Andrea Donaera

Lei che non tocca mai terra

Milano, Enne Enne Editore, 2021

«Gli occhi bruciati, neri nelle loro orbite profonde, sembravano già vedere il destino che lo attendeva, e tuttavia il ragazzo proseguì il cammino senza esitazioni, il viso rivolto alla città oscura, dove i figli di Dio giacevano addormentati» (O’ CONNOR 1960, p. 231).

Andrea Donaera è uno scrittore salentino, nato a Maglie nel 1989 e cresciuto a Gallipoli, in provincia di Lecce. Ha gettato il seme del romanzo gotico – pathos, elementi soprannaturali, orrore comune, romanticismo progressivo – nella letteratura del tacco d’Italia. L’humus è terra rossa vegliata da ulivi struggenti, che nascondono una botola per l’inferno. Lo stile, il linguaggio, l’espressione della libertà di essere sé stessi rimandano alla letteratura contemporanea americana, che segue le orme de Il cielo è dei violenti di Flannery O’ Connor, di cui la Lei che non tocca mai terra è un degno discendente.

La storia è una marcia d’amore tra il santuario di rose incensate e il candore nauseabondo di un letto d’ospedale. La linea narrativa è tesa tra due vertici: il bene e il male. Sviluppate a Gallipoli, tra il 22 dicembre 2007 e il 20 gennaio 2008, le vicende partono dal coma di Miriam, ripercorrendo la sua vita. Il tutto accade in una settimana, sette giorni, dal lunedì alla domenica, che scandiscono altrettanti capitoli. Il contesto verbale è quello della talking cure, psicoterapia che si trasforma in una scalata sulle vette del dolore, nella quale i personaggi cercano di manifestare le proprie debolezze alla degente – l’etimologia dell’anglicismo rimanda alle parole greche τεραπευω e ψυχη, ‘curare’ ‘l’anima’ –. I suoi genitori provano a stabilire i propri errori. Andrea, il suo amato, prova a entrarci dentro, per restare. Lui è l’unico capace di sentire i suoi pensieri. La lingua della paziente in coma, fatta di prodotti onirici, costruzione della consapevolezza, reazioni impulsive e motti di spirito, scorre tra le pagine, ed è linguaggio della psicanalisi, della sofferenza latente. La protagonista parla attraverso i ricordi, nel sonno, in sogno, proponendo un flusso di coscienza che si distingue a livello grafico dagli altri parlanti all’interno del libro, presentandosi con un carattere differente.

Miriam, ventenne gallipolina, figlia del politico più ricercato della città. In coma perché ha tentato il suicidio, lanciandosi oltre un guardrail. Il movente: una cocente delusione amorosa. Per mano di chi? Di Andrea. Miriam si sente sola, troppo sola. Vessata da un dualismo tutto meridionale con la madre, non proprio una tigre asiatica, ma portatrice di un matriarcato di secoli lontani, animato da un odio perverso, egoista:

«Perché dovete morire sempre tutti? Perché? Vaffanculo. Svegliati» (DONAERA 2021, p. 57).

Il padre, il politicante, un catorcio flaccido, che pensa solo alla sua carriera, cercando di valorizzare il territorio con patinate pubblicità progresso, sfilaccia la sua famiglia. Un papà che alla nascita della figlia si esprimeva col sentimento dialettale, il più puro: «Ma taveru questa è figlia mia? Cusì bella co’ ’sti occhi che sembra che tiene lu mare dentru. Taveru è ’na cosa che è nata da me?» (p. 47).

Miriam è una ragazza alla quale guardano gli occhi, introvabili nel mondo, ma non la guardano mai negli occhi. Solo una persona la guarda negli occhi la prima volta, non affogando nel turchese: è Andrea.

