonato, Volpato, Cecchinato, Borgato, Bozzato, Chinellato, Marcato, Ferronato, Levorato, Lovato, Rossato, Reginato, Simionato, ecc. Dall’originario valore diminutivo si è passati a quello di ‘appartenente alla famiglia di’, dunque un elemento onomastico, combinato con nomi di persona, soprannomi e aggettivi etnici.

Meritano un cenno le minoranze di origine tedesca, in particolare la cimbra. I cognomi cimbri si riconoscono facilmente, specie quelli che terminano con -ele, -ene, -erle, -ere: Nìchele, Mòsele, Gècchele, Càntele e Ròmele i più diffusi; come anche Bìrtele, Gréndele, Pernèchele, Rèpele, Righele, Stèrchele, Stòppele risalgono alla lingua parlata dalle popolazioni insediatesi in epoca medievale nei cosiddetti 13 Comuni Veronesi e nell’Altopiano dei 7 Comuni nel Vicentino.

 

Trentino-Alto Adige

Si caratterizza per la presenza di cognomi tedeschi tanto nella provincia di Trento quanto, soprattutto, in quella di Bolzano. La gran parte presenta una terminazione -er, marca antroponimica sia per il derivato da toponimo sia per le forme che continuano nomi di mestiere; tali nomi di famiglia s’accentrano quasi esclusivamente nella regione, come pure alcuni non tedeschi: Chistè, Bertagnolli, Nicolodi, Dalpiaz, Degasperi (nella forma univerbata).

Il Trentino-Alto Adige contribuisce alla diffusione di cognomi panitaliani o largamente settentrionali o centro-settentrionali (Ferrari, Rossi, Costa, Giovannini, Martinelli e Martini, Rizzi, Giuliani, Pellegrini, Benedetti, Bernardi, Leonardi, Valentini, ecc.) o anche prevalentemente lombardi (Fontana) o veneti (Zanon, Sartori). Tomasi è il 1º tra i nomi di famiglia derivanti da un nome di battesimo, seguito da Pedrotti, Zeni, Bortolotti, Girardi. Il repertorio trentino presenta anche forme d’origine tedesca come Moser, pronunciato con accento ora sulla prima ora sulla seconda sillaba, Coser, Piffer, Merler, Merzi.

Tedesco è il primatista regionale Mair, variante di Mayer/Meyer ‘fattore’, ma anche ‘sindaco’, ‘capo di un villaggio’, confusosi poi con l’ebraico Meir ‘illuminato, splendente’. Esclusivamente (o quasi) accentrati nella regione sono Mayr, Pichler (1º a Bolzano), Auer, Brunner, Eccher, Egger, Gamper, Gasser, Gruber, Haller, Hofer, Kofler, Messner, Niederkofler, Oberhofer, Pircher, Ploner, Rainer, Thaler, Wieser, Winkler ecc.

 

Friuli-Venezia Giulia

Nel repertorio della regione molti cognomi derivano da nomi personali: Mauro (indicante però anche il colore della pelle, ‘moro’), Zuliani, Beltrame, Venier, Benedetti, Marcuzzi, Martin, Venturini, Colussi, Bortolini e Bortolussi, Colautti, Zanin, Santin, Mattiussi ecc.

Rispetto al Veneto, fra i derivanti da toponimi sono più frequenti Bressan ‘di Brescia’ e Visintin, forma locale per Visentin; da etnici derivano anche Trevisan, Cargnelutti ‘della Carnia’, Pavan ‘padovano’ e Furlan ‘friulano’, 1º a Trieste.

Dal punto di vista tipologico, il repertorio appare equilibrato; alcuni cognomi derivano da soprannomi: Rossi e Rosso, Moro, Basso e Bassi, Rizzi, Corazza, Degrassi, Bevilacqua ecc.; in misura inferiore da mestieri e cariche (Fabbri con Fabris e Del Fabbro, Degano, Calligaris).

Numerose forme hanno mantenuto carattere linguistico locale: oltre ad alcune già citate, Fantin, Salvador, Moras, Tomat, Marson, Zanier, Zambon, Piccinin, Turchet, Pitton, Del Ben, Bon, ecc. Significativa la presenza di cognomi sloveni e tedeschi, alcuni dei quali friulanizzati o italianizzati e non è raro il caso di cognomi d’origine mista, per es. Blasutig, dal nome friulano Blasùt (diminutivo di Blâs, cioè Biagio) con la terminazione patronimica slovena -ig.

 

 

Il ciclo Onomastica: un mondo da scoprire è ideato, curato e scritto da Enzo Caffarelli.

Di seguito il link agli interventi già pubblicati:

 

1 Onomastica: un mondo da scoprire. Introduzione

2 Cognomi in Italia: il contributo fondamentale dei nomi personali

3 Abbonante, Abbondanzieri, Zappalà, Zappellaro. Dalla A alla Z, ma che tipo di mestiere facevano i nostri avi?

4 Buoncambio, Migliore, Soperchia, Perchecivenisti. Quando i genitori indicavano nel nome soddisfazione o disappunto

5 Trasmissione del cognome: d’ora in poi doppio

6 Etimologie consolatorie: non sempre è come sembra...

7 Un po’ di statistiche. I nomi maschili più attribuiti nel 2021

8 Un altro po’ di statistiche. I nomi femminili più attribuiti nel 2021

9 Il cognome moderno, etichetta muta o parlante? Quel che ci dice del suo portatore

10 Emma, Giulia e Matilde sono tornate. La teoria delle mode dei nomi personali

11 Il profilo dei cognomi italiani, regione per regione: Piemonte, Valle d’Aosta, Liguria

12 Onda su onda, lingua su lingua. Come si è formato il patrimonio italiano dei nomi personali (da Roma antica al XIII secolo)

13 Cognomi polivalenti: quando la semantica fa brutti scherzi

 

Immagine: Vista aerea di Palmanova con la sua caratteristica geometria poligonale, via Wikimedia Commons

 

 

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Cognomi polivalenti: quando la semantica fa brutti scherzi

 

I cognomi trasparenti, quelli cioè di chiaro significato perché corrispondono a voci del lessico registrate in qualsiasi dizionario (Bianchi, Fabbri, Mancini, Scarpa, Cavallo, Falco, ecc.), possono avere un significato figurato, dovuto all’espansione semantica della voce.

Prendete gli ortaggi. In Italia esistono i signori Broccoli, Zucca, Carciofi, Cocozza ecc., i cui cognomi derivano sì dal nome del vegetale, ma sono stati spesso assegnati inizialmente come soprannomi, poiché avevano assunto il valore di ‘sciocco, babbeo, tonto, impacciato, buono a nulla, testa vuota’, oppure ‘testone’, per non dire di Cipolla ‘senza valore’ e di Finocchio ‘omosessuale’.

Consideriamo Meloni, tipicamente sardo ma presente anche sul continente, specie nel Lazio e portato da oltre 23 mila italiani (dato Istat 2016). Il melone è un frutto a sé stante, ma -one è un suffisso accrescitivo e quindi può valore ‘grossa mela’. Però anche in questo caso può assumere il significato traslato di ‘scemo’.

 

Dalla C del dizionario

Consultando I cognomi d’Italia. Dizionario storico ed etimologico, due volumi usciti per la Utet nel 2008, attingiamo limitatamente alla lettera C alcune delle voci in cui viene segnalato un valore figurato accanto a quello letterale.

Cagni e Cagno derivano dall’antico nome Ascanio (il figlio di Enea) con perdita della prima sillaba e palatalizzazione dialettale da -nio a -gno; oppure da un Canius gentilizio latino; ma può trattarsi di forme soprannominali dal piemontese cagna ‘bugia, fandonia’ o ‘cosa da nulla’, calabrese cagnu ‘gozzo’ e ‘tubo d’acqua’, siciliano cagnu ‘cane’.

Campana può risultare da un soprannome per chi fabbrica o suona campane, ma in senso figurato individua chi è sordo o ha un grosso naso. Cardone e Cardoni sono suffissati con -one da collegare al tipo Cardi (dal nome personale Riccardo) o al ‘cardo’ e possono significare anche ‘zotico, villano, spilorcio’ oppure ‘babbeo, sciocco’.

Il veneziano Carestiato, da carestia, usato come soprannome, ha il senso di ‘persona magra o spilorcia’. Carnazza e Carnazzo corrispondono a carnaccia peggiorativo di carne, anche come voce ingiuriosa: si veda il siciliano carnazzu ‘carogna’; e carnazza in senso figurato è una ‘persona crudele e insensibile’. Cerotti e Cerotto valgono ‘persona malaticcia o molesta’. Anche Cocci, da un soprannome tratto da coccio ‘frammento o rottame di oggetto di terracotta’, figurativamente è la ‘persona malaticcia’.

L’aspetto fisico riguarda i soprannomi che hanno originato Carratelli e Carratello, da caratello ‘piccola botte per vini’: il senso traslato è ‘persona bassa, grossa e panciuta’ o anche ‘ubriacone’; e quelli legati ai cognomi Ciabatta e Ciabatti, in origine ‘pantofola’, poi anche ‘scarpa vecchia e scalcagnata’ e infine ‘persona vecchia e malandata’. Ciceri e Cicero corrispondono ai ‘ceci’, in area meridionale cecere, cicere ‘cece’ attraverso un soprannome attribuito in relazione a qualche caratteristica fisica (una verruca rotonda sul volto, come si ritiene accaduto per Cicerone; o statura piccola e corpo grassoccio); le forme meridionali hanno inoltre il significato di ‘persona o cosa da poco’.

Cipollone e Cipolloni nel siciliano (cipudduni) indicano un ‘uomo grande e grossolano, materialone’. Cotrufo e Cutrufo, in Sicilia, oltre a ‘caraffa’ e ‘orcio’, individuano un ‘uomo tracagnotto e mal proporzionato’. Cugnetto, suffissato con -etto, da collegare a cugno ‘cuneo’, ancora nel siciliano (cugnettu) vale ‘persona bassa e tarchiata’.

Il toscano Ciompi deriva da un soprannome che trae origine dalla voce ciompo ‘popolano fiorentino iscritto all’arte della lana; scardassatore, battilana’ ma poi ‘vile’. Codega, ovvero la ‘cotenna del maiale’, in alcune parlate venete si riferisce a chi ‘ha poca voglia di lavorare’.

 

Nel mondo degli uccelli...

Isoliamo dal gruppo i nomi di uccelli, gli ornitonimi, che hanno assunto valori metaforici, legati anche qui alla tontaggine e inoltre allo spettegolare. Cecca per esempio, forma ridotta di Francesca, è anche la ‘gazza’ e in senso figurato ‘donna volgare e ciarliera’. Pure Ciavola, dalla voce di area meridionale ciavola, ciaula, per ‘taccola’ o ‘gazza’, rappresenta la ‘persona chiacchierona’. Lo stesso vale per il cognome Cornacchia, come soprannome attribuito a una ‘persona ciarliera’ o a una ‘donna immorale’.

Chiussi e Chiusso riflettono la voce dialettale ciusso ‘gufo, allocco’ da cui ‘uomo sciocco, tardo d’ingegno’. Corbacio e Corbascio, a Monopoli (Bari), richiamano corbaccio ‘grosso corvo’ e in senso figurato ‘uomo grossolano’. Cuccovillo, forma tipica di Bari, si collega a coccoveggia ‘civetta’ e ‘uomo balordo’.

 

... degli insetti ...

Spaziando nel campo degli entomonimi, il gruppo cognominale del tafano ha acquisito il valore figurato di ‘balordo, sciocco, grossolano’, ‘maldicente’, ‘fastidiosissimo, irritante, seccatore, molesto, noioso’. Lo scarafaggio è rappresentato tra l’altro dal siciliano Bratta/Brattu ‘blatta’ e in senso figurato ‘scocciatore o ‘persona repellente’. Con valore negativo, chi era appiccicoso e fastidioso poteva essere soprannominato Mosca, chi pungeva con parole maliziose Zanzara, chi saltava allegramente Grillo, chi aveva un corpo particolarmente minuto Pulce, chi operava lentamente ma laboriosamente Formica: forme poi cognomizzate.

 

... e in quello dei pesci

Pescetto può avere significati traslati come nel veneziano ‘muscolo della spalla’, in ligure ‘taglio di carne’ ecc. Si noti come i nomi dei pesci, gli ittionimi, siano spesso utlizzati nel parlare comune, con toni anche offensivi o spregiativi: il più noto è certamente baccalà ‘tonto, imbranato’.

Il cognome Bissa corrisponde etimologicamente a biscia ma vale anche ‘verme, tarlo’, ‘piccola anguilla e in senso figurato ‘persona viscida, sgusciante, infida’. Chieppa e Chieppi possono riflettere un soprannome dalla voce cheppia, chieppa ‘pesce marino che in primavera va nell’acqua dolce’ e in senso traslato vale ‘uomo sciocco, balordo’. Lo stesso dicasi per il pesce ghiozzo e il cognome Ghiozzi. Sarda, se da sardina, è una ‘persona molto magra’. Infine Scarola, sia da scaro ‘nome di un pesce’, sia da scarola ‘indivia’, in senso figurato è una ‘mala parola, parolaccia’.

 

Il ciclo Onomastica: un mondo da scoprire, è ideato, curato e scritto da Enzo Caffarelli.

