Gian Biagio Conte
I diritti della filologia (e i doveri dell’interprete)
Postfazione di Enrico Malato
Roma, Salerno Editrice, 2022
Secondo il filosofo franco-algerino Jacques Derrida (Algeri 1930 – Parigi 2004), padre del decostruzionismo, ogni segno — a suo dire costituzionalmente ambiguo e ingannevole — rimanda ineluttabilmente a una catena interminabile d’altri segni, ed è dunque impossibile ambire a un’oggettività ermeneutica ricostruendo sistematicamente il senso di un testo, data la pluralità, contraddittorietà e non univocità/assolutezza dei significati — incluso il non detto — di cui esso è portatore.
Scetticismo e radicalismo relativistico contro cui si scaglia con lucida veemenza — per la collana «Astrolabio», diretta da Enrico Malato — Gian Biagio Conte (emerito di Letteratura latina alla Scuola Superiore Normale di Pisa, visiting professor alle Università di Oxford, Princeton, Berkeley, Stanford e prolifico saggista: ricordiamo almeno Memoria dei poeti e sistema letterario; Virgilio: il genere e i suoi confini; L’Autore nascosto: Un’interpretazione del Satyricon di Petronio; Virgilio: l’epica del sentimento; Dell’imitazione. Furto e originalità; Profilo storico della letteratura latina. Dalle origini alla tarda età imperiale) a tratti con sardonici, asperrimi toni da pamphlet: «La molla che all’apparenza muove tutti quegli interpreti è il culto della (loro) intelligenza, un culto che li solleva di qualche spanna sopra la mediocrità (altrui). Sanno leggere tra le righe, a differenza dei molti pecoroni che leggono solo le righe: sentono di essere il pensiero acuto capace di distaccarsi dal pensiero ottuso. Viene quasi la tentazione di ringraziarli: ci ricordano che l’anticonformismo, il quale in sé e per sé è un valore massimo, se lo si persegue con pervicacia, può diventare una fatale condanna. Quando è ben speso, libera la mente; quando è speso male, la inganna. C’è in ognuno di loro una stupefacente mancanza di umiltà, quella che spesso li fa indulgere all’autocompiacimento. Per la paura di incorrere in interpretazioni che concordano con ‘quelle altrui’, escogiterebbero ogni tipo di insolenza purché contro corrente: si sentono scaltri in mezzo a un mare di ingenui. Ecco perché, a parlare con loro, saremmo quasi tentati di rivalutare perfino il più trito conformismo pur di scampare alla loro maniacale sospettosità critica» (pp. 54-55).
Si tratta, afferma Conte, non già d’una forma di polisemia ma d’una deriva del senso avente lo scopo di distruggere il testo come struttura semantica organizzata; perfino nello studio delle letterature classiche, dove, mentre il filologo è alla strenua ricerca di un significato netto e inequivocabile, il decostruzionista s’industria in ogni modo per privare il testo d’ogni spessore destituendo di fondamento la stessa storia della sua interpretazione: «Si possono addirittura leggere studi su Giovenale che spossessano della sua stessa identità il poeta satirico (ribattezzato Anon) in assoluto misconoscimento dei riferimenti personali rintracciabili in Marziale, e a dispetto dei convincimenti di Sir Ronald Syme a proposito della nota σφραγίς identificativa posta alla fine della satira 3. Come se questo non fosse già troppo, il captator Pacuuius della satira 12 — in base a un contatto presupposto, ma del tutto infondato, con la sesta egloga virgiliana là dove viene invitato il pastore a rendere «grasse» le pecore e sottile la poesia — eccolo mutarsi in personaggio dal “nome parlante”: si chiamerebbe Pacuuius per la fusione del callimacheo παχύς con il virgiliano ouis, e sarebbe perciò «Mr. Fat Sheep» (p. 33).
Ma vediamo in che modo, secondo l’Autore, sia possibile evitare abusi e arbitrî esegetici rispettando la lettera del testo: «la disciplina dell’interpretazione si fonda non tanto su una metodologia dell’interpretazione quanto su una logica della convalida: è a questo punto che interviene il metodo, l’uso di una logica i cui principi siano essenzialmente quelli rispondenti a obiettivi giudizi di probabilità. Nell’ermeneutica la verificazione è appunto il processo mediante cui si stabiliscono probabilità relative. Se un significato non viene in qualche modo metodicamente verificato, esso sarà soltanto il significato dell’interprete: avremo come unica garanzia solo le connotazioni e le accentuazioni imposte ad libitum da lui stesso. Deve comunque essere nettamente tracciata una linea di divisione fra i significati verbali oggettivi e quei significati che indoviniamo a metà con un esercizio di immaginazione sopra-linguistico. Quel che rende una lettura probabile è innanzitutto la sua legittimità, il suo essere conforme alle norme della lingua in cui il testo è prodotto e alla concretezza dei segni linguistici che lo comunicano. Ma essa dovrà anche essere plausibile, e lo sarà solo se risponde pienamente (o almeno non contraddice) ai criteri di coerenza; in tal caso la verifica comporta una ponderata ricostruzione del contesto, vale a dire del senso complessivo, quello che è costituito da significati parziali espliciti ma è anche delimitato da un orizzonte di aspettative concordi: un significato sarà coerente con un altro perché apparirà plausibile in rapporto al tutto, in rapporto cioè alla struttura unitaria del testo». (pp. 34-35).
Non si può non eccepire che ciò è indubitabilmente vero per quanto riguarda le letterature classiche e tutte le opere “chiuse”, non già per quelle programmaticamente aperte alla compartecipazione attiva del fruitore, autorizzato — anzi chiamato — a compierne il senso. Quale conoscenza condivisa, quale «orizzonte di aspettative concordi», quali verifiche oggettive consentono opere come Finnegans Wake di James Joyce o Giunte e virgole di Antonio Pizzuto?
Riferimenti bibliografici
Gian Biagio Conte, Memoria dei poeti e sistema letterario, Torino, Einaudi, 1974.
Id., Virgilio: il genere e i suoi confini, Milano, Garzanti, 1984.
Id., L'Autore nascosto: Un'interpretazione del Satyricon di Petronio, Bologna, Il Mulino, 1997.
Id., Virgilio: l'epica del sentimento, Torino, Einaudi, 2002.
Id., Dell’imitazione. Furto e originalità, Pisa, Scuola Normale Superiore, 2014.
Id., Profilo storico della letteratura latina. Dalle origini alla tarda età imperiale, Firenze, Le Monnier, 2019.