Claudio Ciociola
Gianfranco Contini: un’idea di Dante
In Grandi maestri di fronte a Dante , Atti del Seminario dantesco permanente (3 marzo - 2 dicembre 2021), a cura di Simona Brambilla, Nicolangelo D’acunto, Massimo Marassi, Paola Müller, con la collaborazione di Emiliano Bertin, Roma, Vita e pensiero Editrice, 2022, pp. 93-109.
Un articolo, questo di Claudio Ciociola su Gianfranco Contini lettore di Dante, che vale più di un libro. Lo studioso (accademico della Crusca e professore emerito della Scuola Normale di Pisa) si concentra — tra i numerosi scritti danteschi del Domese — su Un’interpretazione di Dante (in «Paragone. Letteratura», 16, 188, 1965, pp. 3-42, poi in G. Contini, Varianti e altra linguistica. Una raccolta di saggi [1938-1968] , Torino, Einaudi, 1970, pp. 369-405, a p. 405, e infine in Id., Un’idea di Dante. Saggi danteschi , Torino, Einaudi, 1976, pp. 69-111, a p. 111), in quanto «riepilogo e manifesto […] del dantismo continiano all’altezza del centenario del 1965» (p. 94), aprendosi e chiudendosi sul problema della “leggibilità sincronica” della Commedia , ossia del rapporto di Dante con la modernità; questo l’ incipit :
Questo è il sincero esame di coscienza di uno a cui è stata attribuita qualche responsabilità, o magari custodia, di cose dantesche; e che perciò deve cominciare dalla semplice e drastica domanda: se si legga ancora la Divina Commedia . Non, naturalmente, per obbligo scolastico o per dovere culturale; ma per la libera e ilare scelta di chi s’induca a ripercorrerne il racconto da un capo all’altro, concedendo la sua fiducia al narratore, prestandosi al suo gioco, combaciando con le sorprese preparate, come si fa tutti i giorni per i poemi omerici e l’ Eneide , per il Furioso e il Chisciotte , per i Promessi Sposi e ogni grande romanzo dell’Ottocento, per la Recherche du temps perdu e Ulysses . Non dubito che nel complesso la risposta risulti negativa; come, a rovescio, non dubito che ad apertura di libro, o a interrogazione di memoria, il dettato, quasi in ogni sua parola, abbia il travolgente, l’irresistibile peso delle apparizioni prime e impreviste.
Se da un lato il lettore moderno percepisce la propria siderale distanza dalla fabula , dall’altro è irresistibilmente attratto dal registro fantastico-verbale, come Contini aveva scritto in una cartolina a Luigi Santucci del 1963: «Mi sono riletto, in previsione delle prestazioni centenarie, Dante, e mi sono accorto dello scarto tra il ‘libretto’ remotissimo e l’enorme attrazione di ogni pagina singola, stralciata e letta in rallentato». L’esecuzione veloce sta al «libretto» come l’esecuzione rallentata sta alla testura verbale; ma poiché il libretto non tiene più — afferma Luigi Blasucci — « gli esiti poetici sono tutti dalla parte della verbalità: non distinti spazialmente dai “non poetici” (si pensi all’immagine crociana della vegetazione che ora copre la muratura, ora no), ma percepibili all’interno di una particolare dimensione del testo (Contini parla anche di diversi stati della poesia, “come si dice stato solido o liquido della materia”). Ed ecco allora la vicenda escatologica di Dante popolarsi linguisticamente di un’incredibile varietà di realia : paesaggi, animali, persone, eventi. Quel Dante “poeta del mondo terreno” disvelato da Auerbach attraverso l’interpretazione ‘figurale’ si ripropone nelle pagine del saggio continiano Un’interpretazione di Dante da questa nuova angolazione critica».
L’attualità e l’inestinguibile vitalità di Dante risiede dunque, secondo Contini, nella sua lingua, come si legge nel suo elzeviro del 1965 dal titolo Dante oggi :
Che la Commedia sia l’unico capolavoro del medio evo europeo tuttora linguisticamente vivo, è un vantaggio che avrà anche le sue controparti nell’immobilità delle strutture e nello stigma aristocratico della cultura italiana. Fruendo intanto del vantaggio, si esalti la geniale responsabilità di Dante nell’immediata conversione del problema poetico in questione linguistica.
Ricercatore scrupoloso e insaziabile, Ciociola cita a conferma uno scritto inedito da lui rinvenuto tra le carte del grande filologo:
In un quaderno a quadretti […], che spero di pubblicare altrove, si leggono gl’inediti primi due capitoli di quella che doveva essere un’essoterica introduzione a Dante. Il testo fu presto abbandonato, né saprei datarlo con precisione: anche se non pare azzardato collocarlo in epoca circostante l’anno del centenario del 1965. Nel primo capitolo, vera e propria introduzione compendiosa a Dante, si legge questa formulazione del «paradosso linguistico» della Commedia : «questo capolavoro si situa di là dai tempi moderni, ma è scritto in una lingua viva e nostra; a una soluzione di continuità ideologica e culturale si oppone una perfetta continuità, nonché fantastica, linguistica». Come si vede, si riaffaccia il dualismo: inattualità del ‘libretto’/attualità della poesia dantesca, declinato in chiave linguistica. Alla «continuità linguistica» si contrappone una «discontinuità culturale»: «A tale continuità linguistica è antitetica la discontinuità culturale. L’essenziale di Dante, il suo linguaggio, è vivo quanto mai, e anzi la sua vitalità si è accentuata nei tempi moderni (nel romanticismo per consentaneità all’energia e multiformità dell’immaginazione, in anni recenti per il consenso alla sua qualità inclusiva anziché selettiva, alla sua congiunzione di quotidianità e di sapienza), ma il suo patrimonio d’idee, anche in quanto riflesso nella costruzione astratta dell’opera, si trova di là dal solco che separa il non moderno dal moderno». L’articolazione è diversa, ma il punto di vista è lo stesso del gran finale di Un’interpretazione di Dante : «La contraddizione vitale di Dante è che la sua cultura, scolastica, summatica, universalistica, enciclopedica, sia calata in un veicolo particolare, nazionale e appartenente anche alle “muliercule”. È precisamente l’inclusività della sua remota cultura che lascia sempre sopravanzare un margine atto a girare l’ostacolo delle contingenti antitesi; la sua lontananza è insieme controprova e garanzia della sua vicinanza vitale. L’impressione genuina del postero, incontrandosi in Dante, non è d’imbattersi in un tenace e ben conservato sopravvissuto, ma di raggiungere qualcuno arrivato prima di lui».