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1 Onomastica: un mondo da scoprire. Introduzione

2 Cognomi in Italia: il contributo fondamentale dei nomi personali

3 Abbonante, Abbondanzieri, Zappalà, Zappellaro. Dalla A alla Z, ma che tipo di mestiere facevano i nostri avi?

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9 Il cognome moderno, etichetta muta o parlante? Quel che ci dice del suo portatore

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11 Il profilo dei cognomi italiani, regione per regione: Piemonte, Valle d’Aosta, Liguria

12 Onda su onda, lingua su lingua. Come si è formato il patrimonio italiano dei nomi personali (da Roma antica al XIII secolo)

 

Immagine: Pearl of the Orient

 

Crediti immagine: Major & Knapp Engraving, Manufacturing & Lithographic Co., New York, Public domain, attraverso Wikimedia Commons

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Onda su onda, lingua su lingua. Come si è formato il patrimonio italiano dei nomi personali (da Roma antica al XIII secolo)

 

Come suggeriscono gli storici, la grandezza dei Romani fu anche quella di prendere il meglio di ogni civiltà con la quale venivano in contatto. Imponevano il loro potere e le loro leggi, ma attingevano alla cultura e ai costumi altrui. Anche all’onomastica degli stranieri.

Fu così che vennero latinizzati tanti nomi dei popoli che abitavano il territorio italiano – in primo luogo gli Etruschi – e di popoli con i quali gli scambi d’ogni genere erano frequenti, specie i Greci. Sono infatti etruschi molti nomi a noi familiari anche se non tutti chiari nel significato: Antonio, Camillo, Emilio, Fabio, Fabrizio, Mario, Orazio, Sergio, Tarquinio, Tullio. È punico-cartaginese non solo Annibale ma anche Cesare. Appartenevano ai Sabini Aurelio, Quirino e Tito; agli oschi Alfio, Biagio, Clelia, Pompeo; ai Messapi Ennio.

Dal repertorio greco e asiatico provengono Alessandro, Dario, Damiano, Eugenio, Filippo, Ilario, Pancrazio, Sebastiano, mentre con la riscoperta umanistica dei classici furono riusati Achille, Agamennone, Aristotele, Cinzio, Ettore, Elena, Enea, Oreste, Ulisse, solo per fare alcuni esempi.

Poi i Romani ci hanno messo del loro: Adriano, Augusto, Cornelio, Emiliano, Fausto, Flaminio, Flavio, Fulvio, Giulio e Giuliano, Lucio e Luciano, Manlio, Marco con Marciano e Marcello, Martino e Marzio, Paolo, Pio, Quinto, nonché Attilio, Claudio, Livio e gli stessi Romolo e Remo.

 

Nomi cristiani e nomi ebraici

Con il Cristianesimo si aggiunsero i nomi tipici della devozione augurale, come Amabile e Amato, Colomba, Fedele, Felice, Fortunato, Generoso, Giustino, Liberato, Renato, Severo e, insieme a questi, i nomi greci della devozione: Agnese, Anastasio, Angelo, Calogero, Ciriaco, Cristoforo, Epifanio, Eusebio, Geronimo, Luca, Nicola, Teodoro, Stefano.

Un altro stock di nomi è quello d’origine ebraica o comunque asiatica, entrato nella lingua italiana attraverso il latino o il greco della liturgia e delle letture sacre: Daniele, Davide, Emanuele, Giacomo, Giovanni, Maria, Matteo e Mattia, Michele, Simone; sono invece rimasti per secoli legati soprattutto alle comunità ebraiche Abramo, Geremia, Esaù, Ester, Giosuè, Giuseppe, Isaia, Rebecca, Salomone, Samuele, Sara, Zaccaria. Solo alla fine del Medioevo, hanno avuto fortuna i nomi dei parenti di Maria (Anna, Gioacchino, Elisabetta) e quelli dei Magi (Baldassarre, Gasparre, Melchiorre).

Nei nomi ebraici ci sono elementi ricorrenti anche se non sempre riconoscibili: ’El da ‘Ēlōhīm è un modo di chiamare Dio e lo si ritrova in Elia, Elisabetta, Eliseo, Daniele, Emanuele, Ezechiele, Gioele, Michele, Raffaele, Samuele; lo stesso vale per Yah da Yāhweh, che incontriamo in Ezechia, Geremia, Gesù, Gioacchino, Gioele, Giosafatte, Giosuè, Giovanni, Isaia, Malachia, Mattia; ysh‘/hōshūa‘ significa ’salvare, salvezza’ e compare in Eliseo, Gesù, Giosuè, Isaia; hānan ‘misericordia’ in Anna e Giovanni; matath ‘dono’ in Matteo e Mattia; hāzaq ‘essere forte’ in Ezechia ed Ezechiele; ben ’figlio’ in Beniamino e Ruben.

 

I nomi delle «invasioni barbariche»

Passando al Medioevo, con le popolazioni germaniche che invasero la penisola, sono penetrati in Italia centinaia di nomi, molti ancor oggi diffusissimi, altri sopravvissuti nei cognomi. In onomastica, si potrebbe dire, continuiamo a parlare ostrogoto, longobardo e franco (e poi normanno).

La straordinaria diffusione di Federico, Ranieri, Roberto indica la fusione – sul piano culturale e religioso – di quelle etnie con le popolazioni indigene. I nomi in uso presso i popoli germanici furono percepiti come prestigiosi (gli invasori erano pochi, ma avevano il potere) e dunque furono adottati anche dalla popolazione indigena. La conversione al Cristianesimo dei Longobardi e la presenza di numerosi santi con nomi germanici favorì fenomeni per cui nella stessa famiglia il padre poteva portare un nome d’origine latina, il figlio uno bizantino e il nipote uno germanico.

Allo strato longobardo si riconducono Adalberto, Aldo, Anselmo, Goffredo, Romualdo; a quello franco Alberto, Guglielmo, Ludovico con Luigi, Carlo, Franco, Rinaldo, Umberto. A quello visigoto, giunto in Italia in epoca successiva attraverso la Spagna, Alfonso e Alvaro. In questo gruppo si collocano anche forme di varia origine, rese familiari in Italia dalla letteratura popolare dei cicli epico-cavallereschi, carolingio e bretone: Fioravante, Orlando e Rolando, Oliviero, Ruggero, Tancredi, Tristano.

In genere tutti i nomi composti con -aldo (e -audo), -ando, -ardo, -baldo, -berto, -elmo, -lando sono tipici dello strato germanico. Questi nomi, infatti, sono formati quasi sempre da due elementi, alcuni dei quali ricorrenti, in prima o in seconda posizione. Prendiamo ala che vuol dire ’tutto, intero’. Lo troviamo in Alarico, Alberto, Alvaro; athala ossia ‘nobiltà di stirpe’ in Ada, Adele, Adalberto, Adalgisa, Adelchi; baltha ‘forte, audace’ in Arcibaldo, Garibaldo, Rambaldo, Tebaldo, Ubaldo, Baldovino, Baudolino; berhta ‘illustre, famoso’ in (Ad)alberto, Dagoberto, Eriberto, Filiberto, Gilberto, Gualberto, Lamberto, Norberto, Rigoberto, Roberto, Uberto, Umberto, Bertoldo, Bertolaso, Bertrando; frithu ‘amicizia, pace, sicurezza’ in Alfredo, Chiaffredo, Goffredo, Loffredo, Federico, Fer(di)nando, Frediano, Frida; gair(a) ‘lancia, giavellotto’ in Garibaldo, G(h)erardo, Gertrude, Elvira, Berengario, Edgardo, Ruggero; hardhu ‘forte, valoroso, duro’ in Berardo e Bernardo, Everardo, G(h)erardo, Leonardo, Leopardo, Mainardo, Riccardo; hrot ‘fama, gloria’ in Roberto, Rodolfo, Rodrigo, Rolando e Orlando, Romilda, Romualdo, Rosmunda; hugu ‘pensiero, senno’ in Ubaldo, Uberto, Ugo; munda ‘protettore, difensore’ in Edmondo, Raimondo, Sigismondo; rikja ‘signore, re, potente’ in Alberico, Amerigo, Arrigo, Enrico, Federico, Teodorico, Ulderico; walda ‘che domina, che ha il potere’ in Arnaldo, Aroldo, Bertoldo, Giraldo, Grimaldo, Rinaldo, Romualdo, Gualberto, Gualfredo, Valdemaro.

Il repertorio moderno dei nomi in Italia sarebbe stato poi arricchito da nuove acquisizioni dal Rinascimento ai giorni nostri, come vedremo in un prossimo appuntamento in queste pagine.

 

 

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1 Onomastica: un mondo da scoprire. Introduzione

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9 Il cognome moderno, etichetta muta o parlante? Quel che ci dice del suo portatore

10 Emma, Giulia e Matilde sono tornate. La teoria delle mode dei nomi personali

11 Il profilo dei cognomi italiani, regione per regione: Piemonte, Valle d’Aosta, Liguria

 

Immagine: Etruscan Boccanera Plaques from Cerveteri in the British Museum London, via Wikimedia Commons

 

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Il profilo dei cognomi italiani, regione per regione: Piemonte, Valle d’Aosta, Liguria

 

Le principali tipologie di cognomi sono: da patronimici e matronimici, da luoghi di provenienza o di residenza, da nomi di mestieri e attività e da soprannomi. Da questo punto di vista, le varie zone del territorio italiano presentano difformità. Iniziamo un viaggio tra le regioni d’Italia.

 

Piemonte

Presenta un repertorio in parte sovraregionale, legato sia al Nord-ovest nel suo complesso, sia, per coincidenze morfologiche e grafiche, al Sud d’Italia. Molte però le forme locali assai tipiche: Fissore, Demichelis, Dalmasso, Giraudo, Dutto, Cena, Beltramo, Costamagna, Barale, Panero e Fenoglio risultano in Piemonte per oltre il 90% del totale nazionale e Olivero, Cravero, Tomatis, Mondino, Piovano, Barbero, Audisio, Giachino, Borio, Racca, Ferrero e Marchisio per oltre l’80%.

Al primato di Ferrero si avvicinano Rossi e Gallo. Caratteristica del Piemonte sono i numerosi cognomi espressi in forma singolare, come accade nel Meridione peninsulare e in Sicilia; Giordano, Leone, Bianco, sono tanto piemontesi quanto campani. In alcuni casi, tuttavia, si tratta proprio di nomi di famiglia del Sud d’Italia, giunti con i flussi migratori del XX sec.; in particolare Russo, Marino, Romano, Santoro, Caruso, De Luca, Mancuso.

Colpisce il fatto che i nomi di famiglia relativi a un colore (comprendendo anche Bruno) o al mestiere di (fabbro) ferraio siano ben 8 tra gli 11 più comuni nella regione. In Piemonte sono presenti più che altrove i derivati da soprannomi, legati in particolare all’aspetto fisico: Bianco e Bianchi, Bruno, Musso ‘asino’, Negro, Grosso, Grasso, Testa, Ricci, Gamba, Coda ecc. Non pochi i nomi di animale divenuti soprannomi e poi nomi di famiglia. Dietro Gallo, Merlo e Cavallo, i più numerosi, s’incontrano Quaglia, Capra, Mosca, Leone, nonché Bracco, Falco, Gallina, Fasano ‘fagiano’, Grillo, Palumbo, Volpe, Gatto, Bo ‘bove’, Cane e Lupo. Numerosi anche quelli tratti dalla fitonimia: Bosco, Prato, Ronco, Fiore, Vigna, Fenoglio ‘finocchio’, Cerruti, Castagno.

I nomi di famiglia derivati da personali sono altrettanto presenti, a cominciare da Giordano, Marino, Franco, Romano e Leone (tutti con significati multipli, però), seguiti da Martino e suffissati, Bernardi, Rinaldi, Bertolino, Bertone, Rolando, Giovanni nella combinazione con Bon-, Rolando, Gentile (anche aggettivo). Di origine germanica sono i tipi in -aldo, fissatisi in Gastaldi e Gastaldo, Crepaldi, Ivaldi, Grimaldi, Giribaldi, Robaldo. Questa terminazione nel solo Piemonte (e in Sicilia) si è trasformata in -audo per velarizzazione della consonante laterate davanti a dentale, da cui Rinaudo, Ghibaudo, Giraudo, Ariaudo, Arnaudo, Einaudi, Gerbaudo, Gribaudo, Peraudo, Baudo e Baudino.

Quanto ai derivanti da toponimi e aggettivi etnici, oltre ai più ovvi Lombardi e Lombardo, quali indicatori generici di residenza (più che di provenienza) si segnalano Poggio, Chiesa, Villa, Porta, Castelli, Riva, Piazza, Molino, Valle, Motta, Vigna; tra i più specifici, Parodi, Costamagna, Milani, Mantovani, Catalano.

Come Ferrero e Barbero altri cognomi in -ero sono Olivero ‘chi fa l’olio o coltiva olive’, Cravero ‘capraro’, Ravera ‘venditrice di rape’, Panero, Cavallero, Bottero ‘fabbricante di botti’, Boero ‘allevatore di bovini’, Cordero ‘fabbricante di corde’. Un’altra tipica terminazione piemontese (ricostruita notarilmente) è -esio per -ese dal lat. ensis; figura in Milanesio, Ballesio, Bergesio, Agnesio, Canavesio, Francesio, Genovesio, Novaresio, Pavesio.

Particolari, specie della provincia di Torino, sono le forme in cui il toponimo si è fuso con la preposizione o comunque si è avuta prostesi di A- con valore rafforzativo (e raddoppiamento fonosintattico): Accastello per ‘castello’, Accossato per Cossato-Bi, Abbracchio per Bracchio, località di Mergozzo-Vb, Accossano per Cossano Belbo-Cn o Cossano Canavese-To, Accusani per Cusano-Mi, Accomazzo per Comazzo-Lo ecc.

