24 febbraio 2010

Ho sempre saputo che il termine “orecchio” ha il plurale “orecchie” da usarsi solo in riferimento agli animali, mentre per l’uomo si dovrebbe sempre usare “orecchi”. Perché trovo largamente usato nella lingua parlata e scritta “orecchie” in riferimento all’uomo? Nel vocabolario Treccani trovo gli esempi: “stare in orecchi”, “chi ha orecchi da intendere”, “avere gli orecchi buoni”, ecc. Più avanti al punto 3 si dice: “Di animali, “o. acuti”, “o. lunghi” (e più spesso “orecchie lunghe”). È indifferente l’uso oppure quest’ultimo esempio legittima a usare “orecchie” solo per animali e non per l’uomo?

In realtà, non v’è nessuna differenza di significato tra le coppie orecchio / orecchiaorecchi / orecchie. Va detto che nell’antichità il singolare orecchia (regolare sviluppo del latino AURĬCULAM) venne percepito come un plurale (le orecchia). È da orecchia plurale che fu ricavato quindi un singolare maschile orecchio, sul modello di uovo-uova. In seguito, le forze della regolarizzazione analogica – che tanto peso da sempre hanno nella creazione di forme, vocaboli e significati nuovi – tornarono ad agire in altra direzione, determinando la nascita del plurale maschile orecchi, sentito come più regolare abbinamento di orecchio. Così, senza troppa logica matematica, ma con una innegabile coerenza di spinte e attrazioni analogiche, la lingua italiana ospita oggi questo sistema di coppie sostanzialmente equivalenti, che non prevede differenze semantiche dipendenti dalla distinzione tra umano e non umano.


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