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Fabio Francione

Fabio Francione vive e lavora a Lodi. Scrive per «il manifesto». Si è occupato a vario titolo di Edmondo De Amicis, Emilio Salgari, Giovanni Testori, Franca Rame e Dario Fo, i Mondo Movie e Gualtiero Jacopetti, Andrea Camilleri, Franco Basaglia. Ha inoltre curato libri di Bernardo Bertolucci, Pier Paolo Pasolini, Antonio Gramsci, Gillo Pontecorvo oltre che la mostra del centenario di Paolo Grassi a Palazzo Reale e l’omonimo libro Paolo Grassi. Senza un pazzo come me, immodestamente un poeta dell’organizzazione. Per La nave di Teseo ha pubblicato, in occasione del bicentenario della nascita del suo autore, una nuova edizione de La Scienza in cucina e l’Arte di mangiar bene di Pellegrino Artusi. Per la stessa casa editrice sta curando L’arte di utilizzare gli avanzi della mensa di Olindo Guerrini.

Pubblicazioni
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Pasolini e la politica come battaglia culturale

 

L’unico modo di leggere Pier Paolo Pasolini è di fermarsi all’attimo prima di quel maledetto 2 novembre del 1975 e proprio in quell’istante che precede il barbaro assassinio, oggi a cento anni dalla sua nascita, c’è già tutto il Pasolini più conosciuto e altrettanto “sconosciuto”. Ma in molti, purtroppo non solo in passato, hanno corso e corrono il rischio di oltrepassare quell’attimo con il risultato di vedersi sbriciolare e ridurre, come scrisse Franco Cordelli, il poeta-regista friulano a vuoto “logo”. A un fantasma. Infatti, solitamente gli anniversari una volta passati si archiviano, per Pasolini no. Infatti, hanno faticato parecchio a spegnersi le eco delle celebrazioni dei vari anniversari succedutisi all’indomani della morte. Così è stato per i dieci, trenta, quaranta anni della morte. Ora che a celebrarsi è la nascita, questo ribaltamento di verso cosa procurerà nella comprensione della sua opera? Non c’è città, paese o borgo che non abbia il suo omaggio a Pasolini; c’è da chiedersi che cosa stia producendo questo ininterrotto susseguirsi di iniziative? Valeva ieri, vale oggi con il centenario del 5 marzo alle porte, peraltro con molte iniziative già entrate da alcune finestre aperte sulla sua multiforme e volitiva produzione. Di certo, alcune tenteranno di raccontare cosa oggi resta di Pasolini, altre, invece, si limiteranno a illustrare la bulimica e poliedrica attività letteraria, cinematografica, giornalistica.

 

Esiste un Pasolini nostro contemporaneo?

Per restare in misure facili a prelievi anche di osservatori poco attenti. E altrettanto certamente si porrà, sempre guardando la sua opera, il quesito di come azzerare la distanza temporale che separa il pensiero di Pasolini dai limiti della nostra contemporaneità? Dunque, esiste un Pasolini “nostro contemporaneo”? Come le sue parole, le sue intuizioni, le focali su cui il suo obliquo e poetico sguardo si posava possono interpretare il presente? Non sono interrogativi ai quali la lettura dei suoi romanzi, la declamazione di qualche poesia, nuove edizioni dei libri o la riproposizione dei suoi polemici corsivi e editoriali, mascherate da citazioni pret-à-porter, o ancora il suo cinema, a poterli rivolvere. Come non gli è bastato inventare un mondo, meglio dare un senso e un nome alle borgate romane, così percorse in lungo e largo, in un corpo a corpo che aveva – anche solo attraverso la finzione letteraria – un che di sfinente. Allorquando a offrirsi all'attualità può essere il pensare politicamente a istanze riferite, principalmente e in buona sostanza, al proprio essere e restare un comunista. Pur con tutte le contraddizioni che coabitavano e spartivano nel poeta tale sentire. Prontamente raccattate negli anni “zero” da una Destra sdoganata dal berlusconismo a caccia di padri nobili. E Pasolini non poteva esserlo, sebbene talvolta abbia cercato un dialogo con i fascisti più dialettico e di contrapposizione che sottoposto ad un vero confronto.

