14 aprile 2020

Le grammatiche scolastiche dell’italiano edite dal 1919 al 2018

 

Dalila Bachis

Le grammatiche scolastiche dell’italiano edite dal 1919 al 2018

con Prefazione di Giuseppe Patota

Firenze, Accademia della Crusca, 2019

 

 

Probabilmente quando si parla di grammatica proviamo tutti la stessa sensazione: quella di trovarci, tutto sommato, di fronte a qualcosa di sempre uguale a sé stesso, a un edificio antico, a volte diroccato, ma complessivamente solido. Perché, si sa, la lingua cambia ed evolve, fra strutture più o meno sciolte e parole nuove (link), ma la grammatica sembra restare a difesa di “qualcosa” (il nocciolo duro della lingua? Il confine ultimo dell’accettabilità rispetto all’errore?), qualcosa di avvertito anche, ingenuamente, dal parlante comune. Eppure, piano piano, persino la norma cambia: è un cambiamento lento − insegnano i linguisti e gli storici della lingua −, che deve prima essere accolto dalla comunità dei parlanti e poi, forse, entrare nei libri. Per questo la grammatica sembra immutabile.

Ma che cos’è davvero la grammatica? E in che rapporto sta con i suoi strumenti? Un’efficace considerazione di Luca Serianni nella sua Prima lezione di grammatica, Roma-Bari, Laterza, 2006 (ripresa da Dalila Bachis nella Premessa al suo volume), ci fa notare una coincidenza non da poco: grammatica è il codice che ci permette di esprimerci, è materia scolastica, è addirittura qualcosa di insito nel cervello umano, ma, nell’immaginario ricorrente così come nei dizionari (https://dizionario.internazionale.it/parola/grammatica), la grammatica è anche e forse soprattutto il libro di grammatica. Tant’è che sempre Serianni scrive che «possiamo ben dire: “Prendi la grammatica!”» […] mentre non potremmo dire *Prendi la storia o la geografia!» (p. 25).

 

Un viaggio nel tempo fra i testi

 

Dalila Bachis, nella sua opera, di grammatiche ne prende un bel po’, e le studia a fondo, per permetterci di capire come la norma linguistica, nella sua forma codificata dai manuali, è o non è mutata. Attraverso cinque capitoli di analisi (Precedenti e finalità dell’indagine, Prefazione: l’ideologia sottesa ai testi, Ordine e qualità degli argomenti, La norma e l’uso: i punti critici, Gli esercizi) e uno di Conclusioni (con alcune proposte di modifiche ai testi e alcuni spunti per la didattica), chi legge si rende conto di ciò che, nella forma e nei contenuti dei testi, è rimasto costante e anche dei cambiamenti, che Giuseppe Patota nella sua prefazione ha definito «lenti e deboli» (p. 5). Questa lentezza e questa debolezza sono, in effetti, sconcertanti: perché se si ha l’impressione che i libri di grammatica si mantengano uguali a loro stessi, i dati confermano che in molti casi è così, complice un’editoria spesso tendente ad assecondare le abitudini.

I 44 testi del campione esaminato nello studio di Bachis sono di scuola elementare, media e superiore (per praticità si usano queste denominazioni, le stesse scelte nel volume), in modo da offrire una visione completa e verticale. L’anno spartiacque fra il 1919 e il 2018 è, significativamente, il 1968, prima e dopo il quale i 44 testi formano due sottogruppi, di cui l’autrice tiene conto nelle diverse analisi. Si fanno, così, scoperte interessanti sia sul piano dell’impostazione e delle ideologie sottese ai testi (riverberate nelle prefazioni, soprattutto per le opere meno recenti), sia su quello propriamente linguistico. Quanto agli argomenti trattati, lo studio mostra la solidità dello schema tradizionale di organizzazione dei testi in fonologia e ortografia, morfologia e sintassi, dal quale derogano più frequentemente i libri per la scuola elementare, com’è lecito aspettarsi; a farla da padrona come numero di pagine è la morfologia. A proposito di numero di pagine, è interessante notare la crescita di mole dei testi più recenti, nei quali, nota l’autrice, vi sono «aggiunte, più che vere modifiche» (p. 137), spesso dovute all’affiancarsi degli studi linguistici alla tradizione grammaticale: questi, invece di trasformarla in profondità, spesso forniscono elementi aggiuntivi.

