Lingua Italiana

Andrea Siano

Andrea Siano ha studiato pianoforte con Maria Antonietta Epifani e si è laureato con il massimo dei voti in Composizione presso il Conservatorio di Bari sotto la guida di Biagio Putignano, esperienza che gli ha permesso di eseguire i suoi pezzi in città come Milano, Bari, Lecce, Brindisi, Mola di Bari, Rovereto e Bergamo, anche in qualità di socio SIMC (Società Italiana di Musica Contemporanea). Nel 2019, vince il 1° premio al IV concorso nazionale di composizione “Note per una Stella” e nel 2020 riceve la menzione speciale alla V edizione del concorso internazionale di composizione SIMM – Nuove Musiche per Clavicembalo.

Pubblicazioni
/magazine/lingua_italiana/speciali/Beethoven/05_Siano.html

Beethoven, le donne, la musica

 

Le numerose notizie biografiche, la copiosa attività epistolare, le dediche delle sue opere testimoniano chiaramente quanto peso abbia avuto la sfera sentimentale nella vita del grande musicista. Nonostante ciò non si sposò mai, né gli si possono attribuire relazioni intime durature.

Com’era sovente all’epoca, pare che anche il giovane Beethoven abbia condotto una vita sessuale che pendeva fra Afrodite ed Eros: da un lato un amore quasi platonico e non corrisposto (rivolto alle ragazze delle classi più abbienti che respiravano il suo stesso ambiente culturale, particolarmente dei salotti viennesi), dall’altro la frequentazione di prostitute (almeno stando alla biografia di Martin Cooper).

Inoltre, l’insuccesso delle sue conquiste amorose fu determinato da almeno due fattori. Il primo, l’insicurezza derivata dal suo aspetto fisico: era di statura bassa, soffriva di astenia toracica e pare che avesse il volto rovinato da una leggera forma di vaiolo contratta da bambino. Per questo, egli puntava sulla presentabilità e sull’eleganza, si faceva confezionare abiti finissimi e prendeva lezioni di ballo. Il secondo motivo è che le donne a cui Beethoven rivolgeva le sue attenzioni spesso erano già impegnate o si ritrovava a non essere l’unico loro pretendente.  

Come per altri aspetti della vita e dell’opera dell’autore, anche per ricostruire i suoi amori sono di centrale importanza ed aiuto le dediche ai suoi lavori e le lettere. Queste ultime molto numerose; non male per una persona che ammetteva di non avere grande dimestichezza con la scrittura e che lo riconosceva pubblicamente: Io scrivo piuttosto 10000 note che una lettera dell’alfabeto (28 novembre 1820), Spesso ho la risposta già pronta in testa, tuttavia quando poi voglio metterla per iscritto, il più delle volte butto via la penna, perché non sono in grado di scrivere quello che sento (7 dicembre 1826), Sebbene anche io non Le scriva così spesso, sebbene Lei non mi veda mai, col pensiero le scrivo mille volte mille lettere (10 febbraio 1811).

 

Amori con dedica o dediche d’amore?

 

Tra i primi corteggiamenti che gli studiosi gli attribuiscono ci fu quello di Babette Keglevics, una sua giovane allieva. Buscaroli (2020: 344) nella sua biografia riferisce le parole del nipote della donna che descrive il Maestro ardentemente innamorato di lei (l’avrebbe continuata a corteggiare anche dopo il suo matrimonio) che, in maniera alquanto stravagante, «anda[va] a farle lezioni mattutine traversando la strada in vestaglia pantofole e berretto a punta». Alla contessa Keglevics, Beethoven dedicò i seguenti lavori: la Sonata per pianoforte n. 4 in mi bemolle maggiore op.7  – famosa per il suo Largo con grande espressione dove la scrittura pianistica dai forti contrasti dinamici sembra anticipare la timbrica orchestrale beethoveniana –, le 10 Variazioni per pianoforte in si bemolle maggiore sul tema La stessa, la stessissima WoO 73 dall’opera Falstaff di Antonio Salieri, pezzo in cui «la reverenza all’autore del tema s’intrecciava con la tenerezza sfrenata per la Babette dell’Opus 7, che gli amici a lungo chiamarono con quel nome, la più acerba delle spose bambine che passarono sulla tastiera» (Buscaroli 2020: 249), il Concerto n. 1 in Do maggiore per pianoforte, op.15 e le 6 Variazioni su un tema originale in Fa Maggiore, Op. 34.