 

Valle d’Aosta

La tipicità onomastica valdostana è rappresentata da forme francesi e franco-provenzali. Cerise e Bionaz, come pure numerosi altri cognomi meno frequenti nella valle, sono presenti esclusivamente nella regione. Il primatista Favre, è una delle varianti per ‘fabbro’. Da nomi di luogo derivano Bionaz, Diemoz, Grange. Ai tradizionali soprannomi si collegano Blanc e Rosset; da nomi di persona Perron (Pietro), Brunod (Bruno), Berthod (Berto), Perrin (ancora Pietro) ecc.

Nella regione una terminazione tipica e frequente è -az, in forme sia detoponimiche sia patronimiche: Guichardaz, Marguerettaz, Borettaz, Artaz, Curtaz, Cuneaz, Bethaz, Lillaz, Cretaz, Lucianaz. In tutti questi casi, nella pronuncia corretta la z finale è muta: si tratta, infatti, di un segno grafico convenzionale non corrispondente ad alcun suono, con cui notai, cartografi e scrivani francesi, abituati all’ossitonia generalizzata del lessico francese, segnalavano la pronuncia piana di queste forme franco-provenzali; lo stesso vale per i cognomi in -oz, come Vuillermoz, Diemoz, Marcoz, Luboz e inoltre Chenoz, Falcoz, Milloz, Nieroz, Petroz, Quendoz, Rollandoz. Oggi la pressione del francese tende a una pronunzia tronca con la pseudo-consonante finale muta; quella dell’italiano spinge per una pronunzia altrettanto tronca ma con resa dell’affricata finale -z- (Ottòz invece Òtto).

Di grande rilievo è l’emersione di cognomi dell’Italia meridionale. Ad Aosta si concentrano, tra i primi 50 per rango, ben 10 originari di Reggio Calabria e provincia, specie S. Giorgio Morgeto, a testimonianza di un’emigrazione non recentissima, per la locale industria siderurgica, e già consolidata: riguarda addirittura il primatista Fazari e il n. 2 Mammoliti, poi Giovinazzo, Raso e Romeo, Agostino, Tripodi, Furfaro, Cannatà, Sergi, Carere e Mafrica; a questi si aggiungono altri cognomi genericamente meridionali, come D’Agostino e Peloso, Amato e Caruso, nonché, altrettanto estranei alla tradizione locale, i veneti Trevisan, Zanin, Framarin e Frison.

 

Liguria

Il patrimonio onomastico della Liguria si presenta notevolmente decentrato con vari cognomi qui fortemente accentrati: Olcese, Lagomarsino, Cevasco, Merello, Fasce; si tratta di un fatto insolito, indice sia di marginalità territoriale, sia di emigrazione assai modesta (o nulla) dalla Liguria. Nella regione per oltre il 90% del totale nazionale sono anche Bacigalupo, Vallarino, Sanguineti, Briano, Dellepiane, Schenone, Piccardo, Picasso, Pedemonte, Tassara. Due cognomi sovrastano nettamente gli altri per frequenza, Rossi e Parodi.

I grandi commerci marittimi hanno portato ad alcuni scambi con la Sicilia e altre località delle cose tirreniche; così come i passi appenninici con il Piemonte e quelli alpini con la Francia hanno favorito movimenti il cui risultato è una certa solidarietà onomastica tra Liguria e Piemonte, specie meridionale. Come in Piemonte, prevalgono le forme singolari in -o (Pastorino, Ferrando, Ottonello, Calcagno, Delfino, ecc.) o in -e (Pesce, Carbone, ecc.). E come altrove nel Nord-Ovest d’Italia, sono frequenti i cognomi che derivano da nomi di luogo generico: Costa (che indica le pendici dei monti e non le rive del mare), Poggi, Massa, Villa, Fontana, Valle, Torre, Rocca, Pedemonte, Dellepiane ecc.

Tra i nomi di mestiere in Liguria spiccano Cànepa ‘cantina, dispensa’, da cui Canevari, Barbieri con Barberis, Molinari, Ferrari con Ferraro e Ferraris, Boero ‘bovaro’, Pastorino. Ricordano antiche cariche: Conti e Conte, Patrone, Vassallo, Podestà, Marchese.

Tra i nomi di persona cognomizzati spiccano il germanico Oddo nel diminutivo Ottonello, Martino, Giordano e Siro. Tra i derivati di sicuri soprannomi, Traverso, forse ‘storto’ o ‘strabico’, cioè ‘che guarda per traverso’ e dunque ‘ostile, avversario’; altri riguardano il corpo umano: Calcagno o Caviglia, e Ricci con la variante Risso, Ferrando ‘grigio ferro’, usato in origine per il manto dei cavalli. Tra i cognomi tipicamente liguri, Bacigalupo è composto con bacigare ‘bazzicare’, cioè ‘stuzzicare, colpire’: è probabile che valga: ‘che graffia le zampe del lupo’.

 

Il ciclo Onomastica: un mondo da scoprire, è ideato, curato e scritto da Enzo Caffarelli.

Di seguito il link agli interventi già pubblicati:

 

1 Onomastica: un mondo da scoprire. Introduzione

2 Cognomi in Italia: il contributo fondamentale dei nomi personali

3 Abbonante, Abbondanzieri, Zappalà, Zappellaro. Dalla A alla Z, ma che tipo di mestiere facevano i nostri avi?

4 Buoncambio, Migliore, Soperchia, Perchecivenisti. Quando i genitori indicavano nel nome soddisfazione o disappunto

5 Trasmissione del cognome: d’ora in poi doppio

6 Etimologie consolatorie: non sempre è come sembra...

7 Un po’ di statistiche. I nomi maschili più attribuiti nel 2021

8 Un altro po’ di statistiche. I nomi femminili più attribuiti nel 2021

9 Il cognome moderno, etichetta muta o parlante? Quel che ci dice del suo portatore

10 Emma, Giulia e Matilde sono tornate. La teoria delle mode dei nomi personali

 

Immagine: Panorama del Golfo Paradiso da San Rocco di Camogli, Camogli, Liguria

 

Crediti immagine: Davide Papalini, CC BY-SA 3.0 <https://creativecommons.org/licenses/by-sa/3.0>, via Wikimedia Commons

 

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Emma, Giulia e Matilde sono tornate. La teoria delle mode dei nomi personali

 

Negli anni Ottanta del secolo scorso due francesi, Philippe Besnard e Guy Desplanques hanno inventato un dizionario onomastico molto particolare, che documentava la posizione di un nome in una parabola ideale comprendente le etichette “Pionnier”, “Dans le vent”, “Conformiste”, “À la traîne”, “Démodé”, “Désuet”, “Excentrique”... Si postulava, cioè, che ogni nome, quale più e quale meno, attraversa nella sua “carriera sociale” una fase ascendente cui fa seguito, dopo aver raggiunto il vertice, una fase discendente fino all’obsolescenza pressoché totale, per poi ricominciare, a distanza di 100-130 anni il medesimo percorso.

 

Onomastica trascurata in Italia

Attenzione: Besnard e Desplanques non erano due giovinetti in cerca di notorietà, bensì i direttori delle istituzioni che in Francia corrispondono al nostro Istat e al nostro CNR, un sociologo e un demografo. Un segnale che l’onomastica – e la statistica onomastica – sono in terra transalpina prese sul serio e non trascurate come in Italia, dove le istituzioni competenti faticano (per usare un eufemismo) a raccogliere e a mettere al servizio della comunità scientifica i dati in loro possesso, dati numerici non certo “sensibili” e non soggetti alla legge sulla privacy o ad altri vincoli.

Sta di fatto che La cote des prénoms, questo il titolo della collana annuale dei due scienziati francesi, è stato accolto soprattutto in Italia, ispirando numerosi rapporti e analisi che hanno trovato posto, in particolare, nella «Rivista Italiana di Onomastica», ma sempre con limiti spaziali e temporali evidenti (per esempio i primi 50 nomi maschili e femminili più attribuiti in Italia, diffusi dall’Istat 12 mesi dopo l’anno preso in considerazione, e non i primi mille o 10 mila come pure sarebbe possibile senza far danno a nessuno).

 

Non sono un’invenzione moderna

Le mode onomastiche però, la carriera sociale, le parabole con un tempo di ascesa e una di discesa, esistono anche in Italia (e altrove). Già, perché i nomi personali seguono le mode. Più o meno come l’abbigliamento, i colori e la foggia delle pettinature o come i luoghi dove trascorrere le vacanze. Ma le mode onomastiche sono un processo recente o sono sempre esistite?

Nel mondo antico e in quello medievale erano legate all’incontro-scontro tra popoli e religioni e ai momenti di riduzione o di arricchimento dei repertori di nomi. Uomini e donne dei popoli resi schiavi dai Romani assumevano un nome latino insieme alla cittadinanza romana. Tra i primi cristiani correva l’uso di adottare un nome d’umiltà, che per esempio richiamasse un animale di nessun prestigio. Gli abitanti dei territori dominati dalle popolazioni germaniche acquisirono i nomi dei nuovi dominatori mescolandoli ai propri. Agli inizi del secondo millennio il popolo iniziò a coniare le voci augurali e gratulatorie.

Dunque le mode non sono un’invenzione moderna. Ma c’è una differenza: oggi non si tratta più di assumere repertori in blocco e di distribuirli un po’ a caso, ma di apprezzare singoli nomi per un arco cronologico preciso, che viene a costituire una parabola in funzione delle frequenze e del tempo.

 

Oggi circola Emma

Prendiamo come esempio il nome Emma. A metà Novecento poche decine l’anno per le neonate. Dal 2005, invece, oltre 2 mila bambine l’anno vengono chiamate così, con punte molto vicine a 5 mila tra il 2011 e il 2013. Emma è tornato in testa anche in altri Paesi, primo fra tutti gli Stati Uniti, dove da qualche anno è tra i primi tre. Quindici anni fa era possibile pronosticare che il nome sarebbe giunto agli stessi ranghi della classifica italiana, dietro gli irraggiungibili (ancora oggi, Sofia e Giulia, cui si è aggiunto Aurora): ciò è accaduto e il nome è rimasto e rimarrà per qualche anno ai vertici della graduatoria (nel 2021 è 8º).

E poi? Poi altri nomi si faranno avanti e pian piano i genitori si renderanno conto che ormai ci saranno troppe Emma in giro. Il nome perderà il suo potenziale distintivo, perché comune e inflazionato. E sarà sempre più associato alle classi inferiori, perché ormai dilagato, al prezzo però di perdere prestigio. Oltretutto, già alcune mamme si chiameranno Emma: dunque il nome non verrà più associato a modelli imitabili, ossia ai bambini, ma alla generazione dei genitori e più tardi a quella dei nonni. È l’inizio del declino, che sarà lento o rapido, ma nel giro di qualche decennio condurrà questo nome a connotare persone adulte e anziane: Emma non sarà più un nome da bambina e non risulterà più attraente.

 

Da vecchio ad antico

Certo, parrà strano affermare che non sarà più un nome “bello”. Eppure Emma sarà pressoché dimenticato: il punto più basso della parabola di cui sopra. Ma dopo un secolo o poco più, il nome passerà dallo status di “vecchio” a quello di “antico”: dalla soffitta al salone dell’antiquario, insomma, con una patina di raro e prezioso. Qualcuno si ricorderà della bisnonna o della trisavola; avvertirà Emma eufonico e innovativo, perché qualche bambina comincerà nuovamente a portarlo. Qualche artista lo sceglierà come nome d’arte, qualche regista o scrittore lo assegnerà alle protagoniste delle proprie fiction (o quel che ci sarà dopo l’anno 2100). La parabola tornerà a salire e il ciclo si riavvierà.

Naturalmente il lettore potrà domandarsi: come prevedere tutto questo? La risposta è semplicissima. Perché è già accaduto, tra gli ultimi decenni del XIX secolo e i giorni nostri, proprio con Emma e con altri nomi. Se si consultano le classifiche di fine Ottocento o primo Novecento, incontriamo non solo Emma, anche Giulia, Matilde, Beatrice, che da qualche tempo occupano una posizione nella top 10 femminile.

 

Sempreverdi e costanti

Certo, le parabole non sono tutte della stessa altezza (pochi entrano nelle Hit Parade onomastiche) e lunghezza: esistono anche sempreverdi che galleggiano a metà classifica, senza alti né bassi. Poi ci sono gli effetti-traino che alterano i ritmi: per esempio negli ultimi tempi i maschili Giorgio e Giulio hanno conosciuto un (parziale) rilancio precoce rispetto ai 120-140 anni previsti del ciclo e il motivo è nel grande successo dei rispettivi femminili. Poi accadono gli eventi che creano un tabù: il crollo di Benito e di Adolfo dopo il fascismo e il nazismo non sarebbero stati prevedibili fino ai primi anni ’40 del secolo scorso.

 

Altri condizionamenti

Talvolta la moda è condizionata dalla storia locale e ha dunque diverso andamento in questa o quella città. Camilla ha conosciuto una nuova diffusione nella capitale in ritardo rispetto ad altre grandi città. Infatti a Roma è vivo il motto popolare che mette in guarda dall’essere “come la sora Camilla, che tutti la vonno e nissuno la piglia”. Eco delle presunte vicissitudini sentimentali della sorella di papa Sisto V, che pare dicesse d’aver avuto un numero indefinito di spasimanti, pur essendo rimasta zitella.