 

Le grammatiche quando la grammatica è instabile

 

Se si esplorano i diciannove punti critici della trattazione grammaticale che l’autrice esamina diacronicamente attraverso la trattazione nei testi (questioni come l’uso di lui, lei loro in funzione di soggetto; gli per a lei e a loro; l’alternanza fra indicativo e congiuntivo; l’anacoluto, le dislocazioni e altri fenomeni di enfasi), le scoperte diventano ancora più fini. Ad esempio veniamo a sapere che l’anacoluto è affrontato da pochi testi e, per i più datati, si colloca nell’ambito delle figure retoriche: bisognerà aspettare alcune grammatiche più recenti opera di linguisti per trovare le forme di enfasi trattate con adeguata complessità. Scopriamo, poi, che le concordanze a senso (del tipo “la maggior parte delle persone non hanno risposto”, invece di “ha risposto”), condannate nelle grammatiche postunitarie, sono un fenomeno poco considerato dai testi dell’intero periodo 1919-2018. E poi ancora notiamo che solo alcuni dei testi più recenti per la scuola superiore offrono una descrizione scientificamente fondata di un fenomeno diffuso e dibattuto come la sostituzione impropria del congiuntivo con l’indicativo, che invece è sempre taciuto nelle opere per la scuola elementare.

Simili rilievi portano chi legge non solo a cogliere l’evoluzione della lingua attraverso la sua codifica grammaticale, ma, soprattutto, a percepire l’atteggiamento degli autori rispetto ad alcuni fenomeni, interessante ancor più se letto in negativo: ciò di cui non si occupano o si occupano poco, con timore, spesso coincide con alcuni nodi oscillanti e critici dell’espressione linguistica reale, magari vicini al parlato o influenzati da elementi sociolinguistici (che, tutt’oggi, restano in buona sostanza estranei o collaterali alla trattazione grammaticale vera e propria).

 

La grammatica e la pratica

 

Ma se nell’immaginario collettivo “grammatica” è (anche) esercizio, allora alla teoria deve seguire la pratica, che il volume tratta in un capitolo dedicato proprio agli esercizi. Nei modi e nei contenuti illustrati ci ritroviamo tutti, con alcune differenze a seconda dell’età e delle scuole frequentate: infatti, gli esercizi manifestano delle caratteristiche tipiche del tempo in cui sono stati proposti, al permanere di alcune costanti. Se, ad esempio, nei decenni sono cambiati i materiali linguistici scelti a vantaggio di un uso crescente di testi autentici, nei manuali per le scuole medie e superiori resistono solidamente anche in anni recenti gli esercizi di analisi grammaticale e logica, così come non tramonta uno spiccato gusto tassonomico tipico della grammaticografia (per quanto spesso messo in discussione, anche dall’autrice di questo volume); è emblematica in questo senso la resistentissima (ma utile?) distinzione in nomi concreti e astratti, illustrata nella teoria e richiesta come distinzione esplicita negli esercizi. È il permanere di elementi come questi, insieme al proliferare dei complementi, magari a scapito di consegne di scrittura realistiche e motivanti, che rischiano di rendere la grammatica obsoleta. Su questa linea si collocano le Conclusioni dell’autrice, che propone Qualche proposta per una nuova didattica orientata davvero all’«arricchimento della competenza linguistica dell’apprendente» (p. 139).

 

La produzione testuale fra grammatica ed educazione linguistica

 

Nella sua seconda parte l’opera offre 130 pagine di schedario: una ricca raccolta di informazioni bibliografiche relative a ben 910 testi. Decisamente un gran numero, calcolando che sono incluse sono le prime edizioni e non le numerose ristampe circolanti. In qualche caso, si tratta di opere di autori noti, ma più spesso di volumi rari, sconosciuti, a volte totalmente dimenticati insieme a chi li ha scritti, soprattutto per quanto riguarda gli anni più lontani. Destino, questo, che non stupisce, per quanto riguarda i libri scolastici. Lo schedario, poi, conferma una situazione: se in passato nomi di linguisti noti come Giacomo Devoto e Bruno Migliorini campeggiavano in una folla di autori non noti (sovente insegnanti), in tempi recenti la presenza di numerosi linguisti (e non ne cito per evitare l’imbarazzo della scelta) fra i nomi di chi si è dedicato alla sfida di scrivere una grammatica è un dato di fatto. Ciò conferma un cambio di passo, che fa capire con chiarezza come l’occuparsi di grammatica e di didattica della lingua non appartenga più alle occupazioni secondarie, ma sia parte integrante di un progetto di educazione linguistica scientificamente fondato.

 

 


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