15 dicembre 2021

Stile Alberto

Michele Masneri

Stile Alberto

Macerata, Quodlibet edizioni, 2021

 

La storia della letteratura è anche storia di Piccoli e grandi maestri. Nel suo ultimo libro Michele Masneri ascende con originalità il topos e, aggirando con agilità lo scivoloso crinale delle devote agiografie e delle monografie compilative, scrive insieme di sé, del proprio mentore Alberto Arbasino e del loro incontro-scontro in maniera briosa e personalissima. È sempre arduo scoprire la genesi di simili rapporti e chi sia – davvero – a stabilire i ruoli: è compito del maestro dover scegliere chi gli è allievo? O sta invece al discepolo, al termine di ore operose, doversi eleggere un modello? Per Masneri esiste una terza via fortunosa, se è vero che il suo primo titolo arbasiniano gli piovve letteralmente addosso –  da uno scaffale che non era il suo. Stile Alberto parte da qui ed è, tra le altre cose (ritratto e affresco insieme, album fotografico, bibliografia filologico-emotiva utile a districarsi nel ginepraio delle riscritture), il racconto di una scoperta, di un piano inclinato, di un inseguimento: il referto autobiografico sullo scombussolamento dovuto alle conseguenze post-frana. Del resto, qualche tempo addietro, neppure Arbasino aveva potuto esimersi dall’onere di trovarsi un modello, come ammette al principio del suo Ingegnere in blu:

«i ventenni degli anni Cinquanta scoprirono la sua posizione ‘centrale’ nella nostra letteratura contemporanea. E sull’entusiasmo […] lo dichiararono massimo autore italiano del mezzo secolo, con immenso dispetto di tutti gli altri». (Arbasino 2008, 11)

L’autentica ammirazione provata per Gadda viene confermata da Masneri nel suo libro con l’aggiunta di aneddoti intimi e, verrebbe da dire, sentimentali, se non si trattasse di attributo espunto dai lessici arbasiniani, come per quella pagina ripresa da Matinée in cui sta «una confessione sull’ultima notte di Gadda, con Alberto a tenergli la mano, a vegliarlo, a leggergli la “notte dell’Innominato”» (Masneri 2021, 74). Confessione che – ad ogni modo – non era passibile di opportunismo letterario vista la parsimonia con cui Arbasino distribuiva i propri apprezzamenti – quando questi non erano ironici («auguvi, auguvi», «bella biografia!») o ritagliati nello spazio di una cartolina, «il suo mezzo di espressione prediletto»(Masneri 2021, 38). A rafforzare il carattere (pressoché) di unicum di questa relazione si veda il ricordo che Arbasino firmò per il meridiano di Truman Capote, da cui togliamo, compassionevolmente, appena le prime righe:

«Era piccolo, gonfio, smorto, con questa voluminosa testa da feto imbarazzante […] e quella petulante vocetta agra che passava dall’aggressivo al perentorio». (Arbasino 1999, XCVI)

Quello di Masneri, oltre a essere storia di un’iniziazione e racconto di un apprendistato, è anche il percorso di affascinata venuta a patti con un carattere così idiosincratico e di come, fuori dalle pagine, la realtà si scopra, appunto, meno letteraria. Dall’ urto tra i libri e ciò che ne sta al di fuori derivano indubbiamente le pagine più luminose: come quando nel corso dell’agognato ricevimento in casa del suo idolo, Masneri constata con dolore che quello che gli viene offerto da bere – e che vede lussuosamente immerso entro una ghiacciaia – è mero spumante Asti Cinzano o che quelle che la propria icona di stile indossa ai piedi, al momento di accoglierlo, sono delle ordinarie ciabatte di gomma. La visione (nella sua routinaria convenzionalità borghese) gli è insopportabile al punto che, precipitatosi per le scale dopo lo sbrigativo commiato del padrone di casa, pare escogitare subito un piano di compensazione, immaginandosi ridicolo in strada mentre ad osservarlo c’è proprio Arbasino, che ride inclementemente della sua goffaggine mentre ne segue svagato la fuga dall’alto del terrazzo della sua maison a via Gianturco. Le pagine che raccontano di questa diffrazione, o che lasciano trasparire tenui divergenze col proprio modello sono sempre dolceamare (mai indulgenti); quelle in cui l’idealizzazione resiste all’urto con la realtà addirittura tenere, ed è un candore che sorprende tanto più se si conosce il disincanto ironico in cui Masneri è solito intingere la penna per i suoi articoli. Questo accade però soprattutto quando Masneri ricorre alle memorie personali per descrivere il suo mito personale: quando racconta la necessità di stordirsi (seppur del prevedibile Asti Cinzano) per rendersi tollerabile l’aura schiacciante emanata dallo sguardo del maestro che si posa su di lui, o quando rammenta l’ansia dei pasti al suo cospetto, pagine in cui pare di avvertire il tintinnare timoroso dell’argenteria e dei calici nell’aria resa immobile dalla congestione dell’etichetta e dal senso di inadeguatezza. Ma ancora: ci si riferisce al capitolo in cui Masneri descrive la scoperta del suo orientamento sessuale, da cui l’esigenza di un role-model su cui sagomare la propria identità: prevedibilmente verrà naturale rivolgersi all’ irraggiungibile maestro, salvo scoprire un’insanabile distanza a riguardo figlia di un lignaggio aristocratico–novecentesco che disapprovava al tutto rivendicazioni civili e matrimoni omossessuali, e di un aggiornamento mancato sull’unico lessico che Arbasino sembrasse non padroneggiare «l’esibitivo outing» – confuso col coming out (incredibile, da parte del massimo perfezionista della scelta lessicale)» (Masneri 2021, 51).