I personaggi dello spettacolo e dello sport influenzano le mode? Quasi mai: semmai i nomi assegnati ai loro figli possono fungere da spot e favorire una diffusione che però, il più delle volte, è già nell’aria. Anche la cronaca nera influenza le scelte genitoriali, a fronte per esempio di delitti efferati che hanno per vittima un bambino o un adolescente. I casi di Wilma Montesi o di Milena Sutter, uccise rispettivamente nel 1953 e nel 1971, hanno fatto impennare, specie il secondo, il grafico delle presenze negli anni citati (o subito dopo). Lo stesso accadde nel 1969 con il pur poco usato maschile Ermanno, a motivo della tragica morte di un bambino viareggino, Ermanno Lavorini, rapito per chiedere un riscatto ma poi assassinato.

 

Un oggetto di consumo?

Dall’analisi del ciclo vitale del nome si deduce, pertanto, come anche questo sia un oggetto di consumo, subordinato alle regole del mercato. Ma con una differenza: per quanto sia in un certo senso obbligatorio, è un bene gratuito. Gratuito nel duplice senso che non costa nulla e che la sua scelta non è determinata da un valore oggettivo o da proprietà intrinseche. Questo è ciò che separa la scelta del nome personale da ogni altro atto di consumo ed è questo che lo rende, si potrebbe azzardare, un oggetto di moda per eccellenza.

 

 

Il ciclo Onomastica: un mondo da scoprire, è ideato, curato e scritto da Enzo Caffarelli.

Di seguito il link agli interventi già pubblicati:

 

1 Onomastica: un mondo da scoprire. Introduzione

2 Cognomi in Italia: il contributo fondamentale dei nomi personali

3 Abbonante, Abbondanzieri, Zappalà, Zappellaro. Dalla A alla Z, ma che tipo di mestiere facevano i nostri avi?

4 Buoncambio, Migliore, Soperchia, Perchecivenisti. Quando i genitori indicavano nel nome soddisfazione o disappunto

5 Trasmissione del cognome: d’ora in poi doppio

6 Etimologie consolatorie: non sempre è come sembra...

7 Un po’ di statistiche. I nomi maschili più attribuiti nel 2021

8 Un altro po’ di statistiche. I nomi femminili più attribuiti nel 2021

9 Il cognome moderno, etichetta muta o parlante? Quel che ci dice del suo portatore

 

 

Immagine: Newborn

 

Crediti immagine: Puzzle dop, CC BY-SA 4.0 <https://creativecommons.org/licenses/by-sa/4.0>, attraverso Wikimedia Commons

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Il cognome moderno, etichetta muta o parlante? Quel che ci dice del suo portatore

 

I cognomi si sono formati a partire da nomi di genitori o avi, o dalla provenienza geografica e topografica, o dal mestiere esercitato o da soprannomi di ogni genere. All’inizio corrispondevano a voci di lessico o altri nomi propri ed erano perfettamente interpretabili. Col passare del tempo hanno però perduto questa trasparenza e chiarezza e in ogni caso non corrispondono più al profilo biografico del portatore.

Significante e significato non sono più in relazione tra loro, perché il riferimento è a una realtà, quella dei nostri antenati, che non esiste più. Se, poniamo, il signor Pane svolge il mestiere di fornaio è solo un caso; la signora Fiorentino non è necessariamente di Firenze; la famiglia Grassi solo in rari e non quantificabili casi apparirà come in un quadro di Botero. Anzi, qualora vi fosse coincidenza casuale, questa può provocare il sorriso: un odontoiatra di nome Ficcadenti o un abitante di Trapani che si chiami appunto Trapani possono incontrare addirittura inconvenienti nei rapporti interpersonali o semplicemente nella descrizione delle proprie generalità.

Tuttavia, considerata la differente distribuzione dei cognomi nel territorio italiano, e la notevole varietà dialettale, un nome di famiglia ci dice qualcosa intorno a coloro che lo portano. Intanto, sia pure solo allo specialista, comunicano con grande o media approssimazione di quale regione o provincia (e talvolta perfino del singolo comune) è originario un cittadino o almeno i suoi genitori, nonni o avi; se per esempio si tratta di un cognome meridionale di un residente nelle grandi città del nord, andrà collegato ai fenomeni migratori interni e quindi saremo informati, almeno per la generazione che si è spostata, della sua appartenenza a una classe sociale in genere modesta. I cognomi accompagnati da predicato nobiliare segnalato da un territorio, per esempio Benso (conte) di Cavour o Cordero (marchese) di Montezemolo indicano la nobiltà della famiglia; quelli che venivano assegnati agli esposti – non solo i noti Esposito, Proietti e Innocenti, ma decine e decine in tutto il Paese – segnalano che l’avo del portatore era certamente un trovatello.

 

Conoscere la triade

Quanto all’etimologia del cognome, in alcuni casi lo si definisce “trasparente”: corrisponde cioè a una voce del lessico italiano, del dizionario insomma, che sia un sostantivo, un aggettivo o un composto con più elementi grammaticali (ma ci sono anche avverbi isolati, come il pugliese Assolutissimamente). Quando ciò non accade occorre conoscere o saper consultare testi relativi all’italiano antico, ai dialetti volgari delle varie regioni, alle lingue che hanno contribuito alla formazione dell’onomastica italiana: latino, greco antico e bizantino medievale, longobardo e altre lingue germaniche, francese, spagnolo, catalano, nonché tedesco, slavo e gli altri idiomi parlati nelle aree di confine con nazioni straniere o in quelle terre italiane dove vivono o sono vissute in passato minoranze allofone, che parlavano cioè lingue diverse dall’italiano e dai nostri dialetti.

È bene distinguere: l’etimologia prossima, ossia il primo significato del cognome; l’etimologia remota, cioè da dove derivi a sua volta la base del cognome; il significato, che nel tempo può essere mutato perché reinterpretato dalla comunità dei parlanti, attraverso quella che si dice etimologia popolare.

 

La retta via etimologica

Esistono delle regole generali da seguire per incamminarsi sulla retta via etimologica? Un primo consiglio è quello di verificare se il cognome contiene un suffisso, un prefisso, ecc. che possa essere messo da parte per concentrarsi sulla base. Analogamente occorrerà verificare se la prima sillaba è un articolo o una preposizione che si è incollata alla base (Denaro non equivale a soldi, ma alla provenienza da Naro, comune del Messinese: De Naro; Indelicato non equivale a scortese, perché In è preposizione indicante ingresso in una famiglia Delicato).

Poi è utile stabilire se tale base può essere un nome personale, un soprannome, un toponimo o altro. Poiché da una stessa voce possono derivare varianti dialettali, mutamenti fonetici, accorciamenti del corpo fonico, ecc., è utile, da un lato, tenere sempre conto della vocale tonica, quella accentata, che più difficilmente si trasforma o perde l’accento; dall’altro, considerare la sequenza delle consonanti, che possono rappresentare una sorta di carta d’identità o di codice fiscale della base da cui decine e spesso centinaia di nomi di famiglia si dipartono.

Per esempio, con le dovute eccezioni, la sequenza m-r porta a Maria o a Mario (ma ci sono anche moro e Mauro); con b-r-t sarà il caso di pensare a Bartolo (accorciamento dell’ebraico Bartolomeo) e soprattutto a Berto, componente di tanti nomi popolari sia nel Medioevo sia in epoca moderna e contemporanea, quali Roberto, Alberto, Umberto, Lamberto, Filiberto, ecc. M-r-t rinvia a Martino, ma anche a martello. L-p-p richiama Filippo più spesso di f-l-p, perché la prima sillaba tende a cadere. B-n-d indica discendenza da Benedetto, ma lo stesso vale per le terne v-n-d e m-n-d, perché nel Meridione la -b- può trasformarsi in -v- e questa in -m-, da cui i cognomi Venditti, Menditti e simili, che sempre a Benedetto rimontano. M-n-c- difficilmente si scosta da un derivato di Domenico (> Menico) o da Mancini. Con f-r-n non ci sono dubbi: da Francesco o Franco.

Singolare il caso di b-t-r-m che richiama Beltrame, nome personale da cui si possono far derivare i cognomi Beltram, Beltrami, Beltramme e simili, ma anche Berterame e Berteramo, Bertolami, Beltramello, Beltrametti, Beltramini, Beltramone, Beltrandi, Beltrano, Bertamini, oltre a Vendrame, tutti con i rispettivi singolari, plurali e vari suffissati (fino a Vendraminetto, veneziano e trevigiano), e perfino Verdemare, Verderame, Verderamo (ma questi con v-r-d-r-m).

Occorre comunque una certa conoscenza interdisciplinare, per esempio geografica. Se un cognome coincide con un toponimo, ma è presente solo in un territorio lontanissimo da quella località, si tratterà di una coincidenza. Se il nome di famiglia equivale a una voce dialettale, ma è diffuso solo in aree in cui quel dialetto è sconosciuto, occorre orientarsi diversamente.

 

 

Il ciclo Onomastica: un mondo da scoprire, è ideato, curato e scritto da Enzo Caffarelli.

Di seguito il link agli interventi già pubblicati:

 

1 Cognomi in Italia: il contributo fondamentale dei nomi personali

2 Abbonante, Abbondanzieri, Zappalà, Zappellaro. Dalla A alla Z, ma che tipo di mestiere facevano i nostri avi?

3 Buoncambio, Migliore, Soperchia, Perchecivenisti. Quando i genitori indicavano nel nome soddisfazione o disappunto

4 Trasmissione del cognome: d’ora in poi doppio

5 Etimologie consolatorie: non sempre è come sembra...

6 Un po’ di statistiche. I nomi maschili più attribuiti nel 2021

7 Un altro po’ di statistiche. I nomi femminili più attribuiti nel 2021

 

Immagine: Albero genealogico dei Conti di Marsciano pubblicato in "Albero et istoria della famiglia dè conti di Marsciano"

 

Crediti immagine: Ferdinando Ughelli, Public domain, attraverso Wikimedia Commons

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Un altro po’ di statistiche. I nomi femminili più attribuiti nel 2021

 

Anche a fine 2022, l’Istat ha pubblicato i dati riguardanti le posizioni e frequenze dei primi 50 nomi maschili e 50 femminili attribuiti ai nuovi nati dell’anno precedente. Dopo aver esaminato i nomi maschili, possiamo valutare tendenze, mode, movimenti lungo la parabola ascendente e discendente dei vari prenomi e le tipologie prevalenti dei tipi di maggior successo.

 

La classifica: ranghi e frequenze 2021

 

 

Seguono: 21. Sara, 22. Arianna, 23. Noemi, 24. Rebecca, 25. Mia, 26. Isabel, 27. Adele, 28. Chloe, 29. Elena, 30. Francesca, 31. Gioia, 32. Ambra, 33. Viola, 34. Carlotta, 35. Cecilia, 36. Diana, 37. Alessia, 38. Elisa, 39. Emily, 40. Marta, 41. Maria, 42. Margherita, 43. Anita, 44. Giada, 45. Eleonora, 46. Nina, 47. Miriam, 48. Asia, 49. Amelia, 50. Diletta.

 

Sofia primatista per il 12º anno

Nei primi anni del XXI secolo sembrava inattaccabile il primo posto per frequenza di Giulia, avviato nel 1991 e durato fino al 2009 con l’interruzione di quattro anni, favorevoli nell’ordine a Martina (1999 e 2002),Alessia(2000) eSara (2001). Ma nel 2010 vi fu il sorpasso di Sofia, già nella top 10 dal 2002, 3º nel 2006 e 2º nel 2007. Tuttavia, al contrario di quanto accade in àmbito maschile con il netto distacco tra Leonardo e gli inseguitori, qui Giulia e soprattutto Aurora insidiano il primatista da vicino. Andrà notato che mentre il successo di Giulia e Aurora è endemico, quello di Sofia è ...pandemico, attualmente tra i più assegnati in pressoché tutto il mondo occidentale.

 

Chi scende e chi sale: i record del 2021

Grande equilibrio tra i primi 20 della graduatoria, dove la sola novità rispetto all’anno precedente è Azzurra, nome sostenuto come prevedibile dall’anno d’oro dello sport azzurro, calcio in testa. Ludovica è per la prima volta tra i top 10, al cui interno crescono soprattutto Beatrice e ancor più Vittoria. In termini quantitativi, rispetto al 2021 i nomi col segno meno sono 11, e tra questi hanno incontrato tempi più difficili Giulia, Giorgia e Anna, come mostra l’ultima colonna a destra della tabella. I maggiori aumenti di frequenza riguardano invece Vittoria, Beatrice e Azzurra nell’ordine. A guadagnare più posizioni (7) è ancora Azzurra, seguita da Camilla (5); a perderne di più sono Giorgia e Greta (3).

 

Nomi trasparenti

Una tipologia onomastica che piace sempre più alle famiglie è quella dei nomi che corrispondono a voci del lessico, cioè a nomi comuni, il cui significato è dunque immediato e trasparente: fiori, colori, sentimenti ecc. Apre la lista Aurora, seguita da Vittoria, Chiara, Bianca, Gaia, Azzurra e, al di sotto del rango (di qui: r.) 20, anche Gioia, Ambra in grande ascesa, Viola, Benedetta, Linda, Angelica, Margherita, Giada, Diletta, Celeste, Serena, Letizia, Iris, Linda, Luna (grande successo, quest’ultimo, negli Stati Uniti, in Italia al r. 64), Stella, Sole (non Mia, che è un ipocoristico scandinavo di Maria, che nel 2021 in Italia supera di oltre 500 occorrenze!). Sembra di tornare a certo medioevo, nel XIII e XIV secolo, quando per esempio in Toscana dominavano con Bellae Bellacosa nomi quali Perla, Gemma, Diamante, Margherita, Fiore, Allegra, ecc.

