Alessio Ricci
Sullo «Zibaldone» e altro. Lingua e linguistica di Leopardi
Roma, Aracne, 2021
L’etimologia di zibaldone è rimasta a lungo un enigma irrisolto. Si è pensato, tra le varie ipotesi, al nome proprio Cibaldone, da Arcibaldo o Prencibaldo col suffisso accrescitivo -one, ignoto medico veneziano cui era tradizionalmente attribuita una traduzione in versi del terzo libro dell’Almansore, opera monumentale del medico arabo Rhazes. Alessandro Parenti ha recentemente risolto l’enigma, chiarendo che non è mai esistito un medico veneziano di nome Arcibaldone, perché Cibaldone è il titolo del florilegio medico nelle diverse edizioni a stampa veneziane. L’etimo misterioso è, invece, la parola emiliana zibanda ‘cibaria’, da cui abbiamo l’accrescitivo maschile *zibandone e il passaggio a zibaldone (secondo uno sviluppo fonetico che si riscontra anche nella forma abbaldonare da abbandonare). L’evoluzione del significato non pone problemi: da zibanda ‘cibaria’ si passa a zibaldone ‘insalata contraddistinta da particolare varietà di ingredienti’, come confermano attestazioni fiorentine quattrocentesche e secentesche, e, per slittamento metaforico, ‘raccolta disorganica di scritti’ (rinviamo alla limpida trattazione di Parenti 2020, pp. 132-141).
Leopardi definì Zibaldone di Pensieri il suo «scartafaccio», cioè le migliaia di fogli con appunti autografi, quando nel 1827 ne allestì l’Indice analitico per un’iniziativa editoriale che non giunse a compimento. I pensieri, che Leopardi registrò con varia intensità dall’estate del 1817 fino al dicembre del 1832, occupano per l’esattezza 4526 fogli, oggi raccolti in sei volumi e conservati presso la Biblioteca Nazionale di Napoli (editio princeps per i tipi di Le Monnier nel 1898-1900; edizioni critiche: Pacella 1991 e Peruzzi 1989-1994). «Esemplare, unico nella nostra letteratura, di un pensiero in movimento» (Solmi 1966, p. 61), lo Zibaldone è un’opera monumentale che affronta una vastità enciclopedica di argomenti.
Gli aspetti linguistici di quest’opera sono accuratamente indagati nel volume Sullo «Zibaldone» e altro. Lingua e linguistica di Leopardi di Alessio Ricci, che raccoglie tre saggi già pubblicati in altre sedi e un saggio inedito.
Nel primo capitolo lo studioso esamina sintassi e testualità dello Zibaldone di pensieri, movendo dalla riflessione riguardo alla stesura «a penna corrente» delle annotazioni, che non prevede, pur con qualche eccezione, il ricorso alle minute. Leopardi scriveva, infatti, su fogli sciolti secondo la tecnica della «copia “differita”, realizzata lasciando un certo numero di spazi vuoti che poi venivano riempiti» (Cursi 2021, p. 175). A questa pratica di scrittura, assimilabile a una stesura di getto, vanno imputati tratti sintattici caratteristici del parlato e dello scritto meno sorvegliato, quali gli anacoluti (ad esempio, «Il fatto sta che questa [la letteratura] benché abbia le sue regole, tuttavia il porre in chiaro queste regole, e il decretarle e il farne un codice, non le ha mai giovato», cit. a p. 40) e le sconcordanze (ad esempio, «Grandissima parte dell’opere utili proccurano il piacere mediatamente», cit. a p. 29; concordanza ad sensum fra soggetto e verbo). A testimonianza della complessità anche linguistica dello Zibaldone, Ricci rintraccia strutture sintattiche e testuali improntate alla ricerca della simmetria, che è tipica della prosa classicheggiante; ci limitiamo a menzionare la correlazione di congiunzioni causali (ad esempio, «E perciò si chiamano termini perché determinano e definiscono la cosa da tutte le parti», cit. a p. 62) e la coniunctio relativa (ad esempio, «È nota l’εὐφημία degli antichi greci che nominavano le cose dispiacevoli τὰ δεινὰ con nomi atti a nascondere o dissimulare questo dispiacevole, [...] la qual cosa certo non faceano solamente per cagione del mal augurio», cit. a p. 66).
Nel terzo capitolo lo studioso indaga la correctio, intesa come «l’insieme delle risorse della lingua cui Leopardi può attingere nel momento in cui riprende il già scritto – talora nell’atto stesso della scrittura (currenti calamo), talaltra a distanza di tempo – per sviscerarlo, puntualizzarlo, integrarlo, emendarlo» (p. 123). La dettagliata rassegna sulle correctiones nello Zibaldone mette in luce i diversi introduttori lessicali e le diverse funzioni (in particolare, emendare, attenuare e precisare). Segnaliamo l’abbondante presenza dei connettivi anzi (ad esempio, «E perciò non ostante che questa condizione dell’anima sia ragionevolissima anzi la sola ragionevole, con tutto ciò essendo contrarissima anzi la più dirittamente contraria alla natura, non si sa se non di pochi che l’abbiano provata, come del Tasso», cit. alle pp. 126-127) e almeno, che ha la funzione di mitigare ciò che precede (ad esempio, «L’uomo sarebbe onnipotente se potesse esser disperato tutta la sua vita, o almeno p. lungo tempo, cioè se la disperazione fosse uno stato che potesse durare», cit. a p. 139).
