Il linguaggio è un'arma potentissima e, così come riflette il discorso (foucaltiano) di un intero Paese, a sua volta lo determina. Vi invito a valutare il sessismo che caratterizza la voce "donna". Tra i suoi sinonimi sono annoverate espressioni quali: buona donna, donna da marciapiede, donna di casa. La gravità della questione emerge se si esegue un confronto con i sinonimi che caratterizzano esclusivamente il termine "uomo": uomo di chiesa, uomo di lettere, uomo di scienza, uomo di fatica, uomo di legge, uomo d'affari e uomo d'onore. Non esistono ruoli o compiti che pertengono al sesso, non esiste sesso che implica un ruolo o un'inclinazione; se non correggiamo il linguaggio, non aboliremo mai il sistema patriarcale in cui si annida il sessismo. Si tratta di un piccolo passo, ma determinante per la battaglia femminista di noi tutti. "Language shapes the way we think and determines what we can think about." (Benjamin Lee Wharf)

Vorreste gentilmente sottoporre ai Vostri esperti una revisione al 2020, direi dovuta, del termine "donna" e delle relative accezioni? Per permettere una riflessione sul punto, Vi allego un collage che confronta il termine "uomo" e "donna" pubblicati dal Vostro "Portale del Sapere". Auspicando una (necessaria) revisione, saluto cordialmente.

Leggo la notizia relativa alla voce “donna” nel dizionario Oxford, che apertamente sessista, Maria Beatrice Giovanardi con la sua iniziativa ha indotto a cambiare.

Incredula, mi son presa la briga di guardare il vostro “nostro” sempre prezioso e fino ad oggi amato Treccani on line. Con grande sorpresa, alla voce DONNA nei SINONIMI (sottolineo SINONIMI) trovo 4 accezioni di “donna”, che occupano alcune righe, piuttosto sintetiche. C’è poi una estesissima descrizione di tutte le varianti dialettali o desuete o regionali o altro del termine “BUONA DONNA”, (come se fosse un SINONIMO ...). Questa parte occupa oltre la metà dello spazio dedicato alla voce DONNA/sinonimi. Non credo sia necessario aggiungere altro.

Sono certa che potrete fare qualcosa per correggere la – diciamo – imprecisione o svista.

*  *  *

Abbiamo ricevuto, negli ultimi giorni, da alcune lettrici, delle rimostranze a proposito del modo in cui la parola donna è stata trattata nei vocabolari on line messi a disposizione dall’Istituto della Enciclopedia Italiana. In particolare, ci si riferisce alla voce donna presente nei Sinonimi e contrari, ma c’è anche chi ha messo in parallelo la fraseologia relativa a uomo e quella relativa a donna, ciascuna riportata nella relativa trattazione sotto la voce omonima.

La questione del trattamento di voci sensibili come donna o dell’accettazione di forme sessuate e non discriminatorie verso le donne di nomi di professione è sempre stata soggetta all’attenzione delle nostre lettrici e anche dei nostri lettori. Tuttavia il flusso epistolare più cospicuo ha un’origine certa non soltanto nella notizia dell’accoglimento da parte del prestigioso Oxford Dictionary della petizione “Change Oxford Dictionary’s Sexist Definition of ‘Woman'" lanciata nel giugno del 2019 dalla nostra connazionale Maria Beatrice Giovanardi, che ha raccolto 35.000 firme e portato il dizionario a modificare in senso non sessista la voce woman, ma anche nell’iniziativa conseguente, da parte di Giovanardi, di rivolgersi al mondo della lessicografia italiana, stimolando l’invio da parte di lettrici e utenti di richieste mirate di intervento nelle opere in cui ravvedessero modi sessisti nel trattamento della parola donna, in primo luogo nella relativa voce.

Maria Beatrice Giovanardi stessa ha inviato alla Treccani una lettera in cui stigmatizza l’accoglimento, nei Sinonimi e contrari on line, di numerose parole considerabili lesive della dignità della donna: «I sinonimi di “donna” suddetti, nonostante vi siano spiegati gli usi (fam., spreg., volg., etc.), sono da considerare sessisti, offensivi e umilianti, quindi, non solo inadatti a rappresentare correttamente la “donna” ma utili a perpetuare una cultura maschilista e misogina, contribuendo alla considerazione della donna come oggetto». Inoltre, Giovanardi, visto che «Il linguaggio è una delle forme di espressione con maggiori impatti sociali e psicologici», sembra istituire un collegamento di causa-effetto tra l’impatto dei sinonimi di donna contenuti nei Sinonimi e contrari on line e l’aumento costante di violenza verbale (anche on line) e fisica a carico delle donne. La richiesta finale è: «rimuovere i riferimenti sessisti e offensivi dal vostro Dizionario dei sinonimi al fine di contribuire alla costruzione e diffusione di una cultura più inclusiva e pacifica».

