Alessandro Gaudio

Necessità del romanzo. Meditazioni minime per una critica della modernità

Pavia, Divergenze, 2021

Docente di Letteratura italiana contemporanea all’Università della Calabria, autore di originali ricerche sulla prosa novecentesca (Morselli antimoderno, Il romanzo del Sud, Gli anelli di Saturno), Alessandro Gaudio vara — per la collana «Il Simposio. Officina scientifico-letteraria» dell’Editore pavese — la seconda edizione (20201) di dieci studî, in gran parte inediti, sul genere più costantemente osservato dalla critica, che, nato nel XVI secolo e diffusosi nell’Ottocento, crea «uno spazio polimorfo, sempre più emancipato dalle regole della retorica classica e dall’allegoria, il cui modo di raccontare non è confinabile nei codici di altri generi narrativi come epos, chanson de geste e opere storiografiche, o, per lunghezza, le novelle. Di fatto, nel Medioevo, la novella ha la stessa funzione del romanzo poiché fonde storia e poesia, ovvero la tradizione del novel, fatta di storie finte ma verosimili, con quella del romance, composta di narrazioni finte e improbabili» (p. 3). Il romanzo moderno respinge, secondo l’Autore, la funzione di puro intrattenimento, istituisce «un vocabolario narrativo dell’introspezione» (p. 4) e fonda la critica alla cultura ufficiale e alla società, proponendosi — all’inizio del secolo scorso — quale atto vitale oppositivo e resistente, interazione, pluralità, ponte tra soggetto e oggetto, personale e collettivo, «griglia epistemologica finita eppure aperta» (p. 5), radiografia del reale avente come scopo principale la radicale modificazione dell’esistente; insomma, azione politica e — parola di Lukács — «presente che produce futuro». Si tratta, dunque, del luogo in cui «sé e non-sé si costituiscono dialetticamente secondo un andamento difensivo e al contempo, ponendosi come forme positive e creative dell’esistenza umana, forme che garantiscono la crescita e l’uscita dallo stato di immaturità per l’uomo, strumento necessario per il parricidio che ci rende adulti. Il romanzo […] ci svela che le cose non sono come sembrano, rivela la nostra vocazione e i desideri più veri, dunque che la vita apparente non è la vita reale. È uno strumento di analisi psichica e morale, impuro in sommo grado, della Storia e della realtà circostante, delle costruzioni sociali e di noi stessi, che solleva il velo di Maya e ci restituisce all’identità di uomini» (p. 46).

Gaudio sottopone, quindi, ad analisi serrata un manipolo di narrazioni che coniugano il politico al letterario, scaturendo dalla «tensione dell’individuo che attraversa il dramma del male superandolo» (p. 7): Petrolio di Pier Paolo Pasolini, Annibale Rama di Paolo Volponi, L’inaugurazione della strada di Dino Buzzati, Dissipatio H.G. di Guido Morselli, La coda della cometa di Italo Cremona, 3012 di Sebastiano Vassalli, La dismissione di Ermanno Rea, Verità e menzogna di Guido Piovene, La penultima fine del mondo di Elvira Seminara e La speculazione edilizia di Italo Calvino.

Lo spazio di una recensione “breve” e la complessità dell’opera non consentono un puntuale resoconto; ci limiteremo perciò a due casi esemplari.

Secondo l’Autore, Petrolio di Pasolini non sarebbe, come pare a più d’un critico, un brogliaccio non meno ingenuo che ipertrofico e rabberciato, se non persino illeggibile, cui può annettersi al massimo un valore documentario, ma uno spazio a più dimensioni in cui l’azione si sposa alla contemplazione, un tentativo «mostruoso di rendere visibile, e narrabile, la quota di realtà situata fuori dalla coscienza, attraverso l’imitazione della sua simmetria esistenziale, per natura enciclopedica […]. L’incompletezza tanto studiata, e l’unità di forma e contenuto, creano l’innocenza con cui osservare lucidamente la disgregazione di identità e ragione e il loro mito, tanto da far passare la realtà allo stato di parola specifico del mito, o della parodia di esso, e giocare a rimpiattino, direbbe Barthes, con senso e forma. I due elementi non sono intesi come un dentro e un fuori del mito, perché il mito allestito da Pasolini non vuole nascondere nulla: anzi estende i limiti della forma sino a includere le sue intenzioni […]. È da qui che deriva l’effetto manieristico, caro a Pasolini, in cui risiedono la motivazione e la carica oppositiva e dissacrante della sua opera testamentaria. La maniera di Petrolio è opposizione e dissacrazione della realtà, ostensione dell’immagine immutabile […]. In questo spazio, l’arte non offre al fruitore la speranza di un mondo migliore; della realtà, però, evidenzia i pieni e i vuoti, ciò che è visibile, ciò che è solo immaginabile che esso sia e ciò che non si riesce neanche a immaginare. Ci dà dunque la conoscenza dell’oggetto esterno, analizzato attraverso il principio di simmetria, e distaccandolo da noi ci fa conoscere la nostra identità» (pp. 13, 15). Non si aderisce volentieri a una sola parola, ma nessuno vorrà negare la rara capacità investigativa e deduttiva del critico.

Non si può, viceversa, non consentire con la sottile esamina del racconto buzzatiano L’inaugurazione della strada (1935), in cui il ministro degli Interni Mortimer e il suo séguito tentano invano di raggiungere il piccolo borgo di San Piero per collaudare la via che lo collega alla capitale: malgrado tutto cospiri a dubitare dell’esistenza stessa della meta, il ministro prosegue il viaggio in un deserto che sembra non aver fine; in questa ostinazione, annota Gaudio, «c’è tutto Buzzati: il suo tocco sulla realtà, il desiderio di precisarsi nelle cose, nella loro esistenza, persino quando l’esistenza è insicura (ma forse è proprio l’insicurezza dell’esistenza a esprimere ciò che si sottrae all’incontestabilità del reale […]). Mortimer raffigura sia lo sguardo sia la mancanza, e lo sguardo costruisce la base per indagare la natura del vuoto e narrare l’impossibilità di colmarlo, fino a raggiungere il nulla. Di fatto, nel racconto, progressivamente Buzzati porta avanti l’idea di partenza fino all’assurdo, fino all’inquietudine dell’attesa, allo spavento scaturito da una smagliatura nella norma. Perciò l’assenza di San Piero obbliga a guardare verso il paese stesso e affascina; è segno di desiderio, funzione di quella mancanza che è formula della scrittura, sua causa nel nome del desiderio presente e nell’anelito al futuro, tanto da divenire un presente che produce futuro» (p. 22).

Riferimenti bibliografici

Alessandro Gaudio, Morselli antimoderno, Caltanissetta, Sciascia, 2011.

Id., Il romanzo del Sud, Roma, Giulio Perrone Editore, 2017.

Id., Gli anelli di Saturno, Diacritica Edizioni, 2020.

Roland Barthes, Il mito, oggi, in Id., Miti d’oggi [1957], trad. di L. Lonzi, Torino, Einaudi, 1994, p. 200.