Sergio Lubello
L’italiano del diritto
Roma, Carocci, 2021
Docente di Storia della lingua italiana all’Università di Salerno e autore di studî imprescindibili sui linguaggi specialistici (si ricordino almeno Il linguaggio burocratico e La lingua del diritto e dell’amministrazione), Sergio Lubello dà fuori per la collana «Bussole» dell’Editrice romana un saggio sui principali aspetti del linguaggio giuridico italiano, tracciandone un’agile storia dal secolo X a oggi («a partire dai Placiti campani, i testi con valore giuridico in volgare, nello spazio di comunicazione durato per alcuni secoli, in cui la lingua alta fondamentalmente scritta era appannaggio di un’esigua minoranza, furono tra i primi a emergere, irrompendo nello spazio della scrittura in latino», p. 11), soffermandosi sui suoi molteplici — e sovente sommersi — rapporti con la lingua dell’uso (dell’espressione con beneficio d’inventario non è più percepita l’origine giuridica — ‘accettazione d’un’eredità dopo un accurato esame di beni crediti debiti’ — valendo oggi semplicemente ‘fare delle riserve, non accettando per buono tutto quanto viene detto’; nelle more‘ nell’intervallo di tempo che intercorre tra l’avvio di un iter burocratico-giuridico e la sua conclusione’ ha acquisito oggi nel linguaggio giornalistico il senso generico di ‘nel frattempo, in attesa di’; la formula giuridica nonostante — < lat. non obstante — si è ormai grammaticalizzata nel connettivo concessivo benché), sui più vistosi tratti della testualità e soprattutto delle strutture morfosintattiche, che si caratterizzano per impersonalità e forte distacco dall’italiano dell’uso comune. Solo qualche esempio tra i numerosi allegati dall’Autore:
‒ deagentificazione, mediante ricorso a forme passive e costrutti impersonali: La decisione verrà resa pubblica;
‒ netta prevalenza di architetture ipotattiche ricche di parentetiche e frasi incassate, ad accentuare l’oscurità e l’ampollosità: ciò anche se si fosse condivisa la tesi difensiva circa l’irritualità di un’audizione testimoniale e stante altresì l’irrilevanza, ai fini del decidere, delle testimonianze che si chiedeva di escutere in sede di rinnovazione parziale del dibattimento, in quanto o concernenti momenti antecedenti al fatto o comunque non attinenti alla fase finale della condotta posta in essere da costui;
‒ prevalenza della nominalizzazione, avente come effetto la proliferazione di parole vuote e superflue (dare lettura ‘leggere; dare informazione ‘informare’; apporre la firma ‘firmare);
‒ omissione dell’articolo, al fine di marcare l’indole specialistica del testo (proporre ricorso; depositare istanza);
‒ enclisi pronominale, frequentissima nei testi normativi (trattasi, concessegli), specie nelle perifrasi formate da verbo modale + infinito (ordinanza che deve trascriversi; non possono attuarsi; deve farsi espressamente per iscritto);
‒ doppia negazione: non si può non ammettere che;
‒ inversioni d’ogni tipo: dell’aggettivo (impugnata sentenza; le riportate osservazioni; le debite rimostranze; la contestata norma); del verbo (si costituiva la controparte); dell’avverbio (senza minimamente chiedersi); del numerale (mesi otto);
‒ uso dell’imperfetto narrativo nelle sentenze: Dulberg Moshe, con atto di querela datato 1° marzo 2000, esponeva al PM di Genova che alcuni siti internet […]. Riferiva il Dulberg che le due minori, nate dal suo matrimonio […], erano state affidate […]. Successivamente la madre aveva arbitrariamente portato con sé le due bambine […];
‒ presente storico: La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica;
‒ presente performativo (enunciazioni coincidenti con l’azione): il comma dell’articolo 4 del Codice penale è abrogato;
‒ futuro iussivo: l’imputato pagherà; la controparte rispetterà; si impegnerà a rispettare le clausole;
‒ forme participiali: si considera celebrato il matrimonio; quando risulta provata la colpevolezza;
‒ participio presente con valore verbale (i diritti spettanti al condannato; le norme regolanti il processo); Lubello segnala, poi, l’uso di stante per ‘in virtù di’ (stante l’avvenuta riparazione dell’edificio danneggiato) e le mansioni sostantivali assunte da alcuni participî (acquirente, adottante, alienante, attenuante, avente causa, avente diritto, contraente, convivente, discendente, donante, inadempiente, insolvente, mandante, opponente, promittente, rappresentante, ricorrente, utente ecc.);
‒ sovraestensione dell’infinito in frasi completive: l’avvocato chiede applicarsi all’imputato uno sconto della pena in luogo di chiede venga applicato; costrutto inaccettabile in contesti non giuridici, come avvisa Mortara Garavelli con un esempio illuminante: La ragazza chiede applicarsi una toppa ai suoi jeans;
‒ propensione al congiuntivo nelle subordinate: è infatti da verificare se sia possibile una ratifica immediata.
Quanto al lessico, secondo la classificazione di Mortara Garavelli, abbiamo:
‒ i tecnicismi specifici del linguaggio giuridico: usucapione, fideiussione, rogatoria, contumacia, enfiteusi, laudemio, abigeato, novazione elocuzioni come dante causa;
‒ i tecnicismi detti collaterali in quanto destituiti di qualsiasi necessità: escussione dei testi per ‘interrogatorio dei testimonî’;
‒ le risemantizzazioni con estensione semantica: dispositivo, esame, vizio, fermo, compromesso, emulazione, agente, proprietà, censura, truffa, controversia, tutela; «Va da sé che esiste anche il passaggio contrario alla tecnificazione, quello di detecnificazione, cioè un termine specialistico può passare non solo a un altro linguaggio specialistico (processo di transfert), ma anche alla lingua comune (dalla medicina, ad esempio, il termine allergia passato anche nella lingua d’uso a indicare ‘avversione per qualcosa’», p. 64).
Arricchiscono il volume un capitolo sull’italiano giuridico fuori d’Italia (Svizzera e Unione Europea) e una nota su lingua, diritto e istruzione.
Riferimenti bibliografici
Sergio Lubello, Il linguaggio burocratico, Roma, Carocci, 2014.
Id., La lingua del diritto e dell’amministrazione, Bologna, Il Mulino, 2017.