 

Ispirazioni bibliche e medioevali

Il medioevo è divenuto infatti un punto di riferimento per le scelte dei genitori del 2000, in campo femminile con Ginevra, che rimanda alla regalità nel ciclo cavalleresco arturiano, Beatrice che non può non richiamare Dante e Matildeche ci porta a Canossa. Anche Ludovica (almeno al maschile) ed Emma hanno sapore medievaleggiante.

L’altra fonte di ispirazione è, consciamente o no, la Bibbia. In declino il mondo di Sara, resiste Anna e dopo il r. 20 incontriamo Noemi, Rebecca, Isabel ed Elisa che derivano da Elisabetta, Marta, Maria (al suo minimo storico degli ultimi secoli come posizione), Miriam, Rachele.

 

Regione per regione

Sofia risulta il nome più attribuito nel Centro-Nord con le eccezioni di Aurora in Liguria e in Umbria, e diEmma, nome di tradizione e di moda anche in àmbito tedescofono, 1º nella provincia autonoma di Bolzano. Sofia è però primo anche in Abruzzo, Basilicata e Calabria, mentre Aurora prevale in Calabria e in Sardegna e Giulia resiste in Molise, Puglia e Sicilia.

 

Percorsi diversi e pronostici azzardati

Sarà Vittoria il nome che succederà a Sofia sul podio? Forse e verosimilmente con un interregno di Aurora, che si avvicina molto alprimatista. Più difficile per Beatrice, che tuttavia vedremo tra le prime tre. Per la top 10 del prossimo futuro, gli unici nomi probabilissimi sono Camilla e Azzurra, ma aspettiamoi movimenti anche diDiana, Nina, Ambra, Amelia e Diletta.

Il fatto è che i percorsi dei nomi lungo la scala di ranghi e frequenze hanno andamenti differenti: Aurora, per esempio, nel 2001 occupava la 15ª posizione e per giungere alla 2ª ha impiegato 15 anni. Anche l’ascesa di Beatrice è stata relativamente lenta; 19º nel 2001 e 5º dopo vent’anni. Il nome Emma era 59º a inizio secolo e ha raggiunto il massimo rango, il 4º, nel 2013. Viola ha conosciuto una parabola corta: dal r. 91 del 2001 al 13 del 2012 al 33 dell’ultimo anno censito.

Le parabole del successo possono essere di varia ampiezza, ma ci sono nomi che risultano stabili nel lungo periodo, com’è il caso di Anna, secondo nome nel XX secolo, dopo Maria, e che ancoraoscilla tra il r. 10 e il 15. Stabili, sia pure a livelli di frequenza differenti, risultano Arianna, Lucia, Marta, Serena, Margherita, Miriam, Virginia, Elena. Altri nomi di moda nella seconda metà del Novecento sono invece, alcuni da anni, ormai fuori dai top 100: Antonella, Claudia, Cristina, Daniela, Debora, Emanuelae Manuela, Erica/-ka, Jessica, Marica/-ka, Marina, Michelle, Monica, Paola, Raffaella, Rita, Roberta, Rosa, Rossella, Sabrina, Silvia, Simona, Stefania, Valentina, Valeria, Veronica.

 

Il ciclo Onomastica: un mondo da scoprire, è ideato, curato e scritto da Enzo Caffarelli.

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1 Cognomi in Italia: il contributo fondamentale dei nomi personali

2 Abbonante, Abbondanzieri, Zappalà, Zappellaro. Dalla A alla Z, ma che tipo di mestiere facevano i nostri avi?

3 Buoncambio, Migliore, Soperchia, Perchecivenisti. Quando i genitori indicavano nel nome soddisfazione o disappunto

4 Trasmissione del cognome: d’ora in poi doppio

5 Etimologie consolatorie: non sempre è come sembra...

6 Un po’ di statistiche. I nomi maschili più attribuiti nel 2021

 

 

Immagine: Newborn Feet

 

Crediti immagine: Nevit Dilmen, CC BY-SA 3.0 <http://creativecommons.org/licenses/by-sa/3.0/>, attraverso Wikimedia Commons

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Un po’ di statistiche. I nomi maschili più attribuiti nel 2021

 

Come ogni anno dal 1999, l’Istat pubblica i dati relativi a ranghi e frequenze dei primi 50 nomi maschili e 50 femminili attribuiti ai nuovi nati dell’anno precedente. Il che consente di verificare le tendenze, le mode, movimenti lungo la parabola ascendente e discendente che caratterizza quasi ogni prenome, le sorprese, le tipologie prevalenti dei tipi di maggior successo. In questa rubrica ci occupiamo qui dei nomi maschili e prossimamente di quelli femminili.

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Etimologie consolatorie: non sempre è come sembra...

 

Ci sono cognomi difficili da indossare: ingombranti, imbarazzanti, francamente brutti. Tuttavia conoscerne il vero significato può contribuire a renderli... inoffensivi.

Prendete il cognome Muoio, frequente a Napoli e Somma Vesuviana-Na, nonché nel Barlettano e in Calabria.Non è un ultimo grido di disperazione, ma una variante dittongata di Moio, elemento della denominazione Moio della Civitella (Salerno) o di toponimi simili; corrisponde a moggio (dal latino modium) che sta per ‘collinetta, terreno rialzato’.

Neppure Tomba dovrebbe spaventare: a parte la familiarità dovuta al campione di sci Alberto, deriva un nome di luogo, col significato anche di ‘prigione, grotta, monticello’. Tante in Italia, due hanno cambiato nome: Tomba di Pesaro oggi è Tavullia (Pesaro Urbino), Tomba di Senigallia è Castel Colonna (Ancona). I portatori più numerosi risiedono a Bologna e a Verona. E con Barella, cognome ben noto ai calciofili, niente soccorsi: richiama una forma greca equivalente a ‘barile’ o è il diminutivo femminile di baro ‘barone’, cioè ‘baronessa’. Presenta una distribuzione irregolare, da Torino e Milano al Viterbese e al Brindisino.

 

L’accento degli Asini

Entriamo in un altro àmbito scomodo: Lardo non indica presenza di grasso (a meno che derivi da Pappalardo) o ghiottoneria, ma è la parte terminale di nomi personali quali Ilardo, Gelardo, Gilardo, Abelardo, la cui la base germanica *hardhu significa ‘forte, ardito’. Diffuso nel Meridione, è soprattutto lucano. Suini e Suino non hanno a che fare gli animali, ma sono la riduzione del nome germanico Ansuino, Ansovino, appartenuto anche a un santo venerato nelle Marche (fu vescovo di Camerino). Il significato è ‘amico degli dei, caro agli dei’. Sono cognomi poco comuni: Suini nel Reggiano e in Piemonte; Suino a Torino e provincia.

Tra gli animali, attenzione anche al cognome Asini: da Vito d’Asio (Pordenone), ne indica gli abitanti e dunque l’accento è sul suffisso -ino e non sulla -a-. È documentato attualmente a Udine e a Milano.

 

Antipatica può risultare anche la sfera scatologica. Ma Feci non riguarda ciò che resta del metabolismo e del catabolismo, bensì è parte del nome medievale gratulatorio Diotifece, ossia ‘sei nato per grazia divina’. Risulta a Roma, nella provincia di Parma, a Cremona, in Toscana. E in Scrementi non è caduta la E iniziale: dovrebbe avere a che fare col siciliano antico scrima ‘scherma’ o moderno scrima ‘pettinatura dei capelli’ o anche derivare da un Clemente divenuto Cremente. Il catanzarese Caccavaro, poi, non ha rapporti con stitichezza o qualcosa di simile: è un nome di mestiere, dalla voce greca kakkabáres per indicare un fabbricante di caldaie. In Sederi non c’è nulla di sconveniente; è un cognome sardo d’origine catalana, con tre significati: corrisponde al catalano sedre (spagnolo sedero) ‘fabbricante o commerciante di sete’; o deriva dal nome latino Seterius; oppure equivale all’altro nome di mestiere sedderi ‘sellaio’, dal sardo sedda ‘sella’. Sardo è anche Puzzo che vale ‘pozzo’. Nel continente, con Puzzi, non richiama cattivi odori perché non è un presente indicativo; viene da Jacopo o da Filippo, attraverso i diminutivi Jacopuzzo e Filippuzzo con caduta delle prime sillabe. Puzzi è soprattutto lombardo, con presenze in Campania e in Sardegna: Puzzo è siciliano.

 

Francesco ci vede benissimo

Un soprannome assai poco gradito è Cecato. Ebbene, Orbi, Ciechi, Loschi, Borgna, Guerzoni e altri cognomi segnalano una persona non vedente da uno o da entrambi gli occhi. Ma non Cecato. Il suffisso -ato indica in Veneto appartenenza familiare o discendenza o ha valore diminutivo e Cecato viene da Cecco (Cesco), a sua volta da Francesco; dunque un piccolo Francesco o un discendente di un tal Francesco. La forma è soprattutto veronese e siciliana: e solo nell’isola il valore è quello di ‘cieco’.

Cozza non è una valutazione estetica colloquiale, ma un femminile di Cozzo, da un nome in -co: Federicozzo, Albericozzo, Francescozzo, ecc. È ben diffuso in Calabria e nel Veneto. Analogamente Pazzi può essere variante pluralizzata di Paccio, Pazzo (da Jacopaccio, Jacopazzo), però in alcuni dialetti veneti, paz(z)o ha il significato di ‘sudicio’. Il cognome spicca a Ferrara e provincia, Forlì, Milano, Firenze, Fermo, Roma.

 

Vasco Rossi sul torrione

Chiudiamo la breve rassegna con altri nomi scelti tra i tanti possibili: Bolletta è un’indicazione microtoponimica, variante iniziale di polletta, diminutivo di polla (d’acqua); segnalava dunque, in origine, chi proveniva o in qualche modo era collegato a una sorgente, forse d’acqua solforosa. Si riscontra a Roma, nell’Anconitano e in Umbria. Bua, soprattutto siciliano, non allude al male dei bambini, ma al femminile di bue; talvolta corrisponderà al toponimo reggino Bova, che suona Vua nella parlata locale; in Sardegna può corrispondere anche a ‘boa’ o ‘donnone’. In Pedalino non entra il pedale e tanto meno il calzino: viene probabilmente da Padalino per influsso di piede, a sua volta metatesi del più logico Paladino; è soprattutto siciliano. Sul cognome Scontrino non c’è la somma pagata e non ha nulla di fiscale. Corrisponde a un nome personale Contro, suffissato con -ino e rafforzato con S iniziale, a sua volta dal medievale Buonincontro, forma augurale e gratulatoria attribuita a un bambino. È trapanese, anche altrove in Sicilia e nella penisola. Niente dubbi con Dilemmi: è l’unione della preposizione con Lemmi, da Lemmo forma accorciata di Guglielmo.

Infine, Sparisci non è un invito a togliersi dalla circolazione, bensì parte dal toponimo Parigi, con S rafforzativa all’inizio della parola e passaggio da gi a esse, come accade spesso nell’Italia centrale (Ambrogio/Ambrosio). Il cognome appartiene soprattutto alle Marche, con un gruppo a Roma.

 

L’etimologia, però, può anche deludere. Prendete l’atmosfera gioiosa che crea il cognome di Acerra (Napoli) e di Scordia (Catania) Albachiara, impreziosito dall’omonima canzone di Vasco Rossi. Ebbene, anche se all’origine potrebbe esservi un toponimo o un nome personale, dovrebbe trattarsi di una reinterpretazione di Albacara, microtoponimo siciliano, presente nello spagnolo antico e d’origine araba, che vale ‘recinto per il bestiame’ o ‘torrione’.

 

 

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0 Introduzione

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3 Buoncambio, Migliore, Soperchia, Perchecivenisti. Quando i genitori indicavano nel nome soddisfazione o disappunto

4 Trasmissione del cognome: d’ora in poi doppio

 

 

Immagine: Vasco foto fine anni 80', via Wikimedia Commons

 

 

 

 

 

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Trasmissione del cognome: d’ora in poi doppio

 

Con la sentenza del 27 aprile-31 maggio 2022, nº 131, la Corte Costituzionale ha dichiarato illegittimo, oltre che discriminatorio e lesivo dell’identità del figlio, il primo comma dell'art. 262 del codice civile da cui derivava l'automatismo del solo cognome paterno. Dal 2 giugno, dopo decenni di sentenze, richiami dalle istituzioni europee e disegni di leggi mai discussi, è stabilito che ai figli deve essere attribuito il cognome di entrambi i genitori, salvo che non si decida di comune accordo di attribuire soltanto il cognome di uno dei due.

In quasi tutti gli Stati europei esistono già leggi che, seppur diverse tra loro, si ispirano al principio secondo il quale si è liberi di attribuire ai propri figli il cognome paterno, materno o di entrambi i genitori.

 

Che cosa succede in Europa e nel mondo

In Francia, per esempio, nella trasmissione del cognome non esiste distinzione tra la madre e il padre e il figlio può ricevere il cognome di uno o dell’altro genitore o entrambi i cognomi affiancati secondo l’ordine di loro scelta (per un massimo di un cognome per genitore). In mancanza di accordo, come in Belgio, decide un giudice (mentre in Lussemburgo ci si affida al sorteggio). La scelta operata per il primogenito è irrevocabile e si estende ai successivi figli della coppia.