Nel portale Treccani.it sono numerose le testimonianze di un intervento sempre attento alla questione dell’uso non discriminatorio della lingua italiana (interventi specifici di Valeria Della Valle, coordinatrice della più recente edizione cartacea del Vocabolario della Treccani, integralmente recepito on line; Cecilia Robustelli (anche qui); speciali dedicati al tema). Ha scritto proprio nelle nostre pagine Cecilia Robustelli, la linguista italiana più presente nel dibattito teorico e nell’attività di supporto alla pubblica amministrazione nella creazione di linee guida per un uso non sessita della lingua: «L’italiano attuale testimonia molti tentativi di eliminare tutti quegli usi della lingua che possono dare della donna un’immagine negativa, come provano i numerosi convegni e corsi di formazione finalizzati a richiamare i parlanti a una maggiore consapevolezza del potere simbolico del linguaggio. La situazione è in movimento, ma il piatto della bilancia che la tradizione aveva appesantito di usi linguistici sessisti si va lentamente alleggerendo». Un bilancio cauto ma positivo.

Infatti, molto resta da fare, ne siamo consapevoli. Per parte nostra, cerchiamo di «contribuire alla costruzione e diffusione di una cultura più inclusiva e pacifica» (Giovanardi): si veda, a proposito di comportamenti violenti on line, questo speciale sullo hate speech, curato da Federico Faloppa.

C’è però un problema che riguarda il senso e il contenuto del lavoro lessicografico. Può un vocabolario intervenire decidendo di escludere dal proprio lemmario (o dalla trattazione distesa che si può fare in questa o quella voce) parole scomode, espressioni offensive, usi che rispecchiano modi di pensare non condivisibili? Se il Vocabolario Treccani.it registra il lemma nàpoli, definendolo «region.(ale), spreg.(iativo) Designazione e appellativo ingiurioso, usato talvolta per designare i napoletani o, più generalm., un meridionale immigrato nel Nord d’Italia», vuol dire che Treccani intende insultare Napoli e chi è nato e/o vive a Napoli? Se alla voce finòcchio, accezione 3 a. fig[urato] volg.[are], troviamo scritto «omosessuale maschio», dobbiamo pensare che il Treccani.it disprezzi gli omosessuali maschi e che intenda metterli alla gogna e oltraggiarli?

No, dobbiamo pensare che – come per ogni dizionario della lingua italiana che faccia bene il suo mestiere – questa accezione di finocchio debba essere rappresentata, in quanto effettivamente presente nell’uso vivo della lingua. Il Treccani.it, peraltro – come tutti i seri dizionari –, offre a chi legge la chiara decodifica del livello di lingua che caratterizza la parola: volgare. Tale tipo di indicazione non è marginale, è fondamentale per caratterizzare l’àmbito degli usi della parola. Chi adopera un dizionario deve fare attenzione a questo tipo di indicatori, perché fanno parte del tipo di servizio non soltanto tecnico ma propriamente culturale che una lettrice e un lettore devono attendersi e, in un certo senso, devono pretendere che siano presenti nel dizionario.

Avevamo già scritto, a proposito di questa delicatissima ma fondamentale questione (lo statuto del lavoro lessicografico) – e perdonate l’autocitazione –: «In quanto fruitore di un dizionario, dovrei pretendere di trovare registrato il lessico della lingua italiana nella sua estrema varietà e stratificazione: dall’alto al basso, dal formale all’informale, dal letterario al parlato, dal forbito al volgare, dall’antico (arcaismo) al moderno e contemporaneo (neologismo), dal panitaliano (diffuso in tutt’Italia) al regionale o dialettale. Il dizionario assume di rappresentare il patrimonio lessicale nelle sue difformi componenti. Io, lettore, troverò la seria definizione di ciò che il singolo elemento lessicale significa e indicazioni utili per capirne le caratteristiche d’uso. Il dizionario non seleziona il lessico in base a giudizi o pregiudizi morali. Come è da rigettare l’idea di uno Stato etico, così è da rifiutare quella di un “dizionario etico”. Se la società e la cultura esprimono negatività attraverso le parole, un dizionario non può rifiutarsi di documentarle».

