Dei poeti italiani
a cura di Franco Arato
Roma-Padova, Antenore, 2021
Docente di Letteratura italiana all’Università di Torino, Franco Arato allestisce per la collana «Scrittori italiani commentati» dell’Editrice patavina, diretta da Giuseppe Frasso, Aldo Menichetti, Gianni A. Papini e Antonia Tissoni Benvenuti, un’edizione critica dell’opera maggiore dell’erudito secentista Alessandro Zilioli (Venezia, 1596-1645), noto soprattutto come cronista politico: un profilo di storia letteraria (il cui codice è custodito nella genovese Biblioteca Durazzo) composto da oltre duecento biografie di poeti — ordinate non alfabeticamente ma storicamente — dalle origini alla fine del Cinquecento, e articolato in sei «etadi» (la morte impedì all’autore di elaborare l’ultima): la prima di Bonagiunta Orbicciani, la seconda di Dante, la terza di Petrarca, la quarta di Luca, Aluigi e Bernardo Pulci, la quinta di Ariosto, la sesta di Tasso e Marino.
Più della metà degli autori trattati, avverte Arato nella corposa Introduzione , «appartiene al Cinquecento, con netta prevalenza di autori settentrionali, in particolare veneti. La poesia delle origini e quella degli stessi Dante e Petrarca ottiene un giudizio rispettoso, sì, non mai simpatetico, in linea con il gusto allora corrente, che dei ‘primitivi’ non faceva gran conto. […] Inizialmente l’erudito risulta timido nella valutazione dei meriti poetici, guarda soprattutto al nudo dato storico (o pseudostorico): ogni medaglione comprendendo di solito una svelta biografia, la citazione di qualche verso, un necrologio contemporaneo, egualmente in versi (c’è però il legittimo sospetto che Zilioli alcuni necrologi li abbia fabbricati di sana pianta) e, se disponibile, l’epigrafe sepolcrale. Ma via via il raccoglitore di notizie diventa sempre meno impassibile. Per esempio, in un passo, poi cassato, dell’Introduzione si prende la libertà di irridere lo stile di Guittone osservando “quanta insipidezza, e spropositi [vi] siano mescolati, i quali al dì d’oggi gl’istessi canta in banchi li più ignoranti si vergognerebbero di darli fuori sotto il loro nome”; quando del poeta aretino traccia la biografia, in parte correggendo il tiro, attribuisce le censure di Dante e di altri a spirito partigiano: “le oppositioni che coloro fecero ai scritti di Guittone d’essere di stile umile e vulgare riescono appresso i moderni di poco rilievo, perciò che nello stesso vitio incorrono quelli del Guinicelli, di Cino e dell’istesso Dante, che si stimavano tanto superiori a lui”»» (pp. XXII, XXIV).
Dei poeti italiani si apre con una Introduttione dove si tratta dell’origine della lingua e poesia italiana , in cui Zilioli (definito da Croce «inventore di molte bubbole») sostiene non solo che l’italiano è superiore al latino in plasticità ed espressività («[L’italiano è] lieto, dilettevole e facile altrettanto a spiegare le facetie e gli amori, quanto accomodato a esprimere ogni qualità di concetto più grande e più efficace, perciò che con la prontezza e bellezza delle voci e con l’attitudine e dolcezza degli articoli, temperando soavemente la tessitura dell’oratione, rivolge ovunque le piace lo stile con dignità e con leggiadria; là dove il latino […] non può così liberamente dilatarsi, né raccogliere le delitie dell’eloquenza, ma a guisa di un cavallo tirato dal freno è costretto andarsene timido, irrisoluto, contrastando sempre col morso e con la volontà di chi lo regge»), ma che l’italiano non discende dal latino, bensì da un sostrato prelatino simile al greco, perché «tutti i paesi d’Italia sono stati da’ greci, e da le colonie loro sino dagli antichissimi tempi abitate, i quali è ragionevole credere che vi portassero anco e mantenessero la lingua loro».
Opera, dunque, priva di qualsiasi obiettività, attendibilità scientifica e rigore storiografico se si considera, tra l’altro, che vi si ammette un manipolo di poeti provenzali (Folchetto, Raimbaut de Vaqueiras, Bonifacio Calvi, Lanfranco Cicala, Uc de Pena, Sordello) in nome di un accusato, viscerale nazionalismo. Secondo il curatore, infatti, si tratta di «un’avventurosa impresa d’un letterato dell’età barocca; che, pur non ostentando le oltranze espressive e i paradossi argomentativi tipici dei suoi quasi contemporanei in vena di escursioni bibliografico-critiche, da Aprosio a Frugoni, ne condivide l’ ethos anticlassico. Più timido e insieme più ambizioso di loro, cela gli idoli polemici e le stesse fantasie romanzesche dentro una galleria prosopografica che, se da un lato guarda ai vecchi repertori cinquecenteschi, dall’altro aspira a un enciclopedismo storicamente scandito. Non prova neanche a essere obiettivo, legato com’è ai propri disgusti di lettore partigiano: sembra anzi si diverta a citare con abbondanza versi e versicoli che poi spietatamente getta, diremo così, da un’ideale rupe dell’impotenza espressiva, quasi fosse un piccolo Aristarco Scannabue, un Baretti ante litteram […]. All’inquieto, ribelle, solitario, donchisciottesco Zilioli andrà reso l’onore delle armi e riconosciuto il merito che gli spetta: aver capricciosamente innalzato l’impalcatura d’un edificio cui altri avrebbero dato ordine, peso, misura» (pp. XXXIV-XXXV).
Pienamente condivisibili i criterî di edizione, salvo per quanto riguarda la conservazione della grafia latineggiante ti ( amicitia , Venetia , mercantia ecc.): assai più opportuno l’ammodernamento.
Riferimenti bibliografici
Marco Arato, Il secolo delle cose. Scienza e storia in Francesco Algarotti, Genova, Marietti, 1991.
Id., Letterati e eruditi tra Sei e Ottocento , Pisa, Ets, 1996
Id., La storiografia letteraria nel Settecento italiano, Pisa , Ets, 2002
Id., Edizione critica, introduzione e commento di Carlo Goldoni, Il cavaliere e la dama , Venezia, Marsilio («Edizione Nazionale delle Opere di C. G.»), 2003.
Id., Lettere in musica. Gli scrittori e l’opera del Novecento , Novi Ligure, Città del Silenzio Edizioni, 2007.
Id., Parola di avvocato. L’eloquenza forense in Italia tra Cinque e Ottocento , Torino, Giappichelli, 2015.