 

Le "armi" dell’artista

D'altronde le sue prese di posizione sono sempre improntate a puntellare con i chiodi della letteratura un'idea di società che non lo seguiva e che da poeta ingenuamente avvertiva ancor di poter possedere. Per l'appunto con le sole armi cui disponeva: le macchine da scrivere o da presa. Insufficienti a registrare gli accadimenti di quel tempo, semmai capaci di incorniciare momenti e non il tutto. Senza andare a scorrere quest’elenco, si è scelto di tracciare un succinto profilo politico andando a toccare alcuni aspetti della sua poetica vitalità più che temi “corsari” che lo videro isolato, anche tra i compagni e amici intellettuali e scrittori: le polemiche con Moravia e con Calvino negli anni Settanta a proposito delle prese di posizione contro l'aborto o la fallimentare campagna “processuale” contro la Dc. Pertanto, la sua politica è una battaglia culturale in cui a fronteggiarsi sono tradizione e modernità, forze del passato e pulsioni distruttive del progresso e tralasciando la disperazione dell'estremo Pasolini, compresso tra Salò, Petrolio, lo struggente Volgar'eloquio e gli ultimi scritti “luterani”, raccolti intorno al nucleo pedagogico di Gennariello, piccolo barlume di una possibile uscita dal cul de sac ideologico-consumistico in cui l'Italia si era andata ad infilare. Nonché dei tanti disegni letterari e trattamenti e soggetti cinematografici in progress, si nota in retrospettiva come ancora gli sopravviva il Pasolini viaggiatore e documentarista in bilico tra la delusione di vedere il mondo proletario italiano squagliarsi nella mutazione antropologica consumistica (La rabbia in doppia versione originale e “ricostruita”, Comizi d’amore) e il rifugiarsi nel cinema di poesia (la collaborazione con Totò della metà degli anni sessanta sviscerata negli episodi Cosa sono le nuvole, La terra vista dalla Luna, Totò al circo con una coda dedicata al Ninetto più sessantottesco e fantastico de La sequenza del fiore di carta), prima dei successivi ritrovamenti dei suoi “corpi” in quel terzo mondo a suo modo religiosamente paganizzato e mitizzato (Sopralluoghi in Palestina, Le mura di Sana’a, Appunti per un’Orestiade africana). Ma in mezzo c’è a farsi spazio prepotentemente invece il Pasolini che già sta pensando a Teorema (film e romanzo sulla spoliazione di un capitano d’industria milanese) e soprattutto al gigantesco e mostruoso magma narrativo di Petrolio (il doppio Carlo tycoon senza scrupoli d’una Italia troppo “nostra contemporanea”). C’è dunque il Pasolini che tenta di spiegare al mondo che il mondo stesso è mutato; l’antropologia consumistica ha disgregato valori mitici e popolari; la barbara ingenuità dei “riccetti” è sostituita dal potere dell’abbigliamento e dell’elettrodomestico.

 

L’atto politico del teatro

Ma, c’è una “terza via” per leggere oggi Pasolini ed è rappresentata dal teatro: atto politico per antonomasia, capace di rovesciare despoti e tiranni e di trasformare la lingua della tragedia in farsa e commedia. Considerato a torto minoritario nel novero delle produzioni del poeta-regista, è proprio il teatro, suo e derivato dalle sue opere, a suggerire percorsi e sentieri inediti da affrontare armati di un robusto bagaglio teorico e di una buona dose di spirito e rigore critico. Ma vi è un altro episodio misconosciuto che consente un ulteriore lettura politica del credo pasoliniano che sembra anticipare la sua migliore produzione, quella che press'a poco è avviata dai “romanzi delle borgate”, dal capolavoro de Le ceneri di Gramsci e arriva all'esordio cinematografico di inizio anni '60. Da lì in poi si fa strada in Pasolini una certa maniera. Pasolini ha circa 37 anni quando intraprende su commissione del rotocalco «Successo» un viaggio a bordo della sua auto, una berlina millecento, tutt’intorno alla penisola: da Ventimiglia a Trieste. Fu questo il suo “viaggio in Italia”, tracciato lungo una “strada di sabbia” sulla quale è molto più facile lasciare sì tracce, ma anche cancellarle. Sembra un Pasolini inedito, idilliaco per certi versi, felice nello scoprire luoghi e persone di un’Italia più letta che vissuta, nell’andirivieni da Nord a Sud. Ad essere visitate sono località balneari come Portofino, Forte dei Marmi, e giù fino a Ravello e a Ischia (assalita da cascami post-crepuscolari morettiani più che viscontiani), e risalendo l’Adriatico con soste a Rimini prima di arrivare alla Trieste “sottosopra” cara a molti. Eppure, sul finire di quegli anni Cinquanta, Pasolini ha già saggiato il cinema scrivendo sceneggiature, anche belle, più per sbarcare il lunario che per convinzione (almeno fino a quell’anno perché di lì a poco girerà, dopo il “gran rifiuto” di Fellini, Accattone, forse il suo film più bello ad ascoltare Moravia); Le ceneri di Gramsci lo consacrano, anche con premi importanti, definitivamente come poeta; i suoi romanzi e racconti violenti e di vita suscitano scandalo; comincia a partecipare al dibattito pubblico uscendo dai recinti, a lui già poco congeniali, dell’intellettuale votato allo studio e alla riflessione inclusiva sulla sua opera. Le foto che lo ritraggono in abiti quasi sempre professorali lasceranno il posto ad un abbigliamento più casual e modaiolo.