In Portogallo i genitori sono liberi di scegliere quali e quanti cognomi mettere, fino a un massimo di quattro. In Danimarca, Norvegia, Svezia, Finlandia e Austria il cognome della madre è attribuito automaticamente dall’anagrafe, a meno di una diversa scelta di padre e madre. Nei Paesi Bassi si attribuisce di comune accordo uno dei due cognomi.

Il Codice civile tedesco prevede che i coniugi possono mantenere il proprio cognome o decidere che il cognome scelto come coniugale venga assegnato alla prole; il cognome coniugale può comunque essere preceduto o seguito dal proprio. In Svizzera, Grecia, Ungheria, Romania e Croazia viene assegnato ai figli il cognome scelto dai genitori per tutta la famiglia. Tuttavia, nel caso in cui i due coniugi abbiano mantenuto i rispettivi cognomi, si può scegliere liberamente quale dei due attribuire.

Nel Regno Unito, l’attribuzione del cognome ai figli non è regolata da disposizioni specifiche, ma è rimessa all’autonomia dei genitori; al momento della registrazione della nascita, al figlio può essere attribuito il cognome del padre, della madre oppure di entrambi i genitori; è inoltre possibile assegnare un cognome diverso da quello dei genitori.

In Spagna, come nella maggior parte dei Paesi dell’America latina, vige la norma del doppio cognome, per cui è obbligatorio che i figli portino il primo cognome di entrambi i genitori, nell’ordine deciso tra di loro. In caso di disaccordo, è attribuito al figlio il primo cognome del padre insieme al primo cognome della madre. Una volta divenuto maggiorenne, il figlio o la figlia possono avanzare istanza per invertire l’ordine dei cognomi.

 

Che cosa aspettarsi dal Parlamento italiano

I chiarimenti che gli italiani aspettano dal Parlamento riguardano i vari meccanismi con i quali sarà possibile gestire la novità; in particolare, come evitare la moltiplicazione dei cognomi (due per i figli, quattro per i nipoti, otto per i pronipoti e via dicendo con i multipli di due). Si rischierebbe l’effetto Fantozzi (ricordando la contessa Pia Serbelloni Mazzanti Vien dal Mare, personaggio frutto della fantasia dall’attore Paolo Villaggio); o, peggio, l’effetto Totò, che, nato Antonio Clemente (padre ignoto e cognome materno) seppe diventare, sorta di accumulatore seriale di titoli nobiliari, il principe Antonio Maria Giuseppe Gagliardi de Curtis Griffo Focas Angelo Flavio Ducas Comneno Porfirogenito di Bisanzio.

Anche l’ordine dei cognomi è importante. Una soluzione potrebbe essere la seguente: dalla prima generazione con doppio cognome, ciascun genitore sceglie per i figli uno solo dei suoi cognomi, in maniera che ogni generazione si... accontenti di un paio di cognomi. Ma se venisse sempre anteposto quello paterno, riprodurremmo la diseguaglianza tra padre e madre che la Corte Costituzionale ha inteso eliminare.

 

Rischi da evitare

Inoltre, come evitare il rischio di combinare con i due cognomi un sintagma che suoni ridicolo? In realtà la questione non è nuova: già con l’accostamento del nome personale al cognome il rischio è grande, specie se il nome di famiglia corrisponde a una voce di lessico trasparente; lasciamo da parte le signore Rosa Culetto e Vera Vacca, che appartengono alle leggende metropolitane, ma che dire – stiamo inventando, ma si tratta di idionimi ben plausibili – di Gaia Gallina, Azzurra Giallini, Viola Scuro, Celeste Chiaro, Bianca Latte, Gioia Di Nonno, Ambra Grande, Felice Evacuo, Letizia Senzadenari e perfino Vittoria Di Pirro?

Nel caso dei cognomi il ventaglio delle possibilità è più ristretto. Ma se il papà si chiama Calzino e la mamma Bucato (cognomi rarissimi ma esistenti), non si può condannare un figlio o una figlia a una vita onomasticamente tragicomica.

E senza giungere a tali estremi, il buon senso suggerisce prudenza quando i genitori presentino cognomi che difficilmente combinano tra loro per dimensioni o per opposizione semantica: se il papà si chiama Quondamangelomaria e la mamma Giuratrabocchetti, i figli non troverebbero lo spazio sufficiente per firmare un modulo; se si chiamassero Do e Re (parliamo sempre di cognomi esistenti) la licitazione del proprio doppio cognome potrebbe incontrare qualche imbarazzo; se i nomi di famiglia fossero Magri e Grassi – peraltro entrambi molto diffusi – lo stridore diverrebbe ridicolo.

Evidentemente bisogna fare i conti con la tradizione e l’affetto per la propria famiglia d’origine. Non tutti i portatori di cognomi imbarazzanti, ingombranti e francamente brutti sono disposti a rinunciare al proprio nome di famiglia. E quel che è imbarazzante per l’uno potrebbe non esserlo per l’altra.

Un’ultima osservazione: i cognomi aumenteranno certo di quantità, ma cambierà la qualità? Alcuni saranno destinati a ridursi o a scomparire? È possibile che quelli meno amati vengano lasciati da parte; altrettanto quelli troppo diffusi, i Rossi, i Russo, gli Esposito, i Ferrari. Ma la vicenda onomastica è ancora tutta da verificare.

 

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2 Abbonante, Abbondanzieri, Zappalà, Zappellaro. Dalla A alla Z, ma che tipo di mestiere facevano i nostri avi?

3 Buoncambio, Migliore, Soperchia, Perchecivenisti. Quando i genitori indicavano nel nome soddisfazione o disappunto

 

Immagine: Totò al trucco, via Wikimedia Commons

 

 

 

 

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Buoncambio, Migliore, Soperchia, Perchecivenisti. Quando i genitori indicavano nel nome soddisfazione o disappunto

 

Nel panorama dei nomi di persona medievali spiccano alcune forme soprattutto descrittive, augurali e gratulatorie, sia teoforiche (letteralmente ’portatrici di Dio’, ossia contenenti il Suo nome) sia laiche, tipiche soprattutto della Toscana medievale e dell’Italia centrale.

Dopo il Mille, e specialmente dal XII secolo, lo stock onomastico – ossia il repertorio a disposizione delle famiglie per dare un nome ai figli – si era drasticamente ridotto. Della classicità latina ci si era quasi dimenticati. I santi venerati erano un numero assai ristretto, con Giovanni (il Battista) in primo piano per gli uomini e Maria per le donne. San Francesco e Sant’Antonio dovevano ancora nascere e Giuseppe non sarebbe uscito dal ristretto àmbito delle comunità ebraiche almeno fino al Concilio di Trento (con una diffusione davvero ampia solo dal XVIII secolo). Anche i nomi dei sovrani popolari in tutta Europa si potevano contare sulle dita di una mano: Guglielmo, Riccardo, Federico, Enrico... I nomi germanici non godevano più del prestigio di un tempo: erano tramontati assieme al potere dei loro primi portatori, a meno che non fossero stati adottati da qualche santo.

 

Le invenzioni popolari

In attesa dei grandi santi degli ordini mendicanti, il popolo s’inventò nomi trasparenti, gratulatori e augurativi. Nomi che segnalavano con parole del lessico comune la gioia della famiglia per il nuovo nato, l’augurio per una vita piena di successo, il conforto morale ed economico che l’ultimo arrivato rappresentava per i genitori. Si tratta di nomi come Amadeo, Crescimbene, Diotifeci, Graziadei, Ognibene, Salimbene. Alcuni soprattutto descrittivi: Allegro, Altobella, Caradonna, Cortese, Fiore, Gemma, Grazia; altri allusivi al beneficio e all’arricchimento della famiglia grazie al nuovo arrivato: Avanzo (nel significato antico di ‘acquisto, profitto, vantaggio’), Buonamico, Benarrivo, Bencivenga e Bencivenni, Benenato, Benincasa, Benvenuto, BonaccorsoBonagiuntaBonaiutoBoncompagnoBuonvicino, Bennato ecc. Altri indicanti la “bontà” del momento della nascita: Bonora, Buontempo, Buonanno, Buonasera, Bongiorno... La nascita di un figlio era insomma evento affettivo, sociale, perfino economico.

Tutti questi nomi sono divenuti moderni cognomi, nelle forme identiche alla base, oppure pluralizzati, suffissati o ridotti a ipocoristici (diminutivi e forme accorciate) che si spiegano bene solo pensando all’aggettivo o all’avverbio che li precedeva: Accorsi e Corsi, Venuti, Amici, Avanzini, Giunti, Aiuti, Compagni, Bonanni, Vicini, Giorni, Sera, Tempo ecc.

Un drappello di questi nomi ha un significato particolare. Lo ricostruiamo a partire da cognomi odierni quali Tornabene, Tornincasa, Recupero, Risaliti, Rifatto, Ritrovato, Ristori, Conforti, Rimedio.

 

Benvenuti e non

È noto che in epoca medievale le condizioni igieniche in cui versava gran parte della popolazione, le scarse risorse della medicina, il susseguirsi di carestie, epidemie e guerre rendevano molto elevata la mortalità infantile. Ebbene, tanti nomi attribuiti ai secondo-, terzo-, quartogenito che veniva a sostituire una sorellina o un fratellino morto in precedenza indicavano il risarcimento da parte di Dio o del destino rispetto a un figlio perduto. La restituzione di un bimbo prematuramente scomparso era un evento da ricordare per tutta la vita. E così la famiglia esprimeva, attraverso l’onomastica, la sua soddisfazione, anche misurando il valore della sostituzione: Rifatto, Ritrovato, Ritorno, Rinato, ed anche Paribono, Paribello, Tornabene, Buoncambio, Guadagno, addirittura Migliore e Migliorato. Da cui i cognomi Cambi, Parboni, Paribelli, Guadagnini, Migliorini, Migliorati...

Non sempre il nuovo nato era benvenuto, però. La prova è ancora una volta nei nomi: Perquezivenisti (ossia ’perché ci sei venuto?’), che si legge in un documento toscano del Duecento, risponde a una formula decisamente antigratulatoria. Altri indicavano comunque rifiuto o accettazione controvoglia del nuovo nato: Aggravio, Malavolta, Maldonato, Malfatto, Maltempo, Malgioglio (per ‘cattivo giglio’), Nontivoglio, Soverchia, Orcibasta, Ultimo. A meno che non assumessero valore apotropaico, ossia di scongiuro e dunque, ancora una volta, di augurio. Uno solo tra questi “nomi del disappunto” è sopravvissuto fino al Novecento, quasi soltanto in Toscana: Finimola, ossia smettiamola qui, tu sarai l’ultima. Se incontrate il figlio o la figlia di una signora Finimola, chiedetele quanti zii abbia.

E se qualcuno di questi nomi vi risulta familiare, nessuna sorpresa: sono francamente scomparsi come nomi, ma sono ancora ben vivi come cognomi, qualcuno neppure raro.

 

E poi tornarono i santi

In quello stesso periodo storico – siamo grosso modo tra il 1150 e il 1300 – tra i nomi laici, cioè non legati a un santo e non teofori, si aggiunsero i descrittivi Perla, Gemma, Diamante, Fiore, Bellacosa, Allegra, Altobella, Caradonna, Cortese.

Ma nuovamente, a fine Duecento, fu la volta dei grandi santi fondatori degli ordini mendicanti: Francesco, Elia, Bonaventura, Chiara, Domenico, Caterina, che offriranno un diverso serbatoio agionimico al quale attingere, per la più parte dei casi, fino ai nostri giorni. La fine dell’epoca laica di cui abbiamo parlato fu segnata anche dalla popolarità della letteratura cavalleresca italiana, dalla quale il popolo che ascoltava incantato le gesta dei protagonisti dei romanzi epici, declamate per strade, trassero Angelica, Fiordiligi, Medoro, Morgante, Orlando, Rodomonte, Ruggero, Rinaldo e altri ancora.

Poi avrebbero provveduto l’Umanesimo e il Rinascimento a riscoprire la classicità anche nei nomi personali, e la Chiesa, specie nel periodo della Controriforma e del Concilio di Trento, a promuovere nell’onomastica personale le feste dell’anno liturgico o i legami con la pratica del pellegrinaggio: Natale, Pasquale, Palma, Pellegrino, Romeo, nonché i nomi dei Magi – Baldassarre, Gasparre, Melchiorre – e quelli della famiglia di Maria di Nazaret: Anna, Gioacchino, Elisabetta.

 

 

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1 Cognomi in Italia: il contributo fondamentale dei nomi personali

2 Abbonante, Abbondanzieri, Zappalà, Zappellaro. Dalla A alla Z, ma che tipo di mestiere

facevano i nostri avi?

 

Immagine: Famiglia in un dipinto del XIX secolo, via Wikimedia Commons

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Abbonante, Abbondanzieri, Zappalà, Zappellaro. Dalla A alla Z, ma che tipo di mestiere facevano i nostri avi?

 

In centinaia di casi, i mestieri cui i nostri cognomi fanno riferimento possono non essere riconoscibili né chiari nel contenuto. E questo per due ragioni principali, l’una storica e l’altra linguistica. Storica: i mestieri indicati dai cognomi non esistono più, perché divenuti inutili per mille motivi. Linguistica: perché i mestieri sono designati con altre parole o fin dal Medioevo erano segnalati in dialetto o con voci non derivate dal latino. E dunque i cognomi costituiscono una specie di museo linguistico dove sopravvivono antichi ricordi.

Abbonante, Abbondanziere, Abolaffio, Acciaccaferro, Acquaiolo, Aglialoro, Anaclerio, ... solo per iniziare in ordine alfabetico, indicano mestieri cambiati, scomparsi, inutili, obsoleti, incomprensibili. Ma testimoniati vivacemente dai nostri cognomi.

