12 aprile 2021

All’origine del divenire: il Labirinto dei Labirinti di Emilio Villa

 

Gabriella Cinti

All’origine del divenire: il Labirinto dei Labirinti di Emilio Villa

Prefazione di Gian Paolo Renello

Firenze, Milano-Udine, Mimesis, 2021

 

Antichista e scrittrice capace d’introspezioni minute e originalissime, Gabriella Cinti raduna e sottopone a mirabile, severa disamina per la collana «Ricerche e studi villiani» trentaquattro Labirinti del poligrafo meneghino (1914-2003) in gran parte inediti: schegge poetiche, scolî, riflessioni fra teologia scienza antropologia e linguistica risalenti agli anni Ottanta, in cui il demiurgo della lingua (autore d’una versione integrale e laica della Bibbia ancora ignominiosamente inedita; strenuo sostenitore dell’Action painting e sodale di artisti come Burri e Matta; considerato uno dei padri della neoavanguardia, con la quale non intrattenne però, come tutti gli outsider, rapporti idilliaci) affronta con strumenti affilatissimi il tema del labirinto quale mito fondante dell’etimo verbale («Ciò che instancabilmente egli cercò e indagò fu la cellula originaria del labirinto, come forma del pensiero e incarnazione della parola», p. 149; «ogni chiave verbale diventa occasione di scambio e di sovrapposizione di valori combinatori in grado di far deflagrare una sorta di ‘apocalisse’ di significati», p. 223), operando suggestive ricostruzioni meno rigorosamente filologiche che sapidamente letterarie e immaginative, ciò che non menoma d’un ette la straordinaria portata delle intuizioni e della loro messa in forma. Così il prefatore, uno dei nostri più fini e avvertiti esegeti delle scritture antagoniste e di ricerca (memorabile la sua analisi del balestriniano Blackout):

 

Chiunque accosti anche solo di sfuggita l’opera di Emilio Villa, non può non riconoscere l’eccezionalità di una figura genialmente “leonardesca” all’interno del panorama artistico e culturale del Novecento italiano. A rimarcare tale genialità concorrono non pochi fattori: la sua erudizione nel campo delle culture del medioriente antico, non limitata alla semplice conoscenza delle lingue quali sumerico, accadico ebraico o ugaritico; la sua padronanza delle lingue classiche (per cui basterebbe ricordarne la straordinaria traduzione dell’Odissea); la sua attenzione verso l’arte cosiddetta primitiva; la sua vis profetica, riversata in un’altrettanta poderosa vis poetica; la sua finissima e acuta percezione dell’agire artistico a lui coevo, capace di dispiegarsi sia in una critica serrata e puntuale dello stato dell’arte figurativa, inteso come “momento” del fare artistico contemporaneo, sia in una coerente azione di intervento sul campo, spesso coniugandolo con la propria opera poetica. (p. 11).

 

Il volume, di cui si può dar conto solo in maniera estremamente sommaria, è diviso in due amplissime sezioni: la prima, di carattere biobibliografico, propedeutica alla seconda, nella quale si analizzano i Labirinti trascrivendo fedelmente — mai partito fu più opportuno — gli autografi villiani, vere e proprie «tavolozze», come definì Contini i variopinti e altrettanto meandrici manoscritti pizzutiani.

 

Un saggio della rara acuzie che l’Autrice profonde a piene mani in ogni pagina del volume:

 

LABIRINTO 31

 

pensa a un cosmo, a un

universo tenace, fatto

di una materia affine

o simile, ma non identica

alle materie cerebrali,

da una materia di paradosso

e da grafici circolatorii

non-orientati e radicalmente

spastici, paraplegici, aleatori,

indiscri|minati,

 

lo spazio è il male

 

con con l’orecchio nel

corpo.

con l’orecchio nel mare.

 

[…] [L]abirinto come modello del vivente, materia corporea che diventa paradigma di un universo immaginato come fisiologia interiore; «fisiologia cosmica» che riorganizza in una sorta di trasposizione demiurgica, l’insieme dell’organicità corporea rendendola una sostanza totale, avvolgente e visionaria. Per meglio dire, una materia quasi allo stato puro, percepita e pensata come da dentro un labirinto mentale che la parola poetica è in grado di raccogliere. Si affaccia una sorta di ipotesi che consiste in un invito a un’esplorazione ravvicinata, appunto da dentro, con un’intenzione, da parte di Villa, per certi aspetti persino epistemologica, nel presentare spunti di una teoria da cogliere intuitivamente e in chiave immaginifica: «pensa a un cosmo, a un / universo tenace, fatto / di una materia affine / o simile, ma non identica / alle materie cerebrali».

Un paradosso, o meglio «una materia di paradosso» come la definisce Villa, che si giustifica nel fatto di poter assumere un unico principio omologante: qualcosa di analogo al mare.

Il parallelo con questa dimensione è quello dell’orecchio, che consente una percezione introiettiva amplificata nella fisicità più intima che abolisce la barriera interno-esterno, offrendo la possibilità di uno spazio, per così dire, alternativo. In questo ambito, puramente cerebrale, l’assenza di orientamento o, per meglio dire, di schemi basati sulla vista, riconduce a un diverso sistema rappresentativo dai tratti caotici e indeterminatamente labirintici: «grafici circolatori / non-orientati e radicalmente / spastici, paraplegici, aleatori, / indiscri|minati».

Ricompare qui la figura dell’«abominio», del «non-nato», del «minorato», dell’«ab-hortus» o dell’abnorme: di un informe o difforme […] che porta Villa a definire questa finzione ipotetica così pensata o immaginata sulla falsariga della connotazione negativa del Minotauro come «male» o «male assoluto» (nella prospettiva cristiana là evocata).

Qui anche «lo spazio è il male», scrive Villa, compiendo un salto logico e anche grafico rispetto agli enunciati che precedono, e che si riaggancia per assonanza ai versi conclusivi «con l’orecchio nel / corpo, con l’orecchio nel mare»: dimensione inclusiva (il mare) presupposta dalla complessità organica, che si carica di ogni potenzialità del generare e persino del non generato. Qui il «male» si direbbe, al di là di un giudizio prettamente morale, un’ulteriorità dell’essere stesso che diventa altro da sé e insieme oltranza e alterità oltraggiata […]» (pp. 487-88).

 

Arricchisce il saggio una Bibliografia generale ragionata di grande utilità per il lettore desideroso di avvicinare questo titano del XX secolo.

 

 

Riferimenti bibliografici

 

Emilio Villa, Proverbi e Cantico. Traduzioni dalla Bibbia, a cura di Cecilia Bello Minciacchi, Napoli, Bibliopolis, 2004.

 

Gian Paolo Renello, Blackout. Un’epica della fine, postfazione a Nanni Balestrini, Blackout e

altro, Roma, DeriveApprodi, 2009.


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