Nell’ottobre del 2019, nel settimanale «Sette» del «Corriere della sera», in seguito alla notizia del buon esito della petizione promossa da Giovanardi e a proposito dei compiti del dizionario di lingua italiana, Giuseppe Antonelli ha scritto (il grassetto è nostro): «In rete circola da tempo un confronto tra i diversi significati di coppie di parole come cortigiano e cortigiana, ma lo squilibrio è evidentissimo anche se si guarda ad alterati come ometto e donnetta: il primo si riferisce a un bambino già grande, il secondo a una donna di poco valore. Ha commentato in proposito Luca Serianni: “La lingua cambia più lentamente del costume”. La domanda è appunto: come si può rendere questo processo meno lento? E qui si arriva alla questione dei vocabolari. Questi usi stratificati nel tempo devono essere censurati in quanto non più rispondenti alla nostra sensibilità collettiva o registrati perché ancora vivi in alcuni impieghi della lingua? Da una parte è vero che il vocabolario non ha una funzione pedagogica, ma notarile; dall’altra, riportare questi usi in un vocabolario rischia di diventare un modo per avallarli se non per diffonderli. La soluzione sta nell’esplicita presa di distanza che ogni vocabolario dovrebbe assumere rispetto a usi marcati in senso volgare, offensivo o lesivo dei diritti e della dignità di chiunque».

Ecco allora che “bagascia”, “badaiera”, “baldracca”, “battona”, “bella di notte”, “cagna”,

“donnaccia”, “cortigiana”, “donnina allegra” – e via di séguito con la sfilza impressionante di appellativi relativi a donna raccolti nel repertorio dei Sinonimi e contrari – si rivelano per quello che sono: ciascuna parola, chiaramente marcata dall’indicazione del livello di lingua (volgare, spregiativo, eufemistico, con l’aggiunta di altri indicatori come regionale, letterario, disusato, non comune, ecc.) è un sostantivo o locuzione che mostra di non essere neutro e quindi da accettare per una sua presunta oggettività così come lo riporta il dizionario, o, addirittura da consigliare, ma è un vocabolo o locuzione carico di connotazioni negative, usato (da coloro che malauguratamente lo usano) con intento spregiativo. Quindi: il dizionario registra la parola, perché la parola è effettivamente usata o è presente nella tradizione scritta, anche letteraria, e fa parte del patrimonio lessicale italiano; ma indica anche chiaramente di quale pasta questa parola è fatta, diciamo così.

Il dizionario ci fa sapere qual è la realtà del nostro lessico. Noi, come parlanti, persone civili, cittadini, donne e uomini, forti di tale conoscenza, ci adopereremo per usarlo (o non usarlo) nei più corretti e civili dei modi, se ne saremo capaci. Il male non sta nel prendere atto che essa esiste, ma nella eventuale decisione di usarla. E se un senso comune infarcito di maschilismo si mostra sin da quando si muovono i primi passi nella società (dalla famiglia alla scuola), vorremmo dire che qui sta il punto cruciale della faccenda. Se, come scrive Giuseppe Antonelli nell’articolo già citato, la realtà è che «La misoginia, d’altra parte, pervade la lingua italiana fin dalle sue origini», pensiamo che, per esempio, una insegnante o un insegnante di italiano possa far fruttare in classe (o con la classe: oggi che purtroppo si è costretti spesso a fare ricorso alla DAD) la lettura proprio di una voce di dizionario come quella messa sotto la lente critica d’ingrandimento da Giovanardi e da altre persone: a partire dalla presa d’atto di una (radicata) realtà, la lettura può trasformarsi immediatamente in una lezione non tanto e non solo di lingua, ma di storia (sociale, culturale) dell’italiano (lingua) e delle italiane e degli italiani, il primo riflesso della mentalità per secoli (e in parte ancor oggi) dominante tra i secondi (anche tra non poche donne). Prendere coscienza di una data situazione è un modo per predisporsi (se se ne ha la volontà e se ne assume l’obiettivo) a intervenirvi. Cancellare, semplicemente, i dati di quella situazione non sembra il modo più fertile di far crescere una comune coscienza non solo non sessista ma, più in generale, non discriminatoria, verso chiunque.

Naturalmente, l’iniziativa di Maria Beatrice Giovanardi, che ringraziamo per la sua lettera, così come ringraziamo le persone che hanno rilanciato la richiesta specificamente a noi rivolta, ci pungola a rivedere con attenzione quanto abbiamo scritto e andiamo pubblicamente proponendo attraverso diversi strumenti e canali, tra cui i nostri repertori lessicografici. Cogliamo senz’altro la sollecitazione critica nel senso di rivedere con attenzione quanto abbiamo fatto finora e di mettere con più chiarezza in rilievo la presa di distanza dalle parole che pure, per dovere, come abbiamo cercato di chiarire, è nostro compito registrare. Starà poi alla coscienza personale di ciascuno valutare se esistano contesti e situazioni in cui, nell’attuale società, adoperare certe parole sia una dimostrazione di intelligenza e di civiltà.