 

I mestieri del fuoco e dell’acqua

 

Che cosa faceva, per esempio il trisavolo del trisavolo del bisnonno dei signori, abruzzesi, Appicciafuochi (ma Picciafuochi è toscano e Picciafuoco anconitano e perugino)? Accendeva a pagamento il fuoco nelle case degli ebrei, ai quali era proibito compiere questo atto nei giorni di festa. E l’antenato di una famiglia Abbonante? Abbunava, come si direbbe in calabrese antico (il cognome è crotonese): faceva macerare il lino bagnando abbondantemente i campi.

Gli Acquaioli fiorentini e gli Acquarulo potentini discendono da un venditore ambulante d’acqua o da un addetto all’irrigazione dei campi. Anche Aquilani indicava un mestiere: dall’Aquila negli Abruzzi giungevano a Roma per spurgare i fossi e attrezzare lo scolo delle acque.

E l’antenato degli Abbondanzieri, marchigiani e romani? Era il magistrato preposto nel Medioevo al controllo dell’abbondanza, ossia delle derrate alimentari necessarie al sostentamento di una città.

Aggugiaro e simili cognomi padovani ricordano chi fabbrica e vendeva aghi. Il palermitano Aglialoro ha subito una metatesi consonantica: sarebbe agliarolo, il commerciante di agli. Anaclerio (pugliese) era il nocchiero, ma ora nel Salento individua piuttosto il capo degli operai di un frantoio.

Avogadro, che con Avogaro o Auguadro vale ‘avvocato’, nel Medioevo designava, oltre al procuratore, un alto funzionario delle organizzazioni e magistrature del commercio, e in particolare il “Rettore della Mercatanzia”, o il podestà di un comune e il magistrato dell’antica Repubblica di Venezia, con l’incarico di sostenere le ragioni pubbliche nei processi penali e civili, di sorvegliare l’andamento della giustizia e l’osservanza della costituzione.

 

Brutalmente degradati

I cognomi Arcari, Arcaro, Arcaio documentano un ‘fabbricante o venditore di arche’, mobili in legno a forma di cassa destinati a vari usi; ma la voce ha assunto nel tempo anche valori differenti come, nell’Era di Mezzo, quello di ‘funzionario preposto alla custodia del pubblico tesoro’, conservato appunto in un’arca; la svalutazione è stata poi tale che nei dizionari dell’800 leggiamo che si dava il nome di arcaro anche a chi custodiva gli abiti che si lasciavano e si riprendevano al bagno pubblico.

Un degrado peggiore ha colpito Agozzino, cognome tipico delle province di Agrigento, Palermo ed Enna. Alla base vi è la voce araba al-wazir che designava dapprima un ministro e in seguito un funzionario di organi giudiziari e di polizia. La discesa lungo la scala sociale di nomi di mestieri o di oggetti tipici di una popolazione straniera avversata dagli indigeni, una volta raggiunta l’epoca della decadenza, ha fatto assumere a questo termine il significato di ‘sorvegliante, guardiano di prigioni’, poi di ‘carceriere incaricato della sorveglianza dei lavori forzati’ e, infine, di ‘tormentatore, vessatore’.

 

Bovari e barbieri mascherati

E passiamo alla Z-. Gli avi degli Zagami erano allevatori bovini (za‘āham in arabo significa ‘vacca’). Quelli degi Zirafi, siciliani come i precedenti, erano barbieri, dal greco medievale xyráphion ‘rasoio’. Zuccalà e Zappalà, tipici delle zone del Sud d’Italia in cui si è per secoli parlato greco, sono altrettanto nomi professionali (appunto d’origine greca): il primo è il fabbricante di stoviglie di terracotta e il secondo il venditore di fichi. Non lavorava con la zappa, al contrario degli antenati di chi si chiama Zappaterra (tipico a Ferrara e dintorni), Zappaterreno (di Civitella San Paolo presso Roma), Zappatore (pugliese) e Zappavigna (reggino). I padovani Zoccarato e Zoppellaro ricordano rispettivamente il boscaiolo addetto alla rimozione delle ceppaie e il fabbricante di zoccoli.

 

Rolleri, Bigongiari, Mondadori e Garzanti...

Si tratta fin qui di piccoli campioni. Tra la A e la Z, non più riconoscibili (o quasi) sono Bordonaro, dal termine siciliano per ‘mulattiere’; Semeraro, diffusissimo in Puglia, è una variante di someraro ‘guidatore di bestie da soma’; il ligure e alessandrino Pestarino ricoda chi frantumava in particolare il grano o le olive; il settentrionale e specialmente mantovano Mondadori risale a chi ripuliva lana, seta, metalli, per eliminare scorie e impurità, oltre a chi mondava le risaie. Il diffuso cognome campano Scannapieco si compone di scannà ‘scannare’ e piècuro ‘montone, agnellone’, assegnato ai beccai ambulanti che, per la festività della Pasqua, si recavano nelle case a macellare gli agnelli; l’antico italiano messore ‘mietitore’ sopravvive nei nomi di famiglia lombardi o emiliani Messora, Messore, Messori. I notai erano anche Rolleri (dal latino medievale rotularius) in Piemonte e Liguria.

Tra gli artigiani e i piccoli commercianti, ecco inoltre i Barcellari, cognome lombardo relativo alla vendita di barcelle ‘gerle da merciaiolo, valigie’; Bardaro, nel Sud peninsulare, discendente dal fabbricante o riparatore di basti; il sellaio è ricordato dal toscano Bastieri; i bigonci ‘recipienti di legno a doghe, cerchiati’ dal lucchese Bigongiari, detti anche brente, da cui il trentino Brentari e il veronese Brentaro. Con le buccule "fibbie" si è formato il palermitano Bocchiaro, con le corazze (dal francese Brognier) i tipi Brognera e simili. Gli arrotini erano i Moleri, cognome bergamasco. I tornitori erano detti anche Torneri e Torniai, rispettivamente in Veneto e in Toscana; il siciliano Mortillaro ha come base il mirto, usato per la concia delle pelli; alle ruote per carri pensavano i Rodari, nome di famiglia lombardo; i cardatori di lana erano detti Garzanti in Romagna (Garzaro è vicentino) e Scardamaglia in Calabria.

 

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Cognomi in Italia: il contributo fondamentale dei nomi personali

 

Immagine: Contadino che brucia sterpaglie 1883

 

Crediti immagine: Vincent van Gogh, Public domain, via Wikimedia Commons

 

 

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Cognomi in Italia: il contributo fondamentale dei nomi personali

 

Introduzione

Ciascuno di noi è un nome. Il nome è la sua storia, la sua radice, la sua provenienza, la sua genealogia. Ma questo nome è anche la traccia di una o più lingue, di una o più culture, di relazioni e tradizioni sociali, religiose, politiche.

Nel nostro nome non c’è il futuro, non c’è il destino come vorrebbero i cartomanti dell’onomanzia, ma c’è il passato – da dove veniamo – e il presente – chi siamo, dove ci collochiamo, quali sono i punti di riferimento del nostro posizionarci, nel tempo e nello spazio, qualche volta anche nello spirito, nel grafico della nostra esistenza familiare, amicale, sociale.

Il mondo intorno a noi è leggibile e definibile attraverso i nomi propri: nomi e cognomi, soprannomi di famiglia e individuali, nomi di città, paesi, corsi d’acqua, strade, piazze, scuole, stadi, marchi commerciali, nomi pubblicitari, denominazioni di specialità culinarie tratte dall’onomastica, nomi propri imposti ad animali o ad oggetti e via dicendo.

I nomi propri, più della lingua e del dialetto, sono inoltre sopravvissuti nei secoli e custodiscono testimonianze altrimenti irreperibili di modi di pensare, di attività professionali e sociali, di culti religiosi, di usanze popolari, insomma di valori tradizionali che meritano d’essere quanto meno conosciuti anche da parte delle nuove generazioni.

L’onomastica è una scienza interdisciplinare per antonomasia. Essa nasce dalla combinazione dello studio dell’etimologia, della motivazione e dell’uso: il significato di un nome proprio e le ragioni per le quali è stato imposto e viene utilizzato; e mentre dell’etimologia si occupa la linguistica (linguistica storica, storia della lingua italiana, dialettologia, filologia, ecc.), la questione della motivazione s’intreccia con gli studi di geografia; con quelli di storia tout court, ma anche di storia di costumi, culti, opere letterarie, spettacoli, psicologia delle masse; con la demografia e la statistica; con l’antropologia e la genealogia; per alcuni aspetti, con la psicologia e la sociologia, come dimostrano i numerosi studi del genere in Paesi esteri, dove la ricerca onomastica risulta più avanzata che in Italia.

Questa serie, curata e scritta da Enzo Caffarelli, inizia con alcune rubriche dedicate al rapporto tra nomi, cognomi e soprannomi. Si occuperà anche di altri antroponimi (nomi d’arte, pseudonimi, allonimi), di toponimi (città, paesi, regioni, monti, fiumi), di odonimi (nomi di strade e altre aree di circolazione), di crematonimi (marchi, insegne, teatronimi, altri luoghi di aggregazione ecc.), di transonimi (dal nome proprio al nome proprio di diversa tipologia, come quando il personaggio di un film o di un romanzo diventa l’insegna di un ristorante o di una birreria). Il tutto corredato da esempi, aneddoti, curiosità, statistiche (le classifiche attraggono sempre) e da informazioni che spesso vi sorprenderanno.

 

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Cognomi in Italia: il contributo fondamentale dei nomi personali

 

I motivi per i quali in Italia contiamo circa 400 mila cognomi diversi sono numerosi. Uno dei più consistenti riguarda l’abbondanza dei primi nomi, i nomi personali, da cui si sono nel tempo fissati i cognomi. Tali cognomi rappresentano la classe più numerosa del patrimonio cognominale italiano, quantificabili in oltre il 35% del totale. Tra i primi 200 nella graduatoria nazionale per frequenza, almeno 110 possono considerarsi derivanti da patronimici o matronimici, termini coi quali si definiscono rispettivamente il nome paterno e il nome materno e, per estensione, il nome di qualsiasi avo che abbia dato origine a un nome ereditario poi cristallizzatosi in cognome.

 

Motivazioni di un percorso comune

Quali i perché? Intanto, l’usanza di assegnare a membri della stessa famiglia uno stesso nome distinto solo per il suffisso, e l’oggettiva ricchezza dei suffissi della lingua italiana, ha garantito una pluralità di forme che ha riscontro nell’onomastica di poche altre lingue: da Rosso/Rossi, si vedano Rosselli, Rossiello, Rossini, Rossetti, Rossettino, Rossinelli, Rossoni, Rossellini ecc. (cui aggiungere i derivati e composti). Da Giovanni risultano molti di più, perché partono anche dalle forme regionali Gianni nel Nord e in Toscana, Nanni in Emilia e ancora in Toscana, Vanni in Umbria, Zanni in Veneto, Ianni in Abruzzo e altrove nel Centro-Sud, Scianni in Puglia e inoltre con Vagn- specie in Umbria e Marche e con Giagn- soprattutto in Toscana e Lazio.

Inoltre, alcuni suffissi o prefissi indicano appartenenza a una famiglia, hanno cioè valore prettamente onomastico (-aglia, -engo, -esco, -esso, -ato, -aci, In-, Inter-, ecc.). Andranno poi contate le modalità sintattiche: presenza o no di articoli, preposizioni semplici o articolate, indicanti provenienza o discendenza.

 

Aferesi, sincopi, suffissi: le serie parallele

Un altro fenomeno fonetico, tipico dell’antroponimia italiana, è il costume, molto diffuso del Medioevo (ma non solo), di ridurre la catena fonica dei nomi. Di qui si è sviluppata una serie parallela di prenomi, di fatto moltiplicando il repertorio patronimico, e dando origine a un’altrettanto parallela e amplissima serie di cognomi.

Tra i principali fenomeni di questo tipo si segnala l’aferesi, ossia la caduta di una o più sillabe iniziali; così hanno visto la luce gli ipocoristici (forme ridotte e diminutive) Baldo da Ubaldo e simili, Berto da Alberto, Roberto, Umberto, Cambio da Boncambio, Chele da Michele, Contro da Benincontro, Corso da Bonaccorso, Fante da Bonfante, Giunta da Bonagiunta, Gorio e Goro da Gregorio, Lippo da Filippo, Maso da Tommaso, Menico (e Menego) da Domenico, Nèri da Raineri/Ranieri, Nardo da Bernardo o Leonardo, Nuto (e Venuto) da Benvenuto, Pagno da Buoncompagno, Puccio da Filippo, Tardo da Contardo, Ventura da Bonaventura e via dicendo.

Queste forme aferetiche sono state poi suffissate. Si dice infatti che certi nomi e poi cognomi hanno perso la testa e acquistato la coda. Dagli esempi sopra citati, ecco i cognomi Balducci, Bertelli, Cambiucci, Chelini, Contrini, Corsetti, Fantozzi, Giuntella, Gorietti, Lipparelli, Masotti, Menicucci, Nerozzi, Nardacci, Nutini, Pagnin, Puccini, Tardelli, Venturini, ecc. Talora la forma aferetica alterata può avere molte origini: Dino (con, a sua volta, Dinelli, Dinucci, Dinuzzi ecc.) può derivare da uno dei tanti nomi in -aldo (Arnaldo, Rinaldo, Tedaldo, Ubaldo ecc.), in -ando (Aldobrando, Ferdinando, Morando, Orlando, Rolando ecc.), in -ardo (Bernardo, Gerardo, Leonardo, Riccardo ecc.), in -fredo (Alfredo, Goffredo, Manfredo ecc.), oppure da Corrado, Guido, Fernando ecc.; Fino (con Finelli, Fineschi, Finetti, ecc.) da qualsiasi nome in -fo, Nuccio da nomi in -no, Tuccio da nomi in -to.