Il secondo capitolo del volume sposta l’attenzione su alcune varianti fonomorfologiche nello Zibaldone e in altre opere in prosa leopardiane. Non sarà inutile ricordare che nella prima metà dell’Ottocento l’italiano è un sistema linguistico in cui sono presenti molti doppioni (o allotropi) fonetici, morfosintattici e lessicali; concentrando le ricerche per l’appunto sulla distribuzione di alcuni allotropi, Ricci rileva che nello Zibaldone sono predominanti le forme tradizionali, spesso proprie della poesia, e destinate a soccombere in diacronia, come veggo per vedo, dee per deve, niuno per nessuno, ei (talora e’) per egli, menomo per minimo. Emblematico è il caso della desinenza della prima persona dell’imperfetto indicativo: la desinenza -o, analogica sul presente indicativo e a lungo osteggiata dalla codificazione grammaticale, è attestata sporadicamente rispetto alla desinenza etimologica -a sia nello Zibaldone (soltanto tre occorrenze) sia nelle altre opere leopardiane. Ma, come ha acutamente osservato Ricci, la maggior parte delle occorrenze della prima persona dell’imperfetto indicativo in -o si trova nelle lettere familiari, soprattutto in quelle indirizzate al padre, al fratello Carlo e alla sorella Paolina, in cui «il sempre vigile autocontrollo linguistico leopardiano si allent_a_, per far posto a scelte di segno diverso rispetto a quelle compiute nei testi dati alle stampe o nello Zibaldone» (p. 116).
La varietà delle forme e dei costrutti dell’italiano è valutata positivamente da Leopardi, come si evince da un pensiero del 17 luglio 1821:
Altra gran fonte della ricchezza e varietà della lingua italiana, si è quella sua immensa facoltà di dare a una stessa parola, diverse forme, costruzioni, modi ec. […]. Parlo solamente del potere usare p[er] e[sempio] uno stesso verbo in senso attivo, passivo, neutro, neutro passivo; con tale o tal caso, e questo coll’articolo o senza […] Questa facoltà non solamente giova alla varietà ed alla eleganza che nasce dalla novità ec. e dall’inusitato, e in somma alla bellezza del discorso, ma anche sommamente all’utilità, moltiplicando infinitamente il capitale, e le forze della lingua, servendo a distinguere le piccole differenze delle cose (cit. alle pp. 167-168)
Alla riflessione leopardiana su linguaggio e lingue è dedicato l’ultimo capitolo del volume, in cui Ricci stabilisce un confronto sistematico con le posizioni di Melchiorre Cesarotti, autore del Saggio sulla filosofia delle lingue applicato alla lingua italiana (1785; edizione definitiva 1800). Fra le varie questioni indagate approfonditamente nel capitolo, ricordiamo qui soltanto il giudizio sulla varietà interna alla lingua: Leopardi la considera, come s’è visto, capace di «moltiplica_re_ infinitamente il capitale e le forze della lingua», Cesarotti la giudica inutile e svantaggiosa per l’apprendimento linguistico:
Che giovano mai alla lingua latina e greca le varie declinazioni dei nomi? Qual vantaggio ne viene a quelle e alle nostre dal noiosissimo imbarazzo di tante coniugazioni che fanno la croce di chi vuole impararle? Una sola forma pei nomi sostantivi distinti solo nel genere, una per gli adiettivi, ed una pei verbi avrebbe reso la lingua più analoga e semplice, e meno tediosa e imbarazzata. Il vantaggio che può risultarne per lo stile nella varietà materiale di tanti suoni, può mai esser posto in confronto colle difficoltà e colle spine, di cui, mercé questa inutile varietà, è seminata la lingua? (questo passo del Saggio è citato a p. 165)
Riferimenti bibliografici
Cursi 2021 = Marco Cursi, Scrivere, incidere, digitare, in Storia dell’italiano scritto, a cura di Giuseppe Antonelli, Matteo Motolese e Lorenzo Tomasin, Carocci, Roma, vol. VI Pratiche di scrittura, pp. 153-191.
Pacella 1991 = Giacomo Leopardi, Zibaldone di pensieri, edizione critica e annotata a cura di Giuseppe Pacella, 3 voll., Milano, Garzanti.
Parenti 2020 = Alessandro Parenti, Etimologie, Milano, RCS.
Pensieri 1898-1900 = Giacomo Leopardi, Pensieri di varia filosofia e di bella letteratura, 7 voll., Firenze, Le Monnier.
Peruzzi 1989-1994 = Giacomo Leopardi, Zibaldone di Pensieri, edizione fotografica dell’autografo con gli indici e lo schedario, a cura di Emilio Peruzzi, 10 voll., Pisa, Scuola Normale Superiore.
Solmi 1966 = Sergio Solmi, La vita e il pensiero di Leopardi, ora in Id., Opere, a cura di Giovanni Pacchiano, Milano, Adelphi, vol. II Studi leopardiani. Note su autori classici italiani e stranieri, 1987, pp. 39-81.
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