Alla gentile lettrice che ci contesta un “tragico errore”, rispondiamo che il “Dizionario dei sinonimi e contrari” (da qui parte la denuncia) non è un dizionario della lingua italiana, non ha l’obiettivo di dare definizioni articolate delle parole ma, data una parola capostipite, messa a lemma, si occupa di legarle tra di loro, in base a determinate relazioni di vicinanza e lontananza di significato. Pertanto, presenta in rapida successione parole o locuzioni sinonime, analoghe, contrarie, iperonime, iponime rispetto alla parola a lemma. Vi sono anche rappresentate, per chiarezza, le principali accezioni: ma molto stringate. Nel caso di “diverso” sostantivo, si scrive: “chi è considerato da altri, o considera sé stesso, non conforme a una presunta normalità, in fatto di razza, propensioni sessuali, condizioni fisiche, ecc.”. Il “Dizionario”, come deve fare un dizionario che si rispetti, prima di dare conto di quello che secoli di lingua hanno depositato nell’uso e nella tradizione lessicale rispetto a “diverso”, indica chiaramente con quali cautele bisogna avvicinarsi alle parole che si succederanno a raffica (come accade in tutti i dizionari dei sinonimi, generando un certo inevitabile effetto shock).

“Diverso” NON è parola che indichi chi è “diverso” per chissà quale legge di natura assoluta certificata dal dizionario ma è parola che indica “chi è considerato […] non conforme a una presunta normalità”. Vale a dire: c’è un modo di pensare che ha collocato, nel corso dei secoli, ai margini della società delle persone perché erano percepite (e magari giudicate, e pertanto perfino sbeffeggiate o stigmatizzate) come differenti rispetto a un canone di normalità, che – segnala il dizionario – non è reale ma presunto (questo aggettivo segna la presa di distanza del Dizionario). La lingua riflette una visione del mondo e delle relazioni umane; se la visione è turpe, le parole saranno in vario modo turpi. Una visione del mondo che, attraverso le parole, con l’uso eufemistico (come segnalato puntualmente dal dizionario), cioè ipocrita, della parola “diverso” indica precisamente la sostanza di un giudizio negativo che, fuori di eufemismo, si tradurrebbe proprio (se gli ipocriti si assumessero la responsabilità di quel che pensano, invece di suggerirlo ammiccando) nelle parole che seguono: brutte, sporche e cattive, certo, perché sono le parole nude e crude nascoste sotto l’uso eufemistico di “diverso”. Ma qui il dizionario, pur nella necessaria sintesi, parla chiaro a chi legge, annotando tra parentesi in corsivo il livello di lingua di ciascuna parola: volg.[are], spreg.[iativo], ecc. Chi legge deve essere messo al corrente delle caratteristiche comunicative e culturali che quelle parole portano con/in sé. E avrà la possibilità di comprendere e di scegliere. Un giovane, per esempio, deve sapere che certe parole hanno portato e, purtroppo, portano ancora con sé il peso di visioni del mondo deprecabili. La conoscenza non può fare paura, la conoscenza è una risorsa. In una classe di scuola (in presenza o a distanza), l’analisi di queste parole (e di tutte le parole, naturalmente) può essere uno straordinario strumento per approfondire la storia, la società, i temi dei diritti, dei doveri, della cittadinanza di tutti gli esseri umani che vivono nel nostro Paese. Un dizionario “educativo” dovrebbe spaventare chiunque; uno strumento che registra quanto è presente nel patrimonio lessicale di una lingua dovrebbe permettere agli educatori in carne e ossa (genitori, insegnanti, formatori) di esercitare il proprio ruolo a partire dalla realtà che nel dizionario è rappresentata, criticandola e contestandola, se è il caso (e in più d’una circostanza, naturalmente, è il caso).