Antonina Nocera

Metafisica del sottosuolo. Biologia della verità tra Sciascia e Dostoevskij

Prefazione di Antonio Di Grado

Postfazione di Federico Fiore

Belgioioso, Divergenze, 2020

Per la collana «(ec)citazioni. Articoli, spunti, trasformazioni della cultura», diretta da Erika Cancellu, la studiosa palermitana — già autrice di Angeli sigillati. I bambini e la sofferenza nell’opera di F. M. Dostoevskij — dà fuori una stimolante ricerca sulle «affinità elettive tra lo scrittore racalmutese e il grande abitante delle notti bianche» (così il prefatore Antonio Di Grado, direttore letterario della Fondazione Sciascia).

Più d’uno i nessi intertestuali individuati dalla Nocera, in particolare tra Il contesto. Una parodia e I fratelli Karamazov (straordinario edificio di pensiero sopra il tema del male e del libero arbitrio, espressamente citato nel romanzo sciasciano), con alcune «incursioni» nel poliziesco per antonomasia Delitto e castigo: innanzitutto, la comune concezione della scrittura quale analisi razionale della natura umana, «unità misteriosa su cui è impossibile mettere un punto definitivo» (p. 3); in secondo luogo, l’errore giudiziario come atroce limite della legge, pronta a infliggere pene e condanne pur potendo incorrere in abbagli fatali: «Tale falla compare come motivo pregnante sia nei Karamazov che nel Contesto: è bene pertanto aprire una parentesi filologica: dai taccuini si apprende che Dostoevskij è rimasto impressionato dalla storia di Dmitrij Ilinskij, compagno di prigionia dell’autore ad Omsk. La storia dell’uomo, condannato a vent’anni per parricidio e poi riconosciuto innocente e rilasciato a distanza di dieci anni, colpì Dostoevskij a tal punto che tutte le deposizioni contro Dmitrij, nel romanzo, paiono una trascrizione di quelle raccontate dai testimoni di quella causa» (pp. 11-12); in Il contesto l’errore giudiziario è citato in incipit e in explicit, «quasi fosse un vero e proprio motivo ricorrente che salda gli eventi nella coerenza di un discorso. Indubbiamente, nell’architettura narrativa è un atto voluto» (p. 12).

L’ateismo scientifico di Ivan Karamazov è fondato sulla ribellione:

«Non voglio l’armonia: per amore stesso dell’umanità, non la voglio. Voglio che si rimanga piuttosto con le sofferenze invendicate. Preferisco, io, di rimanere nel mio stato d’invendicata sofferenza e d’implacato scontento, dovessi pur non essere nel giusto. Troppo caro, in conclusione, hanno valutato l’armonia: non è davvero per le tasche nostre, pagar tanto d’ingresso. Quindi, il mio biglietto d’ingresso, io m’affretto a restituirlo. E se appena appena sono un uomo onesto, ho l’obbligo di restituirlo il più presto possibile. E così faccio appunto. Non è che non accetti Dio, Alëša: ma semplicemente Gli restituisco, con la massima deferenza, il mio biglietto»

e scommessa è il termine che riassume il pensiero dell’intellettuale dissidente Vilfredo Nocio in Il contesto: una sorta di terza via, secondo l’Autrice, che lo rappresenta come un alter ego «parodizzato» di Ivan: «Se anche quelle cose fossero, se esistesse un male che ha incistato le fibre delle istituzioni borghesi, anche le più solide e arcaiche, non cambierebbe la sua posizione pragmatica. Non restituirà nessun biglietto, non scommetterà sull’avversione metafisica, ma sulla rivoluzione. Fa professione di libero arbitrio ma giocata su un campo irrimediabilmente terreno» (p. 30).

Il dotto e raffinato ispettore Rogas, abile indagatore dei più riposti anfratti della mente altrui («la sua capacità di leggere il delitto nel cuore oltre che nelle cose, negli indizi, e di presentirlo, lo investono di luce metafisica, ne fanno un eletto»: così Sciascia in Breve storia del romanzo poliziesco), è manifestamente ispirato al giudice istruttore Porfirij di Delitto e Castigo, anch’egli cólto, razionale, dotato di notevoli capacità maieutiche e d’un finissimo intuito che gli consente di penetrare l’animo e le azioni di Raskol’nikov.

Non mancano, tuttavia, divergenze: al misticismo e al pur problematico cristianesimo dostoevskiano si oppone recisamente il nichilismo parodizzante di Sciascia, per il quale le ragioni della vita prevalgono su quelle della logica e persino della fede: «Se Dostoevskij chiude il cerchio appellandosi alla sofferenza nel peccato come pratica d’espiazione e riesce a trovare una giustificazione filosofica e esistenziale al rovello della fede, Sciascia, seppure grande inquisitore e poliziotto di Dio, per dirla con Bufalino, non può che constatare e mostrare grazie a Rogas l’evidenza schiacciante della mancanza di risposte definitive. E se per assurdo, ipotecata la questione di Dio e della fede, ipotizzando un finale diverso, quello di Rogas fosse un ‘suicidio filosofico’ proprio come quello di Kirillov del I demoni, verrebbe da chiedersi, per dimostrare che la libertà è al di sopra di tutto, anche della verità stessa? Poco cambierebbe della testimonianza autentica dello scrittore, della smania di fare lo scalpo alla vita e di mostrare come il ruolo della scrittura sia anche quello di celebrare le esequie della verità, se serve. Del resto, “con la logica ci si accosta solo parzialmente alla verità” dice il protagonista de La promessa di Dürrenmatt, autore molto amato da Sciascia. Il matematico “due più due” dostoevskiano ha abdicato a una maggior indulgenza nei confronti delle debolezze e delle meschinità e Sciascia, con grande lucidità ha colto in pieno quella responsabilità: guardarle in faccia, quelle meschinità, e restituirle intatte, senza limature o abbellimenti, regalando pagine che ancora oggi non smettono di spronare a un esercizio di onestà intellettuale» (pp. 33-34).

Riferimenti bibliografici

Antonina Nocera, Angeli sigillati. I bambini e la sofferenza nell’opera di F. M. Dostoevskij, prefazione di Salvatore Lo Bue, Milano, Franco Angeli, 2010.

Leonardo Sciascia, Il contesto. Una parodia, Torino, Einaudi, 1971.

Id., Breve storia del romanzo poliziesco, Torino, Einaudi, 1983.

Fëdor Dostoevskij, I fratelli Karamazov (1878-80).

Id., Delitto e castigo (1866).

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