Tante le donne che l’hanno seguita, di solito per poco tempo. Ne citiamo solo alcune: Eleonore Breuning, Magdalena Willmann (che lo rifiutò definendolo «brutto e mezzo matto»; Buscaroli 2020: 766), Giulietta Guicciardi (un’altra allieva andata presto sposa, per rispettare gli obblighi di ceto, alla quale fu dedicata la splendida e ora celeberrima Sonata per pianoforte n. 14 in do diesis minore Op. 27 n. 2, nota col nome di Al chiaro di luna), le sorelle Brunsvik, Thérèse e Joséphine (alle quali fu consacrata WoO 74 Ich denke dein, Variazioni in re maggiore per voce e pianoforte a 4 mani su testo di Goethe), Anna Maria von Erdödy (le dedicherà la Sonata per violoncello e pianoforte n. 4 in do maggiore op.102 n.1 la Sonata n. 5 in re maggiore op. 102 n. 2).

 

Il "caso" dell’Amata immortale

 

Paradossalmente, le lettere d’amore forse più famose di Beethoven, le tre dedicate all’Amata immortale, citate in articoli giornalistici, riviste, film, siti internet (al pari delle altrettanto note di Giuseppe Verdi a Emilia Morosini, James Joyce a Nora Barnacle, Franz Kafka a Milena Jesenkà, Giacomo Leopardi a Fanny Targioni Tozzetti, John Keats a Fanny Brawne, ecc.), mai spedite e ritrovate dopo la sua morte tra le sue carte, insieme al documento noto come Testamento di Heiligenstadt, sono ancora “senza destinataria”. 

Studiosi e biografi del Maestro hanno avanzato numerose ipotesi (Giulietta Guicciardi, Joséphine von Brunsvik, Bettina Brentano), tanto da far dire a Buscaroli (2020: 765) che la questione è diventata lungo i decenni «una specie d’indovinello, un concorso a premi»: di fatto a tutt’oggi la partita non è chiusa e il nome che si nasconde dietro questo senhal non è certo, nessuna delle Alternativen mette d’accordo tutti. Ad intorbidire ulteriormente le acque, c’è poi il mistero del piccolo ritratto ritrovato accanto al manoscritto che non corrisponderebbe a nessuna delle ipotesi più accreditate (è stato anche steso un leporello delle donne che avrebbero donato un ritratto a Beethoven: ben diciotto, e l’elenco non sarebbe neanche esaustivo). Quel che è certo è che le lettere sono di una bellezza struggente. In particolare continue anafore (soprattutto di pronomi personali e aggettivi possessivi), anche articolate in parallelismi e climax ci danno l’idea del trasporto con cui sono state scritte: mio angelo, mio tutto, mio io (è l’incipit della prima); l’amore esige tutto e ben a ragione, così è di me per te, di te per me; oh, dovunque io sia, tu sei con me; l’explicit splendido eternamente tuo eternamente mia eternamente nostri; così come pure le espressioni iperboliche (non è una creazione del Cielo il nostro amore? – e, quel che più conta, altrettanto salda che il firmamento celeste?) e antitetiche (Il tuo amore ha fatto di me il più felice e il più infelice dei mortali).

All’enigma beethoveniano è stato consacrato nel 1994 anche un biopic, Immortal beloved (Amata immortale in italiano), di Bernard Rose, regista non nuovo a soggetti musicali (è suo Il violinista del diavolo, film biografico su Niccolò Paganini) incentrato proprio sulla ricerca post mortem, da parte del segretario ed amico che vuol farne rispettare le ultime volontà, della misteriosa donna. Nel film si trova una soluzione che nella realtà gli studiosi, come si è detto, ancora non hanno trovato.

 

Suggerimenti di lettura

Buscaroli 2020 = P. Buscaroli, Beethoven, Milano, Mondadori.

Cooper 2000 = B. Cooper, Beethoven, Oxford, University Press.

 

I testi delle lettere sono tratti dal sito https://www.lvbeethoven.it (in cui vengono utilizzate tre diverse edizioni (quelle di Kastner 1923, Anderson 1968, Brandenburg 1996-, di cui sono comparsi nel 1999-2005, col titolo Ludwig van Beethoven. Epistolario, i primi cinque volumi anche in Italia, a cura dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia [Skira, Milano] con traduzione in italiano di L. Della Croce. Oggi l’opera è completa, in sei volumi seguiti dagli indici).

 

Immagine: Beethoven's Vision

 

Crediti immagine: Rudolf Hausleithner (1840–1918), Public domain, attraverso Wikimedia Commons