30 agosto 2021

Filologia dantesca. Un’introduzione

Marco Grimaldi

Filologia dantesca. Un’introduzione

Roma, Carocci, 2021

 

 

Docente di Filologia italiana all’Università «La Sapienza» di Roma e fine dantista (Dante nostro contemporaneo; curatela di Dante Alighieri, Rime), Marco Grimaldi affronta con esemplare trasparenza e completezza d’informazione, per la collana «Studi superiori» della Casa romana, le massime questioni metodologiche della filologia dantesca riguardo alle opere in latino (De vulgari eloquentia, Monarchia, Epistole e Questio de aqua et terra) e in volgare (Rime, Vita nova, Fiore e Detto d’Amore, Convivio, Commedia).

 

Il volume è articolato in tre capitoli. Nel primo si descrive la tradizione non solo delle opere maggiori. Il secondo offre un efficace quadro sinottico di tipo storico-geografico (la prima tradizione settentrionale; quella fiorentina e tosco-umbra; la prima divulgazione della Commedia; il codice Chigiano L VIII 305, tra i principali testimoni della Vita nova e delle Rime; gli scriptoria fiorentini; la diffusione del Poema oltre i confini fiorentini nei primi decennî del Trecento; il ruolo di Boccaccio filologo quanto alle opere in latino e in volgare; Dante nel Quattrocento e nell’età della stampa). Nel terzo si illustrano i problemi filologici relativi alle opere trattate. Seguono una Cronologia — contenente dati biografici essenziali, le datazioni delle opere, le attestazioni manoscritte e documentarie — e una Bibliografia divisa in due sezioni: nella prima si elencano le principali edizioni delle opere, nella seconda gli studî citati nel corso dell’esposizione.

 

È impossibile dar conto minuto dei numerosissimi problemi posti al filologo dalle opere dantesche; a titolo esemplificativo ne citiamo sommariamente uno tra i più spinosi: l’attribuzione del Fiore, la cui edizione critica di riferimento resta quella, memorabile, data fuori da Gianfranco Contini nel 1984,

 

tappa fondamentale, sul piano storico e metodologico — scrive Grimaldi —, per gli studi di filologia italiana, al pari della Vita nova di Barbi (1932), della Commedia secondo l’antica vulgata di Petrocchi (1966-67), delle Rime di De Robertis (2002). […] Contini formula due ipotesi […] 1. che il Fiore e il Detto siano stati scritti da un’unica persona […]: entrambe le opere rivelerebbero un fondo di cultura guittoniana e l’influenza di Brunetto Latini […]. Sarebbero inoltre «complementari», perché rifletterebbero due parti distinte della Rose, come se l’autore dei poemetti avesse deciso di crearli assieme e giustapporli in una pianificazione unitaria. 2. Che il Fiore e il Detto siano opera di Dante. (pp. 89-90).

 

Fondamentali le motivazioni d’ordine formale: Contini offre una serie di confronti fra gli stilemi lessicali del Fiore e quelli della Commedia e delle Rime certe: i francesismi, massime in rima; gli «stilemi associativi», ossia in coppia o in minime sequenze, e soprattutto — «regina delle prove» — la replicazione di concetti e vocaboli apparentati da elementi fonici in analoghi loci ritmici e sintattici. Come s’è detto, il filologo domese indica inoltre nella Rose il modello del Fiore, non pochi passi del quale si riscontrano nella Commedia con identico ritmo (Rose 3315-3316: «Mout par est fel et deputaire / Qui por nos deus ne viaut riens faire»; Fiore IV 11: «Molt’è crudel chi per noi non vuol fare»; Inf. XXXIII 40: «Ben se’ crudel, se tu già non ti duoli»).

 

Tra i non rari oppositori dell’operazione Pasquale Stoppelli, che in un saggio del 2011 smonta pezzo pezzo l’ipotesi della danteità del Fiore e del Detto. Servendosi delle concordanze e degli archivî digitali, attraverso un accorto spoglio applicato ad alcuni sonetti egli congettura che gran parte dei suddetti stilemi fossero largamente diffusi nel Duecento, sicché il poemetto non sarebbe che un centone; cómpito del filologo è quello, dunque, di editare il testimone (più attendibile della ricostruzione), evitando di accampare ipotesi attribuzionistiche non compiutamente comprovabili, se non perfino destituite di qualsiasi fondamento. L’autore del Fiore altro non sarebbe, secondo Stoppelli, che un attardato epigono di Guittone e dei guittoniani e un maldestro orecchiatore del gusto e del modo di formare stilnovista:

 

L’impasto linguistico che deriva dall’operazione di traduzione non sarebbe segno di sperimentalismo, ma piuttosto incapacità di distaccarsi dal modello: un atteggiamento più tipico dei volgarizzatori non esperti che di un abile versificatore. Il Fiore sarebbe il risultato di una frequentazione lunghissima, fatta di letture quotidiane, da parte di un autore che conosceva bene il testo modello e che vi si atteneva in maniera troppo rigida. Stoppelli nota ancora come nessuno dei forti e inediti francesismi ritornano nel Dante canonico. Dallo studio linguistico emerge invece che la lingua, fiorentina, mostrerebbe una dimestichezza acquisibile solo dopo un lungo soggiorno in Francia; circostanza che escluderebbe totalmente Dante. Mette infine in dubbio la datazione del manoscritto, che per Contini era un prodotto realizzato in vita di Dante, riportando una diversa perizia paleografica di Teresa De Robertis, che aprirebbe la strada a una datazione più bassa suggerendo possibili parallelismi fra il testimone di Montpellier e alcuni esemplari della Commedia copiati da Francesco di ser Nardo da Barberino all’interno di quel folto insieme di codici che coincide in parte con il Gruppo del Cento, databili tra il 1330 e il 1370 e con caratteristiche codicologiche analoghe (membranacei, su due colonne, vergati in scrittura bastarda di matrice cancelleresca). Una datazione del codice successiva al 1330, forse verso la metà del Trecento, che non pregiudica di per sé l’attribuzione a Dante, lascia aperte anche altre possibilità, specie sulla consecuzione Rose-Commedia-Fiore. La mole di riscontri tra Fiore e Commedia potrebbe infatti essere letta alla luce di una cronologia diversa: l’autore del Fiore potrebbe aver letto la Commedia. (p. 96).

 

 

Riferimenti bibliografici

 

Marco Grimaldi, Dante nostro contemporaneo, Roma Castelvecchi, 2017.

 

Dante Alighieri, Rime, a cura di Marco Grimaldi, Roma, Salerno Editrice, 2015, 2019.

 

Pasquale Stoppelli, Dante e la paternità del ‘Fiore’, Roma, Salerno editrice, 2011, pp. 21 ss.


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