Aa.Vv.

Orizzonti della linguistica. Grammatica, tipologia, mutamento

Roma, Carocci, 2021

Tutti linguisti di calibro e di lungo corso, gli autori rispondono ai nomi di Maria Napoli (Università del Piemonte Orientale), Pierluigi Cuzzolin (Università di Bergamo), Nicola Grandi (Università di Bologna), Michele Prandi (già docente nelle Università di Ginevra, Pavia, Bologna e Genova). Tra grammatica e comparazione tipologica (ordinamento delle lingue in tipi caratterizzati da analogie formali e sostanziali alla ricerca degli universali linguistici, ossia dei tratti grammaticali e lessicali comuni a tutte le lingue del mondo al duplice scopo di meglio catalogarne le diversità e di elaborare una teoria del mutamento), il volume raccoglie alcuni degli studî linguistici più avanzati in cui la frase è collocata al centro della riflessione «non solo come struttura grammaticale formale ma nella sua relazione multiforme con la struttura concettuale del significato. […] Se vediamo la frase in una prospettiva semantica, la priorità metodologica passa dalle forme sintattiche pure alle strutture concettuali del loro contenuto. Le strutture sintattiche formali, in particolare, tendono a essere viste non più come forme autonome, ma come forme motivate dalle strutture concettuali che portano all’espressione» (così l’Introduzione firmata da Michele Prandi).

La Parte prima è dedicata alla sintassi della frase, considerata come una struttura bifronte: un’espressione complessa e un significato complesso: «Questo implica che la sintassi non può essere solo uno studio delle combinazioni formali delle espressioni semplici in espressioni complesse. La sintassi deve studiare anche il modo in cui si combinano i significati semplici per formare significati complessi e l’interazione che si instaura tra i due piani: il piano dell’espressione e il piano del contenuto» (p. 33).

Indispensabile per la descrizione sintattica la distinzione operata con metafora chimica dal linguista francese Lucien Tesnière nel 1965 tra espressioni sature e insature, nonché la concezione della frase nucleare semplice quale «piccolo dramma» con tanto di attori e canovaccio: «Nella frase, il canovaccio del dramma può essere fornito dal verbo, da un aggettivo o da un nome, ma il caso del verbo è certamente quello più immediatamente osservabile. Come un canovaccio, il verbo delinea le caratteristiche essenziali del processo, ma non riesce a metterlo in scena da solo. Il verbo è insaturo, chiarisce Tesnière, […] e ha bisogno di essere saturato, cioè completato, da un certo numero di argomenti, che sono espressioni sature» (p. 47). Ma il nucleo frasale è disposto a ricevere un certo numero di determinazioni extrafrasali dette margini: relazioni concettuali libere scelte dal parlante ma sottoposte al canone della coerenza concettuale, aventi la funzione di arricchire tematicamente il processo: «La frase Luca ha riparato la bicicletta, ad esempio, esprime un’azione satura, completa. Questo nucleo di azione è disponibile a ricevere diversi ruoli marginali — ad esempio il luogo, il tempo, il collaboratore dell’agente, il fine: Ieri sera, in garage, Luca ha riparato con Andrea la bicicletta per la corsa di domani. Un evento del mondo fenomenico come Le rose sono sbocciate, invece, accetta circostanze spaziali o temporali, la causa e la concessione che la nega, ma non ruoli come lo strumento e il fine, che sono coerenti solo con le azioni: in giardino, le rose sono sbocciate questa mattina per il caldo improvviso, nonostante la pioggia. Dato che non è circoscritto da un controllore esterno, il contenuto di un ruolo marginale non potrà che essere identificato grazie alle proprietà intrinseche della forma che lo esprime» (p. 73).

La frase complessa, invece, è una frase contenente tra i suoi costituenti almeno una frase, e il suo ruolo funzionale è l’architettura di un processo cui cooperano tanto gli argomenti (che saturano il verbo principale al fine di creare il nucleo processuale) quanto i margini, i quali — come s’è visto — arricchiscono il processo ampliando il nucleo con ulteriori relazioni concettuali: «Tra la messa in opera degli argomenti e la messa in opera dei margini, dunque, c’è continuità funzionale. Nella frase complessa, viceversa, la continuità funzionale tra argomenti e margini si spezza» (pp. 95-96).

Salendo di un grado, ecco il testo: struttura informata a coerenza (organizzazione logica del piano semantico) e coesione (connessione tra le componenti superficiali) di enunciati grammaticalmente slegati: la giurisdizione della grammatica cessa al confine di frase, dopodiché a “comandare” sono la coerenza e la coesione testuale, categorie extragrammaticali: «I mezzi della coesione testuale hanno certamente una dimensione grammaticale. Un pronome anaforico, ad esempio, concorda in genere e in numero con l’antecedente. Un avverbiale anaforico — un connettivo — ha, all’interno della frase che lo ospita, proprietà distribuzionali sue, diverse da quelle di una congiunzione. Tuttavia, la grammatica non è costitutiva della coerenza, e nemmeno della coesione, il cui funzionamento […] presuppone a sua volta la coerenza. A differenza della grammatica, il testo crea collegamenti direttamente sul piano concettuale, rispondendo al requisito di coerenza, e servendosi dei mezzi linguistici della coesione non per costruire relazioni, ma per segnalarle e sottolinearle» (pp. 125-25).

Di particolare interesse, anche per il lettore comune, il capitolo dedicato alla frase in prospettiva tipologica, cioè in relazione alle questioni concettuali e funzionali che tutte le lingue hanno il cómpito di affrontare e risolvere: «il confronto tipologico non può essere basato sulle categorie grammaticali, che sono specifiche e variabili, ma deve fondarsi sulle relazioni concettuali sottostanti — sui processi, intesi come reti di relazioni tra ruoli — e sui compiti funzionali comuni, che vanno ben al di là dei confini di una lingua o di un gruppo di lingue affini» (pp. 143-44).

La Parte seconda si concentra sul lessico, tradizionalmente reputato il campo dell’eccezione e dell’imprevedibilità vs la regolarità grammaticale: a torto, perché «l’opposizione tra prevedibile e imprevedibile, tra memorizzato e composizionale non è mai binaria; essa, anzi, identifica gli estremi di un continuum in cui tutto sfuma gradualmente» (p. 217). Anche il lessico, infatti, ha una sua regolarità: cane da slitta è formato in modo identico a camera da letto, tavolo da cucina, coltello da pesce, così come fioraio e liutaio condividono la loro struttura profonda con barista, artista ecc.: «Insomma, andando sempre più in profondità serie di parole apparentemente diverse possono dare origine a schemi in realtà molto simili. Gli schemi hanno poi livelli di astrattezza differenti, in base al numero di costanti e variabili che riproducono. E hanno quindi gradi diversi di composizionalità» (p. 219).

Trattano rispettivamente di morfologia la Parte terza (classi di parole, criteri concettuali e funzionali, formazione delle parole) e di linguistica storica la Parte quarta (fondazione scientifica degli studî indoeuropeistici, frase come motore del mutamento linguistico, mutamento fonetico e sintattico, topologia, lessico tra stabilità e innovazione, grammaticalizzazione, ruolo del contesto sociale nel mutamento).