Ausiàs March

Un male strano. Poesie d’amore

a cura di Cèlia Nadal e Pietro Cataldi

Torino, Einaudi, 2020.

Nel XV secolo la lirica d’amore europea annovera un autore in lingua catalana che riesce a fondere l’oggettivismo dantesco e le feconde contraddizioni petrarchesche, risultando così un classico della letteratura, prima nella penisola iberica, poi in Europa: Ausiàs March, cavaliere e signore feudale, delle cui centoventotto poesie Cèlia Nadal e Pietro Cataldi hanno antologizzato «diciannove componimenti per un totale di circa mille versi» (p. V), tradotti e commentati con notevole sensibilità linguistica, metrica e filologica.

Come precisa Nadal nella Nota alla presente traduzione, si è preferito «tenere insieme il rifiuto di un tono medievaleggiante e l’inserimento puntuale (e occasionale) di tratti stilistici medievali appartenenti al codice letterario o antico» (p. XXXV), come nell’attacco Sens lo desig de cosa desonesta (canto XXXIII), reso con il sinonimo poetico di desiderio («Senza il desio di cosa disonesta»), che consente di restare nella misura dell’endecasillabo; d’altra parte, Cataldi precisa, nella Nota metrica, che si è adottata «una versificazione polimetrica, benché prevalentemente prossima ai tipi dell’endecasillabo e dell’alessandrino» (p. XLIII); condivisibile anche la scelta di conservare la rima «solo nei casi in cui […] risultasse di particolare valore espressivo e non imponesse di sacrificare altri livelli del testo, d’altra parte tentando spesso soluzioni foniche meno vistose» (assonanze e/o consonanze). Nella Nota al testo lo stesso Cataldi dà conto dei casi in cui ci si allontana dall’edizione di riferimento (a cura di Pere Bohigas [1951-1959], rivista nel 2005) per validi motivi, soprattutto in relazione al primo canto, che in alcuni punti segue le proposte di F. Xavier Dilla.

Avendo già trattato altrove la celebre canzone di March Axí com cell, con cui si apre la silloge, mi piace soffermarmi sul testo che dà il nome alla raccolta: A mal estrany (XLIX).

A mal estrany és la pena estranya

e lo remey hauria sser estrany,

e qui de fret mor, per entrar en bany

haurà calor, si aygua freda·l banya;

e si·l començ ve per mig, inpossible                        5

lo mig segueix e la fi lo començ;

ab forces tals Amor mi, amant, venç,

que planament lo dir no m’ès possible.

En contra mi Amor és molt orrible

e tan plaent que m’à fet ser content,                    10

car davant mi tinch bé complit present

e d’altra part me puny dolor terrible.

Aquesta és una dolor novella

que dins mon cap ha fet novella hobra,

desassentant la mia pensa pobra                           15

que a ssos mals tenia sa jaella.

Amor en mi no fa gran maravella,

ffermant ses leys en temps passat posades;

mas per lonch temps eren ja oblidades:

per mi Amor son poder torna˖n sella;                    20

e sí com Déu miracles volch mostrar

perquè·ls juheus fermament lo creguessen,

ffahent parlar los muts e que·ls cechs vessen,

Amor li plau que perda lo parlar.

Envers alguns açò miracle par,                                 25

mas si·ns membram de Arnaut Daniell

e de aquells que la terra·ls és vel,

sabrem Amor vers nós què pot mostrar.

Cella que am en egual de la vida,

mostre·vorrir en fets y en continent:                      30

quant li só prop, é d’ella sbayment,

ab continent de aver-l·avorrida.

Dins en mi sent una força·nfinida,

tant qu·és pus fortq que lo desig d’Amor;

cascun d’aquests d’Amor pren sa favor,                 35

mas egualment entr·éls no és partida;

car mon desig no basta fer menaces

a la gran por qui·l bat fort e·l castigua;

d’aquesta és Amor tan gran amiga

que toll poder al desig de sos braces.                      40

Lir entre carts, Amor no té pus laces

que·m tinguen pres, si de aquests escape;

ungles no té ab què ma carn arrape,

mas dorm segur de present en sos braces.

A strano male va una pena strana

e il rimedio dovrà essere strano,

e chi muore di freddo, entrando in acqua

sentirà caldo, se acqua fredda lo bagna;

e se l’inizio comincia dal mezzo,

non può seguire il mezzo e la fine l’inizio.

Con forze tali, amando, Amor mi vince

che pianamente il dire mi è impossibile.

Contro di me Amore è proprio orribile,

piacendomi tanto che mi ha fatto contento:

un bene perfetto ho davanti presente

e mi punge d’altrove un dolore terribile.

E questo è un dolore nuovo

che nuove cose ha portato alla mente

dando un percorso al mio pensiero povero

che nei suoi mali giaceva raccolto.

Amore in me non fa gran meraviglie

confermando le leggi del tempo passato,

ma da gran tempo ormai dimenticate:

Amore per me restaura il suo potere;

e come Dio volle offrire miracoli

perché gli Ebrei fermamente credessero,

facendo parlare i muti e che i ciechi vedessero,

Amore vuole che io perda il parlare.

Un miracolo pare a qualcuno,

ma se diArnaut Daniel ci ricordiamo

e di quelli per cui la terra è un velo,

sapremo Amore in noi che può mostrare.

Quella che amo come amo la vita

mostro di odiare nei gesti e in contegno:

di lei turbato, quando accanto le sto

come uno che l’odia mi contengo.

Dentro me sento una forza infinita,

tanto più forte del desiderio d’Amore;

ciascuno prende di Amore il favore,

ma inegualmente fra loro è diviso;

perché il mio desiderio non basta a minacciare

la grande paura che lo batte e punisce;

di questa è Amore così grande amico

che toglie al desiderio il potere delle braccia.

