Leyla Vahedi

Leggere prima di leggere: albi illustrati e libri app nell’età prescolare

Roma, AIB-Associazione Italiana Biblioteche, 2018

Basterebbe l’ottima prefazione di Letizia Tarantello, storica bibliotecaria romana, a spiegare i motivi che rendono il libro di Leyla Vahedi uno strumento davvero prezioso per chi lavora all’avviamento alla lettura e all’alfabetizzazione precoce dei bambini: “partendo dal riconoscimento dell’infanzia come categoria sociale specifica, della letteratura infantile come prodotto storico multimediale anche commerciale e della lettura dei bambini come pratica individuale e sociale, la ricerca sostiene e approfondisce le acquisizioni scientifiche e le indagini sulla lettura precoce” (pp. 9-10). L’autrice, giovane ricercatrice italiana, specializzata in comunicazione e ricerca sociale e in biblioteconomia, vanta, oltre al ricco curriculum di studi, una notevolissima esperienza nell’ambito della promozione della lettura e della divulgazione dell’editoria di qualità per bambini e ragazzi, essendo tra i soci fondatori di Cartastraccia, associazione romana che, dal 2011, collabora con biblioteche, scuole, istituti di cultura, consultori, in progetti che mettono in relazione i buoni libri con i piccoli lettori e le loro famiglie. Il volume, frutto della rielaborazione della tesi di dottorato, vuole proprio coniugare la riflessione teorica e le indagini condotte sul campo dalla stessa ricercatrice nell’osservazione e realizzazione di attività incentrate sugli albi illustrati e le loro declinazioni digitali.

Per secoli si è ritenuto che il libro non fosse strumento adatto ai bambini di età prescolare, che nulla potesse avere a che fare con quella fascia di età non ancora in possesso delle competenze e abilità minime di lettura e dunque possibile fruitrice del solo racconto orale. Attraverso una duplice rivoluzione copernicana - ripercorsa dalla Vayedi nel primo capitolo del suo lavoro - che ha riguardato, a partire dal XIX secolo, sia la generale considerazione dell’infanzia, sia la visione della lettura come attività non più elitaria, ma generatrice di progresso sociale e culturale, comunitario e individuale, si è oggi giunti a conclusioni diametralmente opposte. Grazie al puntello della neurobiologia e della medicina, si ritiene che i libri possano, anzi debbano giungere nelle mani dei piccoli sin dalla primissima infanzia, veicolati soprattutto da tre canali: la voce di un adulto, il potere evocativo delle illustrazioni, le rielaborazioni digitali. Leggere ai bambini molto piccoli comporta stimoli scientificamente provati, come “l’alfabetizzazione tipografica”, con l’acquisizione delle strutture lineari delle forme testuali occidentali, la familiarizzazione con il testo scritto e il libro come contenitore di storie, l’“alfabetizzazione visuale”, cioè la prima costituzione di un immaginario iconografico, ultimo, ma non ultimo, una palestra dell’attenzione e all’ascolto (p. 37). Ma, mentre su questi aspetti, studi e pratiche hanno fatto passi avanti notevolissimi anche in Italia, soprattutto grazie al Programma Nazionale Nati per Leggere o al progetto In Vitro del Ministero per i Beni e le Attività Culturali, un costruttivo rapporto precoce con il digitale, che non sia mera supplenza della presenza e della cura del genitore,  insospettabilmente in un contesto storico di born digital, rimane questione poco approfondita e sviluppata.

L’editoria digitale per ragazzi, d’altra parte, ha dovuto fare i conti con le maggiori difficoltà tecniche imposte dall’illustrazione e dall’alto tasso di interattività, elaborando gradualmente soluzioni via via più mirate e ottimizzate. Utili e chiare le tassonomie proposte dalla giovane studiosa, che distingue diverse “categorie di prodotti: le mere digitalizzazioni di testi già esistenti, […] gli ipertesti e i documenti multimediali, testi già esistenti incrementati oppure espressamente progettati, soprattutto finalizzati a informazione, educazione e didattica; adattamenti digitali di libri per ragazzi già esistenti più o meno incrementati con audio, animazioni e possibilità interattive (i cosiddetti ‘libri arricchiti’); i prodotti espressamente pensati intorno al supporto elettronico e disponibili a esplorare le potenzialità offerte del’ambiente digitale, in maniera più o meno pervasiva, offrendo nuove occasioni di lettura e alfabetizzazione” (p. 91).

La sfida è di accompagnare i piccoli e le loro famiglie dalla literacy, ovvero l’insieme “di quelle competenze indispensabili per leggere, orientarsi tra le informazioni e riutilizzarle, allargando l’orizzonte a capacità più articolate di media literacy, visual literacy e transliteracy. Possiamo persino identificare un insieme di capacità ascrivibili alla app literacy” (p. 61). Un sfida che finalmente inizia ad essere raccolta anche dalle biblioteche, da centri culturali e da case editrici, in particolar modo francesi, quali la coraggiosa Volumiques, ma anche italiane, come Topipittori, Franco Cosimo Panini e soprattutto Minibombo, con proposte quantitativamente e qualitativamente sempre più significative.

Il libro di Layla Vahedi si fregia di un ulteriore merito, quello di guidare il lettore, soprattutto operatori di settore e insegnanti, in una selva di tecnicismi editoriali, informatici, biblioteconomici, sociologici, per lo più provenienti dal mondo anglosassone, capofila delle acquisizioni teoriche e pratiche in materia: fast communication, kid’s marketing, gioco di seek and found, la story hour, abitudine consolidata nelle biblioteche statunitensi, labeling objects, l’attività nomenclatoria attraverso l’indicazione di oggetti e immagini, picture book, opening screen, ovvero la schermata di partenza di un’app, lettering, native app, web app, ibride app.

Chiudono il libro, oltre a una ricchissima bibliografia e a un’accurata sitografia, che evidenziano come, negli ultimi decenni autori ed esperienze tutte italiane abbiano su questi temi colmato le lacune rispetto alle culture anglosassone e francese, un’appendice costituita dai report delle varie ricerche sul campo. Attraverso interviste semistrutturate a bibliotecari, librai e famiglie e questionari sugli incontri di familiarizzazione alle lettura con bebè e genitori e sui progetti di promozione del libro sia in forma cartacea che digitale, in cui si sono sperimentate appunto sia la classica lettura ad alta voce sia l’uso socializzato di libri app, emerge un apprezzamento generalizzato per queste pratiche che paiono davvero essere uno strumento per il benessere esistenziale di piccoli e grandi. Con il sorprendente, verificabile risvolto, che deve tranquillizzare coloro che temono lo strapotere dei dispostivi elettronici a sfavore della lettura, che il mondo digitale di qualità favorisce la lettura tout court. Pur con limiti o implicazioni che richiedono la mediazione dei genitori e dei professionisti coinvolti, come l’individuazione di bug o la necessità di costanti aggiornamenti e una maggiore eccitabilità dei bambini chiamati in causa dall’interazione col supporto tecnico, l’uso delle app ha sempre amplificato l’interesse per il libro e il suo autore, in un circolo virtuoso dalle grandi potenzialità ancora non del tutto esplorate.

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