 

Lo spirito del tempo che cambia

Pasolini sa meglio e più di altri cavalcare lo spirito del tempo che cambia, nonostante gli lacrimino gli occhi per l’innocenza perduta. Da chi? Dall’Italia, dalla sua gente, dai suoi ragazzi? Oggi che altre mutazioni sembrano cogliere impreparata l’umanità non pare più vero accanirsi sulla radicalità della visione pasoliniana e le sue evidenti contraddizioni, se osservate con il cannocchiale a rovescio della storia e non “in salsa piccante”, ritrovano la loro primigenia carica di futuro e di profezia. Per iniziare nuovi discorsi. Insomma, cominciano in quel torno di anni anche i viaggi indiani e africani con lo scrittore di Agostino e de La noia, i sopralluoghi mediorientali per i film, e andando in avanti con gli anni il soggiorno americano in piena era hippie-beat e i tanti ritorni in oriente, destinati soprattutto alla realizzazione della Trilogia della vita. Insomma, s’affaccia allora  prepotente, e va sottolineata pubblica, quella “disperata vitalità” che porterà il poeta-regista friulano, fino al tragico e “incongruo” epilogo, per ciò che aveva in mente di scrivere, filmare e realizzare, della sua esistenza, a percorrere sentieri e strade – come piaceva dire a Giuseppe Bertolucci – della sociologia, antropologia, linguistica, della critica letteraria e cinematografica, del giornalismo, mentre praticava con la medesima intensità narrativa poesia regia cinematografica teatro (e in aggiunta sulle assi del palcoscenico ci provò anche da regista) e più clandestinamente pittura e disegno.

 

Immagini di e con Pasolini

Sul reportage pubblicato e sull’originale manoscritto della Lunga strada di sabbia, sul quale possono essere letti i tagli redazionali della rivista, ha lavorato molti anni dopo, sfruttando coincidenze inaspettate e incontri straordinari, Philippe Séclier. Il fotografo francese serializza il viaggio di Pasolini in una serie di immagini in bianco e nero che tentano di fissare – a posteriori e con la memoria tramandata dalle foto e dal cinema del tempo (scomodare il neorealismo nel ’59 quando già viveva il suo terzo se non quarto tempo può essere esercizio quanto mai lezioso) – sensazioni forse irripetibili. Qui le immagini sembrano suturare le ferite e profonde trasformazioni di un decennio con l’altro; il passaggio dagli anni Cinquanta ai Sessanta non fu indolore per la nazione. Anzi, le foto, a noi contemporanee e allo stesso tempo “a ritroso” di Séclier, sembrano ridefinite una vera Italia? Un'ultima risposta ed in logica continuità temporale la si può avere con le fotografie di scena scattate da Mario Dondero e Angelo Novi sul “set” di Comizi d’amore, il film-inchiesta sulla sessualità degli italiani realizzato da Pasolini nel 1963. Nell’osservare le sequenze, nello stupirsi nel riconoscere personaggi della levatura di Ungaretti, Musatti, Moravia (e sapere cosa risposero alle domande scomode sfrontate, forse ironicamente spudorate di Pasolini) così messi sullo stesso piano di scugnizzi e ragazzini di borgata in trasferta al mare, non si può non pensare che, dopotutto e ancora oggi, da quel litorale romano che ostinatamente cerca ancora di “non essere cattivo”, è cessato di esistere un uomo che aveva ancora da scrivere su ciò che il suo paese non poteva forse più offrirgli. Nemmeno da comunista.