Un altro fenomeno è il raccorciamento del nome base per sincope del corpo fonico compreso tra il primo fonema e il suffisso (o le sillabe terminali della voce); si tratta di un evento tipico ma non esclusivo della Toscana medievale: Bernardo diventa Bardo, Bencivenni > Benni (e Cenni), Benedetto > Betto, Bonaccorso > Borso, Benvenuto > Buto, Donato > Dato. Francesco > Fresco, Federigo > Frigo, Guglielmo > Gelmo, Lorenzo > Lenzo, Domenico > Meco, Diotaiuti > Tuti. Da tali ipocoristici si hanno per esempio i nomi di famiglia Bardotti, Benni, Bettoni, Borsellino, Butini, Datini, Freschini, Frigato, Gelmini, Lenzini, Mecarelli, Tutino.

 

Assimilazioni vocaliche e consonantiche

Una ulteriore serie di nomi personali differenti, con i relativi cognomi, nasce dall’assimilazione consonantica regressiva dell’ipocoristico (la consonante dell’ultima sillaba attrae a sé la precedente, trasformandola): Ghigo < Federigo, Nanni < Giovanni, Peppe < Giuseppe, Dando < Ferdinando, Pippo < Filippo, ecc.; da qui cognomi come Ghigini, Nannini, Peppioloni, Dandini, Pippinato. In altri casi, l’assimilazione è interna al gruppo consonantico formato dai fonemi di contatto tra penultima e ultima sillaba: Cecco < Francesco, Lemmo < Lelmo < Guglielmo, forme in -addo da nomi in -aldo e in -offo da nomi in -olfo, da cui i cognomi Cecchini, Lemmetti, Gadda, Roffi. Si noti che l’assimilazione consonantica si ha sempre nella direzione di un suono di più complessa articolazione, dunque una consonante laterale o vibrante o labiovelare o fricativa (l, r, f, v, s...) verso un’occlusiva (p, b, t, d, c, g, m, n) e non viceversa, come dimostrano gli esempi appena riportati.

Assimilazioni e anche dissimilazioni vocaliche e consonantiche hanno poi portato a una frequente oscillazione delle forme: Baldassarre e Baldissarre, Cristoforo e Cristofolo, Geronimo e Gerolamo, Melchiorre e Marchionne, ecc. da cui nuovi nomi personali poi cognominizzati. Questo capita regolarmente con i nomi stranieri che nel Medioevo vennero adattati variamente nei volgari italiani, specie nel toscano che non ammetteva nomi uscenti in consonante: motivo per il quale si è avuta un’epitesi, ossia una terminazione (in vocale) aggiunta a nomi in consonante, con risultati differenti: si vedano le coppie Daniele/Daniello da Daniel, Emanuele/Emanuello da Emmanuel, Raffaele/Raffaello da Rafael, e lo stesso vale per Gaspare/Gasparre, Davide/Davidde, Ettore/Ettorre, Annibale/Anniballe ai quali corrispondono analoghi nomi di famiglia odierni.

 

 

Immagine: Detail from a chalk art piece created at Belmont Shore Chalk Art Contest in Long Beach CA, 14 October 2017

 

Crediti immagine: Penny Richards, CC BY-SA 4.0 <https://creativecommons.org/licenses/by-sa/4.0>, attraverso Wikimedia Commons

 

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Onomastica: un mondo da scoprire

 

Ciascuno di noi è un nome. Il nome è la sua storia, la sua radice, la sua provenienza, la sua genealogia. Ma questo nome è anche la traccia di una o più lingue, di una o più culture, di relazioni e tradizioni sociali, religiose, politiche.

Nel nostro nome non c’è il futuro, non c’è il destino come vorrebbero i cartomanti dell’onomanzia, ma c’è il passato – da dove veniamo – e il presente – chi siamo, dove ci collochiamo, quali sono i punti di riferimento del nostro posizionarci, nel tempo e nello spazio, qualche volta anche nello spirito, nel grafico della nostra esistenza familiare, amicale, sociale.

Il mondo intorno a noi è leggibile e definibile attraverso i nomi propri: nomi e cognomi, soprannomi di famiglia e individuali, nomi di città, paesi, corsi d’acqua, strade, piazze, scuole, stadi, marchi commerciali, nomi pubblicitari, denominazioni di specialità culinarie tratte dall’onomastica, nomi propri imposti ad animali o ad oggetti e via dicendo.

I nomi propri, più della lingua e del dialetto, sono inoltre sopravvissuti nei secoli e custodiscono testimonianze altrimenti irreperibili di modi di pensare, di attività professionali e sociali, di culti religiosi, di usanze popolari, insomma di valori tradizionali che meritano d’essere quanto meno conosciuti anche da parte delle nuove generazioni.

L’onomastica è una scienza interdisciplinare per antonomasia. Essa nasce dalla combinazione dello studio dell’etimologia, della motivazione e dell’uso: il significato di un nome proprio e le ragioni per le quali è stato imposto e viene utilizzato; e mentre dell’etimologia si occupa la linguistica (linguistica storica, storia della lingua italiana, dialettologia, filologia, ecc.), la questione della motivazione s’intreccia con gli studi di geografia; con quelli di storia tout court, ma anche di storia di costumi, culti, opere letterarie, spettacoli, psicologia delle masse; con la demografia e la statistica; con l’antropologia e la genealogia; per alcuni aspetti, con la psicologia e la sociologia, come dimostrano i numerosi studi del genere in Paesi esteri, dove la ricerca onomastica risulta più avanzata che in Italia.

Questa serie, curata e scritta da Enzo Caffarelli, inizia con alcune rubriche dedicate al rapporto tra nomi, cognomi e soprannomi. Si occuperà anche di altri antroponimi (nomi d’arte, pseudonimi, allonimi), di toponimi (città, paesi, regioni, monti, fiumi), di odonimi (nomi di strade e altre aree di circolazione), di crematonimi (marchi, insegne, teatronimi, altri luoghi di aggregazione ecc.), di transonimi (dal nome proprio al nome proprio di diversa tipologia, come quando il personaggio di un film o di un romanzo diventa l’insegna di un ristorante o di una birreria). Il tutto corredato da esempi, aneddoti, curiosità, statistiche (le classifiche attraggono sempre) e da informazioni che spesso vi sorprenderanno.

 

 

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Wolfgang è un Buffon: 23 cognomi “azzurri” al setaccio

 

I cognomi dei calciatori sono talmente popolari che chi si chiama come un campione, ma anche come un giocatore di secondo piano, viene immediatamente associato a quel personaggio. Anche quando si tratta di cognomi curiosi, con significati sgradevoli che in altri contesti potrebbero suscitare imbarazzo o sarcasmo.

Un tempo chi incontrava un bresciano cognominato Pirlo probabilmente era indotto a prenderlo in giro per la rassomiglianza con pirla. Oggi è più facile che chieda semplicemente: “Parente?”. Pirlo peraltro può voler dire ‘trottola’, ‘girandola’ oppure ‘pero selvatico’...

Insomma, è ben vero che Messi e Cristiano Ronaldo non giocherebbero diversamente se il cognome del primo, marchigiano, non derivasse dal latino Messio e se il secondo nome del portoghese, che richiama il ciclo cavalleresco di Carlo Magno (equivalendo a Rolando), non significasse ‘glorioso nella sua terra’.

Eppure un cognome ingombrante può essere un handicap da superare. A Pierluigi Pizzaballa, portiere negli anni 60 di Atalanta e Roma, era stato pronosticato: “Con quel cognome non andrai da nessuna parte”. Finì addirittura in nazionale. E uno dei possibili significati di Pizzaballa è proprio ‘prendi la palla’!

L’onomastica nel pallone riserva molte di queste sorprese.

 

Pelé e Maradona sono parenti?

 

A volte i significati dei cognomi sono “imprendibili”, come certi tiri in porta. È il caso dei due campionissimi. In Argentina sono convinti che Maradona sia un cognome italiano. In realtà proviene dalla Galizia spagnola e indica una località. I Maradona europei abitavano e abitano soprattutto ad Arante, altro piccolo centro gallego. Arante trae il nome da un torrente. Non sappiamo cosa voglia dire, ma lo ritroviamo nel cognome materno di Pelé: Edson Arantes do Nascimento. Dunque non è da escludere che gli antenati dei due calciatori fossero vicini di casa...

 

I più pronunciati

 

Come che sia, i cognomi dei calciatori sono i più ascoltati, pronunciati, scritti e letti. Bambini, giovani, adulti, anziani, uomini e donne li ripetono per generazioni. Specie in occasioni di eventi che coinvolgono la nazionale, come i Campionati Europei. E allora cerchiamo di interpretare i significati dei protagonisti azzurri dell’avventura francese 2016. Cominciando dal capitano.

Buffon suona come una forma settentrionale di Buffone, ma il nostro portierone ha un nome di famiglia veneto-friulano. Non si può escludere che indichi talvolta discendenza da un giullare, ma è più probabile che derivi dalle lingue germaniche: da un nome di persona Buffo o Bulfon, che poi è una storpiatura di Wolfgang. Dunque non avrebbe a che fare con le comiche, bensì con i lupi (Wolf).

 

Da nomi di persona

 

I cognomi derivano in buona parte da nomi personali. È facile ricondurre Marchetti a Marco, Bernardeschi a Bernardo (con il suffisso collettivo -esco che indica appartenenza a una famiglia: “quelli di Bernardo”), Florenzi a Fiorenzo. Meno immediato il collegamento di Giaccherini a Gioacchino e di Sirigu a Quirico (o a una variante di Ciriaco): è cognome tipicamente sardo e potrebbe significare inoltre ‘baco da seta’.

Anche Chiellini ha origine da un nome medievale che, come suol dirsi in onomastica, ha perso la testa e acquistato la coda: si parte da Rustico, di qui al diminutivo Rustichello o Rustichiello, e poi a Chello/Chiello da cui la nuova forma con -ino. Rustico era un nome personale diffuso in passato, oltre che un aggettivo, con un doppio significato: ‘proveniente dalla campagna, contadino’ e, metaforicamente, ‘villano, rozzo, scontroso’.

Per completare la difesa juventina in azzurro e troviamo ancora nomi di persona: Bono, frequente nel Medioevo, ha dato origine a centinaia di cognomi tra i quali Bonucci. Barzagli viene da uno strano nome germanico, Barzo o Barzilo, con un altro suffisso collettivo, -aglio, per indicare i figli e i discendenti dell’avo.

E Ogbonna? Nigeriano, ovviamente: lo si può tradurre come ‘tale e quale a suo padre’. Altri nomi stranieri sono presenti in nazionale: El Shaarawy è egiziano, ma gli egiziani non hanno un vero cognome (usano come tale il nome del padre, del nonno e del bisnonno): è un omaggio a Mohamed El Sharaawy, recente figura di spicco dell’Islam. Éder (accentato sulla prima sillaba) è il nome e non il cognome di Citadin Martins, datogli in omaggio a un altro calciatore, Éder Aleixo de Assis; se è ebraico vuol dire ‘gregge’ (ma in basco ‘bellissimo’).

 

Da toponimi, mestieri, soprannomi

 

Nel gruppo dei nazionali 2016 tre calciatori portano cognomi indicanti provenienza. Il primo è il rarissimo De Sciglio, con Sciglio microlocalità nel comune di Roccalumera (Messina). Il secondo è Motta, nome di luogo generico molto diffuso, che indica una barriera, un rialzo del terreno (ne deriva la parola smottamento). Il terzo è Candreva, d’origine albanese, dal greco Kandrébas, località in Arcadia.

I mestieri e le professioni sono un’altra categoria che forma molti cognomi italiani, ma tra i nostri nazionali troviamo solo Sturaro, ossia fabbricante o venditore di stuoie (equivalente a Storari); Parolo, che di per sé vale ‘paiolo’ (per indicare un cuoco, un artigiano?); oltre a Darmian, tipico cognome armeno che significa ‘fabbro’.

I derivati da soprannomi sono due. De Rossi: Rossi e Russo (che hanno il medesimo significato) sono il nº 1 e il nº 2 in Italia; il rosso segnalava capelli e barba rari in un mondo di bruni e biondi; inoltre poteva indicare il colorito della pelle (di un ammalato, un ubriaco, ecc.). Poi Zaza: e qui la sorte ha giocato un brutto scherzo, perché si tratta di una riduzione di zazzera (sì, quella dei capelluti...). Possiamo aggiungere il cognome pugliese Pellé, variante di Bellé, d’origine greca: non dovrebbe avere a che fare né con pelle né con bello.

 

Imposti a tavolino

 

Un tempo i trovatelli non avevano un cognome, poi a Napoli furono chiamati Esposito, quindi la legge obbligò a dare cognomi che non rivelassero le origini. E gli addetti si sbizzarrirono con voci altisonanti o curiose. Ecco la storia di Insigne e di Immobile, che da Napoli provengono e che, molto probabilmente, ebbero tra i loro avi un esposto.

 

 

Immagine: Gianluigi Buffon nel 2014

 

Crediti immagine: Puma [CC BY 3.0 (https://creativecommons.org/licenses/by/3.0)]