Mariarosa Bricchi

La lingua è un’orchestra.

Piccola grammatica per traduttori (e scriventi)

Milano, il Saggiatore, 2018

La prospettiva che ci offre Mariarosa Bricchi, con il suo importante contributo orientato a fare chiarezza nell’oscura selva dell’italiano (italiano dell’uso medio, o italiano neo-standard, italiano senza aggettivi o italiano normale), è sicuramente inusuale, quanto meno per il modo di trattare la materia e per il garbato atteggiamento “orizzontale” di chi non intende insegnare dall’alto, in modo “verticale”, ma contribuire alla formazione di uno dei pilastri della conoscenza: la consapevolezza.

Intanto il titolo, La lingua è un’orchestra, ci indirizza verso la lingua  precisa di cui si occupa questa Piccola grammatica per traduttori (e scriventi), cioè una lingua plurale, polifonica, plurivocale, corale, perché «l’italiano non è uno, ma tanti».

Prendere atto della complessità della nostra lingua significa anche comprendere appieno la metafora dell’orchestra, partendo dal presupposto che «Le varietà dell’italiano hanno […] a che fare con la storia […], con la geografia […]; con lo strato, o gruppo sociale e culturale di chi usa la lingua […]; con la situazione comunicativa nella quale la lingua viene usata […]. E con il canale […]: allo scritto e al parlato si affiancano oggi quelle che sono state definite le varietà trasmesse, cioè il parlato a distanza (radio, televisione, telefono, skype) e lo scritto del social media» (p. 24).

Mariarosa Bricchi, oltre che storica della lingua italiana ed editor, è esperta di prosa letteraria dell’Ottocento e del Novecento e di lingua delle traduzioni. Le questioni della grammatica italiana sono esemplificate – con grande accuratezza –, attraverso brani di scrittori italiani dall’Ottocento fino ai nostri giorni, costruendo una sorta di «grammatica in pratica, cioè un continuo confronto con chi, l’italiano, lo ha scritto bene» (p.13).

Si tratta di un aspetto rilevante, un elemento che arricchisce questo manuale, un po’ perché si dimostra costantemente che si può imparare da tutta la sostanza formata dalla lingua – il discorso letterario è probabilmente un punto di osservazione privilegiato –, non solo applicando le pur utili regole delle grammatiche o attraverso lo studio dei lemmi dei vocabolari («senza i quali la vita perde colore»: altra perla preziosa il capitolo IV, ottima guida all’uso e alla conoscenza di dizionari e vocabolari). La lingua letteraria, oggi, non è più una lingua distante, scritta e compresa da pochi eletti («“17 milioni di analfabeti e 5 milioni di arcadi”: questa era l’Italia appena unificata in una celebre definizione dello storico Pasquale Villari», p. 22); anzi non è nemmeno più una lingua monolitica: è una lingua che si muove e si evolve in continuazione, si nutre dei contesti in cui cresce, «assimila registri e linguaggi da una miriade di fonti disparate. Questa situazione, che lo studioso russo Michail Bachtin ha definito pluridiscorsività, mette a frutto, sul piano letterario, la molteplicità che è propria di ogni lingua. Italiano incluso […]» (p. 27)

La lingua è un’orchestra mette a disposizione utilissimi strumenti a un tipo di scrivente (non solo al traduttore) che vuole capire, conoscere come è fatto l’italiano che parla, perché si è trasformato e in che modo sono mutate le sue strutture.

A dispetto del sottotitolo, come già sottolineato, questo manuale si propone più come una guida piuttosto che come una ingessata grammatica. Senza inutili snobismi, l’italiano o lo domini o ti domina, non c’è verso. «Possediamo oggi una lingua plastica e adulta, che è bene e bello maneggiare con consapevolezza» (Introduzione). Una lingua complessa in cui l’errore, di cui si indagano ragioni e radici, viene qui sdrammatizzato, per lasciare spazio all’analisi e all’approfondimento. Come, per esempio, l’uso scorretto o, peggio ancora, l’abuso del congiuntivo, cui viene dedicato un intero capitolo, il VI: L’italiano è ammalato (non grave) di congiuntivite. Anche qui la prospettiva è felice: l’autrice ci fa comprendere, che, al di là degli annunci drammatici della morte o della rinascita del congiuntivo, il problema vero non è tanto la carenza quanto l’eccesso di congiuntivo: troppo, quindi, non troppo poco. Ci sono regole, talvolta disattese, per il corretto uso del congiuntivo ma la paura di macchiarsi con l’infamia di non sapere usare il modo che, a detta di molti, misura la temperatura del «ben parlare», porta ad effetti ben più pericolosi. Gli esempi abbondano (purtroppo) in tanti contesti, anche insospettabili. In un opuscolo ministeriale, pubblicato in occasione degli Stati generali della lingua italiana del mondo 2016, si legge (il corsivo è dell’autrice): «La lingua italiana è infatti la seconda più utilizzata nel panorama delle insegne commerciali in tutto il mondo […]. Questo dimostra che, soprattutto in alcuni paesi, l’italiano sia considerato una lingua che piace e fa tendenza …» (p. 168).

Probabilmente figlia anch’essa del complesso di inferiorità di alcuni parlanti, un’altra malattia si estende a macchia d’olio: «Parlare artificiale» (cap. V). «Parlare affettato è un vizio con due facce: ci sono le scelte pompose e impennacchiate di chi, credendo di innalzare il registro, in verità lo abbassa, denunciando null’altro che insicurezza e disagio; e le parole della burocrazia, polverosi materiali di quel deposito che Italo Calvino ha battezzato antilingua» (p. 131)

In questo volume, l’autrice si sforza in continuazione di sottolineare quanto sia necessario pensare all’universo della grammatica non solo come un mondo bianco o nero, giusto o sbagliato, dove l’errore non può solo essere segnato in rosso, ma deve essere compreso, spiegato e talvolta tollerato.

«Tutti i parlanti acquisiscono la lingua materna per diritto di nascita. Ma accanto all’aspetto del diritto, c’è quello, anche più interessante, del dovere. Le risorse comuni – culturali, naturali, ambientali – vanno rispettate e tutelate. Così anche la lingua: parlare e scrivere bene, cioè comunicare in modo chiaro ed efficace; e capire correttamente i discorsi degli altri, anche quelli complessi, sono competenze che si sviluppano e si affinano» (p. 14).