 

Bibliografia consultata

Pier Paolo Pasolini, (a cura di Nico Naldini), Vita attraverso le lettere, Einaudi 1994

Carla Benedetti, Pasolini contro Calvino. Per una letteratura impura, Bollati Boringhieri 1998

Pier Paolo Pasolini, (a cura di Walter Siti e Silvia De Laude), Saggi sulla politica e la società, Merdiani Mondadori 1999

Giulio Sapelli, (a cura di Veronica Ronchi), Modernizzazione senza sviluppo. Il capitalismo secondo Pasolini, Bruno Mondandori 2005

Pier Paolo Pasolini, La Divina Mimesis, Oscar Mondadori 2006

Adalberto Baldoni, Gianni Borgna. Una lunga incomprensione. Pasolini fra Destra e Sinistra, Vallecchi 2010

Pier Paolo Pasolini, Un paese di temporali e primule, Guanda 1993 (nuova edizione con Introduzione di Nico Naldini, Corriere della sera 2015)

Pier Paolo Pasolini, Porcile, Garzanti 1973 (nuova edizione con Prefazione di Franco Cordelli, Corriere della sera, 2015

Pier Paolo Pasolini, (a cura di Riccardo Costantini), Polemica Politica Potere. Conversazioni con Gideon Bachmann, Chiarelettere 2015

Pier Paolo Pasolini, Poesie (con l'introduzione dell'autore), Garzanti 2015

Pier Paolo Pasolini, Volgar'eloquio, introduzione di Antonio Piromalli, nuova edizione a cura di Fabio Francione, FAP – Edizioni del Fondo Antonio Piromalli onlus 2015

Pasolini “sconosciuto”, (a cura di Fabio Francione), Falsopiano 2015

Gianni Borgna, (a cura e con un'introduzione di Carla Benedetti), Pasolini Integrale, Castelvecchi 2015

Marco Pannella, (a cura di Lanfranco Palazzolo), La rosa nel pugno, Kaos 2016

Fabio Francione, Tra il mito e la storia in Tutto Pasolini, (a cura di Piero Spila, Roberto Chiesi, Silvana Cirillo, Jean Gili), Gremese 2022.

 

 

Immagine: Pasolini davanti alla tomba di Gramsci, via Wikimedia Commons

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Spigolature sul carteggio artusiano

Il 12 novembre 2021 è stato un giorno importante per gli appassionati e gli studiosi de La Scienza in cucina e l'Arte di mangiar bene e del suo autore, Pellegrino Artusi (1820-1911). Finalmente è stato pubblicato on line da Casa Artusi l'atteso carteggio artusiano, depositato all’interno dell’Archivio della Biblioteca Comunale a lui titolata, che consta delle lettere che il gastronomo e scrittore romagnolo ricevette negli anni successivi all'uscita del suo libro maggiore. Ciò è stato realizzato grazie all'ostinata caparbietà di alcuni studiosi ed è il compimento, preventivamente inventariato e successivamente digitalizzato, di un lavoro di trascrizione durato anni e a più riprese da Alberto Capatti, Piero Camporesi e Franco Mambelli, a cui si sono aggiunte in tempi più recenti Giovanna Frosini e Monica Alba.

 

I fidi servitori e il Comune di Forlimpopoli

 

Queste ultime autrici con «Domestici scrittori» della prima uscita pubblica, tematica e monografica, del carteggio: la raccolta della corrispondenza intrattenuta da Artusi con i fidi servitori tuttofare, Francesco Ruffilli e Marietta Sabatini, a loro volta nominati eredi dei diritti del libro e di alcuni piccoli cespiti. Infatti, la maggior parte dell'eredità venne lasciata dallo scrittore al Comune di Forlimpopoli. In questo patrimonio vi erano pure le suddette lettere che Artusi teneva talmente in considerazione da segnarvi su anche la data di arrivo e dell'eventuale sua risposta. Proprio questo epistolario, contato in poco meno di duemila missive, consente di avere del lavoro di editing sul libro una sorta di corrispettivo sia delle richieste, suggerimenti e giudizio dei lettori sia di un vero e progressivo backstage: un dietro le quinte, estremamente costruttivo di come s'accresceva “La Scienza” di edizione in edizione, fino all'ultima del 1911, la quindicesima purtroppo diffusa postuma, seguita ancora da un Artusi quasi cieco vent'anni esatti dopo la pubblicazione a proprie spese della prima che contava 475 ricette rispetto alle 750 finali.