Gallipolino vicino ai trenta. Figlio di un suicida, ritrova suo padre in tutti gli specchi. Coltiva un brutto rapporto la madre, malata di vuoto. Un mentore asfissiante cerca di imporgli un destino: l’esorcista Papa Nanni. Andrea ama la poesia – su tutti Pagliarani – si perde nell’Heavy Metal, suona batteria, agli antipodi dal tamburello ‘benedetto’ del suo padre putativo. Due strumenti simbolo di una guerra generazionale, destinata a scatenare un caos pronto a inghiottire tutti. Andrea è innamorato di Miriam. Ci ha fatto l’amore con purezza. Papa Nanni ammonisce il suo allievo sulla frequentazione della ragazza, colpevole, a suo dire, di avere il male dentro. Eppure, l’esorcista è il fratello della madre. Miriam è sua nipote. È stato allontanato dalla famiglia perché ha ucciso la sorella del padre della ragazza durante un esorcismo. Andrea inizialmente lo ascolta: si distanzia bruscamente dal suo amore. Nel testo vengono riprodotti, attraverso una variazione diamesica, gli SMS che portano la coppia a scoppiare, causando il tentato suicidio di Miriam. Contro il volere di Papa Nanni, Andrea si stabilisce per intere giornate davanti al suo letto d’ospedale, divorato dalla colpa, spinto dall’amore, che è più forte del male?

Due ragazzi cresciuti con le letture di Harry Potter e Il Signore degli Anelli prima di dormire: vedono il luminescente paesaggio salentino sfumare con trame oscure. Mimesi low cost di Twin Peaks, che fa gridare ai millennial, costretti a restare un epiteto che esemplifica il dramma giovanile, leitmotiv dipinto di turpiloquio: paesedimerda.

Miriam e Andrea tessono un dialogo serrato. Miriam parla, ragiona, si libera. I due orbitano in una dimensione esclusiva, una bolla indistruttibile che svolazza sul frastuono. Nella prima fase, la sintassi botta e risposta e il registro colloquiale con dei refrain ad effetto tallonano la drammaturgia:

«[Miriam] Sono stanca di questi occhi. E delle mani che ho, che me le sento fragili come quelle di una statua scheggiata. E di queste labbra, che si screpolano e si spaccano. Mi sento stanca come se sto correndo in un labirinto.

[Andrea] «Sono stanco anche io. Sono stanco di ’sto letto dove stai. Dei cuscini bianchi, delle lenzuola bianche che profumano troppo, che tua madre le cambia tutti i giorni, ti sollevano tutti i giorni, tua madre, tuo padre, la dottoressa, ti prendono, ti sollevano, tolgono le lenzuola, mettono altre lenzuola»

[Miriam] Mi piacerebbe vivere in un posto dove c’è un uragano che si chiama come me» (p. 12).

Nella cucitura del monologo interiore di Miriam, la prosa si trasforma in un prosimetro, generando dinamismo sintattico, fino ad arrivare, alle fasi più vibranti del viaggio, a una versificazione galoppante, che si fraziona in componimenti poetici, liberi, di varia sillabazione, non rimati.

«Ti manchi come se ti stessi dissolvendo: la Terra è lontanissima, e tra le mani hai soltanto una luce che trema, che mette a fuoco, male, pezzi di ciò che eri […]

Sei l’emergere. Sei il sommergere.

Sei la vita che fa cose che non vorresti.

Sei la luce che trema, sei tu.

Sei le ultime volte, sei le ultime parole.

Mentre la luce è sempre meno e trema sempre di più, capisci.

Ricomponi.

Ti capisci.

Ti ricomponi.

Vuoi vivere. Come mai prima d’ora» (p. 99).

Un romanzo di formazione, sentimentale, spirituale, per i personaggi, ma soprattutto per l’autore, che sommerge nel testo un doppio io: è l’alter ego fisico di Andrea, suo omonimo; è l’alter ego psichico di Miriam.

Un romanzo familiare, che racconta il brusco distacco tra figli, genitori e terra. Una ferita ricucita attraverso un amore tormentato, nel quale tutto è concesso, anche inchiodarsi a un letto d’ospedale, indipendentemente dalla prospettiva. La figura di Papa Nanni, che interviene come un burattinaio nelle vite degli amanti, è l’allegoria della morale arcaica, capace di inquinare la libertà amorosa.

La domanda finale che offre il romanzo è netta, inequivocabile: «quando è successo che la vita è diventata solamente uno spazio tra una tragedia e l’altra?»

Bibliografia

DONAERA 2021 = A. DONAERA, Lei che non tocca mai terra, Enne Enne Editore, Milano, 2021.

O’ CONNOR 1960 = F. O’ CONNOR, Il cielo è dei violenti, Minimum Fax, Roma, 2020 (ristampa dell’edizione 1960).