Quasi ogni pagina resta venata da un sentimento di angoscia dell’influenza, con cui non si intende quella sensazione agonica e paralizzante teorizzata da Harold Bloom, ma piuttosto un perenne stato di prensile alterazione in ragione della quale il giovane Masneri tenta di captare qualsiasi vibrazione venga spansa dal proprio mito, talvolta provando a divinarne gli umori: «quando sentii: “Quel delizioso romanzetto di Echenoz …” corsi a comprarlo subito, per capire cosa passasse per la testa d’Alberto» (Masneri 2021, 69). Sarà allora lecito domandarsi, in questa sede, se Masneri abbia cercato, oltre che a emularne una certa indole professionale, l’abito, le frequentazioni âgé (il libro muove dagli appunti che stilava in seguito ai loro incontri), a predare anche tra la sintassi i trucchi del mestiere arbasiniani e chiedersi, in definitiva, se Stile Alberto sia sintagma da intendersi anche in chiave squisitamente linguistica. Ad autorizzare un approccio formale è l’autore stesso, che in un’intervista motiva così il titolo:

«Mi riferisco soprattutto allo “stile” che per lui era tutto, nel senso innanzitutto della lingua dei suoi libri, tema principale del suo lavoro, la ricerca di uno stile espressivo per raccontare la realtà[…]».

Del resto il precipitato di questa ricercata stravaganza si lasciava apprezzare anche nell’idioletto e nel lessico famigliare dei conversari arbasiniani, di cui Masneri registra con acribia i tratti rivelatori dell’eletta personalità: non “i pranzi e le cene” bensì “le colazioni e i pranzi”; aborrito il romanticismo anche verso il compagno, algidamente appellato “l’amico Stefano” e mai “il fidanzato”; frequente il ricorso ai diminutivi («la conferenzina») atti a «polverizzare ogni altisonanza trombona» (Masneri 2021, 41), e infine il favore accordato alla compagnia di incolti marchesi piuttosto che dei critici letterari italiani, colpevoli – i secondi – di non conoscere l’inglese e dunque, con ogni probabilità, – inferiamo noi – di pronunciare scorrettamente gin and tonic, suo cocktail prediletto. Se non bastasse, tra la selezione di brani d’autore (sempre puntuali) con cui (insieme agli scatti di Paolo di Paolo) Masneri scandisce il racconto, figura quella pagina fondamentale de Lanonimo lombardo in cui l’ipercolto protagonista, in un momento di pura diagnosi storico-linguistica, lamenta l’incapacità cronica dell’italiano letterario di farsi lingua viva aderendo al sound del parlato moderno. Ed è sulle frequenze del parlato-scritto che sembrano sincronizzarsi lo Stile Alberto e lo Stile Michele: ritmo avvolgente della sintassi nominale, enumerazione, divertito ricorso ai forestierismi, gusto affinato al birignao come pure l’uso di artifici grafici per rendere le pronunce e particolari realizzazioni dell’italiano (Cf. Matt 2020, 52) che stavano già in Fratelli d’Italia («Come sarebbadì»; «Trrroverei molto più chic un Merrrcante invernale) e che Masneri sfrutta per riprodurre il rotacismo così tipico della dizione del “venerato maestro” («cavo», «bvavo»). Le affinità potrebbero non limitarsi al groove, però: oltre ai comuni natali lombardi e al condiviso (e da entrambi abortito) curriculum diplomatico (che a Masneri piace rimarcare nel suo piano di proiezione-immedesimazione), rileggendo la sua bibliografia pare possibile rintracciare un corrispettivo modello arbasiniano per ogni titolo: dall’esordio narrativo con Addio, Monti (in cui le ereditiere dell’Olgiata ricordano molto da vicino certe principesse di Fratelli d’Italia); nel reportage Steve Jobs non abita qui, scritto sul fondale della Silicon valley proprio come il californiano America Amore in cui si percorrevala Route 101, sino a questo, che rassomiglia, nell’eleganza, al genere di profilo-omaggio che Arbasino aveva sperimentato nel già citato L’ingegnere in blu – e oltre si potrebbe andare con le settimanali rubriche giornalistiche – specie su mostre e design. Curiosi di scoprire se Masneri, nel prossimo libro, si attenterà di inseguire nuovamente il suo modello fra le numerose direzioni da lui additate, è un godimento sfogliare Stile Alberto per frequentare «una figura di intellettuale-dandy fastoso così diverso dallo scrittore italiano tipico» (Masneri 2021,13) e insieme per rievocare un’epoca unica fatta di salotti proustiani, viaggi in spider con Gadda per la Camilluccia e scherzi telefonici a Capote, e poi magari ritrovarsi a sospirare, come al termine delle Piccole Vacanze: «che stagioni» (Arbasino 2007, 45).

 

Bibliografia citata

Alberto Arbasino, L’ingegnere in blu

Nota, in Le piccole Vacanze, Milano, Adelphi, 2007

Introduzione, in Truman Capote, Romanzi e Racconti, Milano, Mondadori, 1999.

Fratelli d’Italia, Milano, Adelphi, 2000.

L’anonimo lombardo, Milano, Adelphi, 1996.

America amore, Milano, Adelphi, 2011.

Harold Bloom, L’angoscia dell’influenza, Milano, Abscondita, 2014.

Michele Masneri, Addio, Monti, Roma, Minimum fax, 2014.

Steve Jobs non abita più qui, Milano, Adelphi, 2020.

Stile Alberto, Macerata, Quodlibet, 2021.

Luigi Matt, La narrativa del Novecento, Bologna, Il Mulino, 2020.

 

Sitografia

L’intervista citata: https://www.esquire.com/it/cultura/libri/a37590514/masneri–arbasino–libro–stile–alberto/

 

 


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