Annarita Saraceni

Questa domanda, più da enciclopedia del sapere che da dizionario di lingua, permette comunque di vedere all'opera uno dei meccanismi di allargamento e redistribuzione semantica più attivi nel sistema lingua: l'analogia. Intanto sgomberiamo subito il campo dalle eventuali curiosità di ordine etimologico: il nome della pianta erbacea i cui frutti aromatici sono da molto tempo e a tutt'oggi adoperati per insaporire preparazioni gastronomiche - nome identico a quello del dischetto di carta colorato che in gran copia viene gettato durante i giorni di Carnevale - deriva dal latino coriăndru(m), a sua volta tratto dal greco koríandron, di etimo preindoeuropeo non meglio chiarito. Insomma, la curiosità sulle origini remote del termine resta inappagata. Decisamente di più sappiamo sulla storia di coriandolo 'dischetto di carta', una storia che rientra in quel grande capitolo della lessicologia fatto di "nomi e cose", per dirla col Migliorini. Giovanvettorio Soderini (Firenze, 1526-1597) testimonia, sul finire del XVI secolo, il consumo di confetti fatti ricoprendo di zucchero i semi di coriandolo ("cuopronsi i coriandoli di zucchero per confetti"). Facile capire il procedimento analogico che ha portato a denominare coriandoli "certe pallottoline di gesso, che si fabbricano a posta in alcune città d'Italia, da gittarsi addosso per sollazzo nelle feste di carnevale", riprendendo la spiegazione ottocentesca del Tommaseo-Bellini: simili per forma e per colore ai coriandoli commestibili dei tempi più antichi, i coriandoli moderni perdono il proprio contenuto semanticamente motivante ma ne prendono la denominazione. Nella seconda metà del XIX secolo (nel 1875, secondo il Migliorini) si assiste a un'altra trasformazione, in virtù della quale i coriandoli diventano grosso modo quelli che conosciamo oggi. Lo testimonia Alfredo Panzini (Senigallia, Ancona, 1863 - Roma, 1939) nella prima edizione del suo Dizionario moderno (1905). Secondo l'eclettico e colto poligrafo, "i coriandoli di carta [...] furono una trovata di certo Mangilli di Crescenzago (Milano), traendo profitto dei dischetti che risultavano dalle carte forate pei bachi. Sostituirono il gesso e la terra dei tramontati carnevali ambrosiani, e i confetti usati anteriormente".