 

Una cartina interattiva

 

A questo punto è di notevole interesse appurare come la digitalizzazione dei documenti dia la possibilità di avere a disposizione più percorsi di lettura nel seguire sia la mera cronologia di arrivo della lettera, segnata da data e da un numero progressivo sia le spedizioni regione per regione. In questo caso l'utilizzo grafico di una cartina interattiva del Belpaese dà l'opportunità di capire qual è la provenienza dei mittenti e la natura delle loro richieste che non si fermavano al semplice acquisto in contrassegno del volume, ma che tendevano ad intrattenere una sorta di legame confidenziale con l'autore. Ad. es. per le isole: la Sardegna dal '900 al '906 ha solo 7 corrispondenti, dalla Sicilia invece le lettere sono 16. spedite tra il '906 e il '909. Quindi si chiarisce ancor più qual è stata, agli inizi, l'effettiva diffusione de “La Scienza” in Italia e il suo duraturo successo, che ne fa uno dei grandi long-seller dell'editoria italiana. Pertanto, questa è una delle evidenze che dà ragione ad Artusi e al suo presupposto di dotare finalmente tutte le famiglie italiane di un ricettario che rispecchiasse unitariamente anche in cucina, quella faticosissima unità politica raggiunta a caro prezzo nel 1861. Bontà della storia e delle sue imprevedibili coincidenze: una Unità d'Italia arrivata soltanto trent'anni prima della “Scienza” e cominciata a festeggiare come ricorrenza il 17 marzo del 1911. Artusi morì il 30 dello stesso mese.

 

Interlocutori abbienti

 

Ovviamente ci sono altre ragioni che emergono dalla lettura di queste lettere. Innanzitutto: il loro contenuto di informazioni utili alla biografia dello scrittore. Molteplici sono gli argomenti che queste lettere suggeriscono e se prelevati “a parte” possono indirizzare a nuove ed inedite interpretazioni critiche e filologiche. Come isolare il carteggio intrattenuto con il poeta e polemista Olindo Guerrini (a tal proposito, caso raro, si sono conservate le lettere inviate da Artusi) significa anche penetrare in un'altra officina creativa che di lì a poco produrrà un altro testo fondamentale nella storia della cucina: L'Arte di utilizzare gli avanzi della mensa (postumo, 1918), libro profondo debitore della “Scienza” e a sua volta – negli anni in cui Guerrini si dedicò alla sua stesura, ormai morto l'amico – creditore di alcune suggestioni, non ancora del tutto portate alla luce. Ma ad incuriosire sono anche le semplici lettere di persone comuni che però tradiscono una provenienza da ceti abbienti (altroché massaie e virginee sposine). Basta soltanto la disponibilità di denaro per l'acquisto del libro a dare la misura di quale spicchio di società italiana poteva permettersi di richiederlo. Era quella borghesia, soprattutto mercantile e alfabetizzata, nonché tutta una categoria impiegatizia nei gangli nevralgici dello Stato (ministeri, prefetture, caserme, scuole, ospedali), che andava sostituendosi nel ponte tra Otto e Novecento ad un'aristocrazia in decadenza o meglio in trasformazione, come spina dorsale economica del Paese, ancora prevalentemente agricolo, sebbene le scoperte scientifiche solleticavano quella modernità già appartenente a molti paesi europei e che molta letteratura, soprattutto d'appendice, cercava di raccontare e far assaggiare a palati anche poco ricercati.

 

Ricette, lettori e processo creativo

 

Lo sviluppo dei mezzi di comunicazione e di trasporto su ferro di merci e viaggiatori disegna a fine Ottocento una Nuova Italia. I movimenti politici e le prime lotte per i diritti dei lavoratori e per l'emancipazione femminile (che in Italia, nonostante la presenza di donne come Maria Montessori, Francesca Cabrini e di tante altre, arriverà in ritardo rispetto ai paesi europei più avanzati) lentamente picconano più che le differenze sociali, le distinzioni di genere. Il libro piace a uomini e a donne. Tutti ne fanno richiesta e tutti provano – lo dicono apertamente sia riuscendo sia fallendovi – le ricette riportate e quando possono dicono la loro sulle preparazioni, invitando l'autore a variarne gli ingredienti. Vi è dunque per la prima volta una partecipazione diretta del pubblico dei lettori al processo creativo. Una platea vasta ed eterogenea come si evince dal campione delle lettere sopravvissute. E “La Scienza” sembra raccogliere tra le sue righe tutte queste istanze e rivendicazioni. È il clandestino inizio di una rivoluzione dei costumi e Artusi ne è il filosofo e fino a dove il suo “manuale” la guida.

 

Immagine: Monumento funebre di Pellegrino Artusi nel cimitero di San Miniato al Monte

 

Crediti immagine: Italo Vagnetti, Public domain, via Wikimedia Commons