Giglio fra i cardi, Amor non ha più lacci

che mi leghino vinto, se io da questi scappo;

unghie non ha per straziarmi la carne,

ma dormo ora sicuro nelle sue braccia.

Lo schema è quello consueto in March: stanze di otto versi (il decasíllab, con ultimo accento sulla decima sede e cesura ‘a minore’) disposti in due quartine (ABBACDDC), ripresa dell’ultima rima all’inizio dell’ottava seguente («cobles capcaudates, cioè “stanze testacoda”» [p. XLII]), più un congedo (tornada) di quattro versi, sempre a rima incrociata. Nella traduzione ben 28 versi su 44 sono endecasillabi (1-3, 5, 7-9, 14-17, 19, 21-22, 24 [con sinalefe tra che e io], 25 [con dialefe in cesura dopo pare], 26-28, 29 [con dialefe tra che e amo, ma sinalefe tra come e amo], 30, 32 [con dialefe tra come e uno], 33, 35-36, 39, 41, 43]); il legame capcaudato rimane in due casi (impossibile : orribile, braccia : lacci [quasi-rima]); si notino le assonanze-consonanze ai vv. 1-2 (strana : strano [rima grammaticale]), 10-11 (contento : presente), 18-19 (passato : dimenticate), 22-23 (credessero : vedessero [rima desinenziale]); mantenuta la rima Amore : favore (34/35), nonché quella equivoca-identica con braccia (40/44). L’apocope di Amore ricorre due volte (7, 41), ma al v. 20 è evitata, così come non si ricorre a desio ai vv. 34 e 37 (qui si ottiene un doppio settenario): scelte dettate dalla ricerca di un equilibrio tra lingua e metrica.

Acuta la sintesi introduttiva nel commento (curato da Nadal per questo canto): «Il soggetto rivendica l’eccezionalità del proprio vissuto in un’epoca che ha dimenticato il modo grande di vivere l’amore, che invece caratterizzava gli antichi, e chiama perciò a testimoniare un trovatore di duecento anni prima e i morti» (p. 132). Né sfugge a Nadal, al v. 26, la doppia funzione del poeta provenzale Arnaut Daniel, in quanto personaggio del poema dantesco (Pg 26.136-148) e insieme cantore «del mutismo causato da amore» (p. 134), motivo antico, per cui basti ricordare i vv. 7-9 della celebre ode saffica (Φαίνεταί μοι κῆνος ἴσος θέοισιν) e della sua riscrittura catulliana (Ille mi par esse deo videtur), con la voce che manca e la lingua che viene meno. La scelta di Arnaut risentirà anche del primato amoroso che gli accorda Petrarca nel Triumphus Cupidinis (3.40-41): «fra tutti il primo Arnaldo Daniello, / gran maestro d’amor»; ma si avverte altresì il riferimento a quel trobar clus che non è gioco fine a sé stesso, quanto piuttosto tensione formale e insieme emotiva.

Nel canto XLIX si ritrovano gli elementi più peculiari della poesia marchiana, bene evidenziati da Cataldi nell’introduzione: a differenza del petrarchismo, che mette al centro l’innamoramento in sé considerato, March si focalizza su «esperienze come quelle del desiderio, della sessualità o del suo rifiuto da parte dell’io […] Il corpo del quale parla è nutrito della cultura medica medievale, del versante tragico delle agiografie e degli exempla» (pp. XXVI-XXVII).

Il paradosso dell’acqua fredda che riscalda illustra la bizzarra legge dell’amore, per cui chi ama prova il contrario di ciò che si aspetterebbe, con un misto di paura e desiderio. Non a caso l’articolo determinativo del primo verso (la pena estranya), che spiazza perché non trova un corrispettivo nel singolare indefinito mal estrany, sembra indicare proprio la pena amorosa da cui è afflitto il poeta. La «logica alternativa (quella delle emozioni suscitate da Amore)» (p. 133) è celebrata anziché censurata, come invece nell’ottica di conversione dei Rerum vulgarium fragmenta: tant’è che, alla fine, March riposa sicuro tra le braccia di Amore, «ultimo effetto sconcertante» descritto in «tono intimo e rassicurante» (p. 135). Non si può non ricordare, per opposto, la preghiera alla Vergine con cui si conclude il canzoniere petrarchesco: è lei (non Laura, né Amore) «d’ogni fedel nocchier fidata guida» (v. 68), capace di condurre in porto il poeta-peccatore.

Ed ecco che l’exemplum del Dio dell’Antico Testamento (vv. 21-24) illumina il dantismo marchiano: la similitudine, giocata sull’antitesi, recupera la figura di Amore della Vita nova, dio sempre lodato, sia nella sua terribile tirannide (cfr. cui essenza membrar mi dà orrore [v. 8 del sonetto A ciascun’alma presa]) sia attraverso l’esperienza dell’ineffabile.

«Giglio fra i cardi» è «senhal che si incontra in trentacinque poesie […] La dama, caratterizzata dalla purezza e dalla perfezione morale, ispira un amore dai tratti mistici e che oltrepassa la misura del senno razionale» (p. 110). E sarà proprio il candore dell’amata a trattenere il poeta, come nel congedo di Amor se dol (IX), in cui arriva fino alla «porta / dei piaceri sovrani» (vv. 41-42) senza però bussare, ammutolito.

Il lettore profano (ma anche lo studioso) trarrà giovamento dalla lettura, meditata e sentita, che Nadal e Cataldi offrono di questo grande esponente della lirica europea; e, forse, più d’uno potrà apprezzare l’energia struggente e la sapida concretezza del catalano antico.