(a cura di) Giuliano Battiston e Giulio Marcon

La sinistra che verrà. Le parole chiave per cambiare

Roma, Minimum fax, 2018

Che cosa hanno in comune capitalismo, cooperazione, decrescita, democrazia, disuguaglianza, ecologia, Europa, femminismo, giustizia, globalizzazione, lavoro, libertà, migrazioni, movimenti, pace, politica, precariato, produzione, reddito di base, sud, terra e welfare?

In questo libro rappresentano i lemmi individuati come punto di partenza per affrontare una riflessione collettiva sulle parole utili a comporre (o a ricomporre) un linguaggio che si presti alla ridefinizione di «una cultura politica che deve essere aggiornata e ricostruita. E a questa si deve accompagnare un lessico nuovo. Perché le parole contano» (Giulio Marcon, Introduzione, p. 14).

Le parole contano anche quando riescono a creare quell’effetto di straniamento utile a stimolare un atteggiamento critico e analitico, talvolta narcotizzato dall’abuso di certi termini.

Le parole non sono solo «veicoli del pensiero e strumenti di azione. Non solo descrivono il mondo, ma contribuiscono a trasformarlo […]. Proprio perché il linguaggio è l’uso che ne facciamo, e da quest’uso deriva il modo di intendere il mondo e la possibilità di trasformarlo, ogni tanto è utile una manutenzione straordinaria delle parole. È quello che ci siamo proposti di fare con questo libro a più voci: togliere la patina depositata su alcune parole, tornare a riempire di significati puntuali quelle che sono diventate gusci lessicali vuoti» (Giuliano Battiston, p. 244-45).

Le 22 voci raccolte nel volume La sinistra che verrà, elaborate da altrettanti autori (docenti, giornalisti, sociologi) con la curatela di Giuliano Battiston e Giulio Marcon, sono indicate nel sottotitolo come le Parole chiave per cambiare. Un saggio polifonico con al centro lo sforzo di gettare nuova luce in un panorama in cui, per forza di cose, anche i significati di alcune parole usurate sono mutati insieme con i mutamenti epocali degli ultimi decenni.

Gli autori dei lemmi hanno in comune un contesto ideologico (la sinistra) e il «non accettare il “meramente esistente” e i modi consolidati per interpretarlo» (p. 245).

Così, per esempio, Precariato, come fa notare Guy Standing, travalica la dimensione di fenomeno, condizione, categoria o insieme di lavoratori diventando classe sociale: «Ci si intende poco sulla definizione di precariato, tanto che qualcuno nega perfino che si tratti di una classe sociale ben definita» (p. 181).

E poi, che cos’è la democrazia? Lo sappiamo, non ce lo chiediamo più, diamo per scontato che sia una «forma di governo che si basa sulla sovranità popolare esercitata per mezzo di rappresentanze elettive, e che garantisce a ogni cittadino la partecipazione, su base di uguaglianza, all’esercizio del potere pubblico» Vocabolario on line Treccani

Luigi Ferrajoli osserva, tuttavia, che «questa nozione puramente formale o  procedurale, che identifica la “democrazia” sulla base soltanto delle forme delle decisioni, cioè del “chi” (il popolo o suoi rappresentanti) e del “come” (la regola della maggioranza)», è sì necessaria per definire la democrazia politica ma non sufficiente a dar conto della democrazia costituzionale. E definisce un modello multidimensionale di democrazia «articolato su quattro dimensioni corrispondenti a quattro tipi di diritti […]: i diritti politici, i diritti civili, i diritti di libertà e i diritti sociali» (p. 46).

In quanto alla «cura della polis», Giulio Marcon sottolinea come la mutazione del contesto abbia finito con l’alterare anche il significato della politica che, fino a qualche anno fa possedeva «un quadro di riferimento definito, quello dello stato nazionale […]. Con la globalizzazione e la finanziarizzazione dell’economia gli stati nazionali hanno perso peso e ruolo […] e sono stati in parte svuotati delle antiche funzioni». La democrazia nazionale si è trasformata in un «puro involucro formale e le politiche nazionali sono state sovradeterminate dai contesti dei nuovi poteri finanziari privati e dalle nuove architetture sovranazionali […]» (p.172).

Lontano da atteggiamenti pessimistici, è importante ricordare che «la crisi in cui siamo immersi è anche, in senso etimologico, un’occasione per “distinguere”, “giudicare” (krinein) e ripensare i meccanismi che regolano la nostra società» (Battiston, p. 248).

Aggiungerei che viviamo in una società in cui le parole devono senz’altro essere mantenute, ripensate, rianimate attraverso manovre di respirazione bocca a bocca, ma devono anche essere difese e restaurate per contrastare quella che Vittorio Zucconi definisce la «truculenta neo-lingua [che] oggi invade il discorso pubblico».

«Oggi le male parole pubbliche sono la nuova forma di comunicazione e di non dialogo, costruiti per escludere gli impuri e compattare i clienti al banco del bar dell’odio» Vittorio Zucconi, Sta vincendo la neo-lingua da spogliatoio, «La Repubblica», 9 agosto 2018.

Questo libro è dedicato ad Alessandro Leogrande.