Marco Sterpos
Il grande Verga. La narrativa e il teatro
Prefazione di Massimo Seriacopi
Castelfranco Piandiscò (AR), Edizioni Setteponti, 2022
Ottocentista informatissimo e appassionato carduccista (si ricordino almeno Il primo Alfieri ed oltre; l’edizione critica della corrispondenza tra Giosue Carducci e Isidoro Del Lungo; Interpretazioni carducciane; Alfieri fra tragedia, commedia e politica; Ottocento alfieriano; L’artista e il vate. L’esperienza poetica di Giosue Carducci; Il poeta, la donnissima e il generale. Il grande amore di Giosue Carducci; Studi carducciani vecchi e nuovi, nonché la curatela dei carducciani Giambi ed epodi), Marco Sterpos si ripresenta al pubblico dei lettori nel centenario della morte di Giovanni Verga con un studio biobibliografico e linguistico-stilistico (divulgativo nell’accezione più nobile della parola, rivolto dunque anche ai non specialisti, grazie al linguaggio terso e perfino affabile che i suoi aficionados gli hanno sempre riconosciuto) sulle opere narrative e teatrali dello scrittore catanese (1840-1922), «protagonista e maestro — così in quarta di coperta — di una grandiosa rivoluzione narrativa ed espressiva che ha investito con la sua ondata innovativa non solo la narrativa del secondo Ottocento ma anche quella del Novecento: secolo nel quale praticamente tutti i romanzieri hanno dovuto in qualche modo confrontarsi con lui. […] Ripercorrendo tutta la parabola dell’opera verghiana l’autore parte dal Verga preverista […] per passare a illustrare la nuova poetica verista sotto il cui segno nascono la ‘rivoluzionaria’ novella Nedda e la raccolta Vita dei campi e giunge con I Malavoglia il primo grande romanzo verista. [Si prende poi in esame] il teatro, mostrando come anche in quel campo Verga sia stato innovativo, specie con la memorabile Cavalleria rusticana che, rappresentata nel 1884, è universalmente ritenuta il dramma che apre la via al teatro verista italiano».
Si inizia, dunque, dai primi romanzi preveristi (l’inedito Amore e patria, composto nel biennio 1856-57 e definito da Enrico Ghidetti «un rigurgito di enfasi oratoria e di compiacimento patetico»; I carbonari della montagna, scritto nel 1860, che segna il vero esordio del Catanese; Sulle lagune, uscito a puntate nel 1863, col quale Verga — ancora parola di Ghidetti — salda «il suo debito residuo alla letteratura risorgimentale»; Una peccatrice, pubblicato nel 1866, sugli ambienti nobiliari e alto-borghesi come Storia di una capinera, uscito nel 1870 a Torino; Eva, del 1873; Eros e Tigre imperiale, rispettivamente del 1874 e del 1875) per approdare alla novella Nedda, apparsa nella «Rivista italiana» nel 1874, «con la quale fa irruzione sulla scena letteraria nazionale un personaggio nuovo, talmente nuovo che della sua novità non sembra rendersi conto appieno neppure il suo autore» (p. 41). Sterpos nota acutamente come Verga recuperi la memoria della propria fanciullezza nella Sicilia etnea in un modo sorprendentemente analogo al motore della Recherche proustiana, che lo scrittore francese avrebbe chiamato intermittances du coeur: là si tratterà di una madeleine intrisa nel tè, qui di un focolare che accende mille fantasticherie:
Quando mi fui iniziato ai misteri delle molle e del soffietto, m’innamorai con trasporto della voluttuosa pigrizia del caminetto. Io lascio il mio corpo su quella poltroncina, accanto al fuoco, come vi lascierei un abito, abbandonando alla fiamma la cura di far circolare più caldo il mio sangue e di far battere più rapido il mio cuore; e incaricando le faville fuggenti, che folleggiano come farfalle innamorate, di farmi tenere gli occhi aperti, e di far errare capricciosamente del pari i miei pensieri. Cotesto spettacolo del proprio pensiero che svolazza vagabondo intorno a voi, che vi lascia per correre lontano, e per gettarvi a vostra insaputa quasi dei soffi di dolce e d’amaro in cuore, ha attrattive indefinibili. Col sigaro semispento, cogli occhi socchiusi, le molle fuggendovi dalle dita allentate, vedete l’altra parte di voi andar lontano, percorrere vertiginose distanze: vi par di sentirvi passar per i nervi correnti di atmosfere sconosciute: provate, sorridendo, senza muovere un dito o fare un passo, l’effetto di mille sensazioni che farebbero incanutire i vostri capelli, e solcherebbero di rughe la vostra fronte.
E in una di coteste peregrinazioni vagabonde dello spirito la fiamma che scoppiettava troppo vicina forse, mi fece rivedere un’altra fiamma gigantesca che avevo visto ardere nell’immenso focolare della fattoria del Pino, alle falde dell’Etna.
Si passa poi ad analizzare la lingua, lo stile, i temi e la tecnica narrativa (impersonalità, discorso indiretto libero) della stagione verista, dalle novelle di Vita dei campi (1880) a I Malavoglia (1881); da Il marito di Elena (1882, col quale si torna agli ambienti dei romanzi mondani giovanili: «È questo un romanzo che Verga palesemente scrisse poco volentieri con l’intenzione di recuperare almeno una parte di quel pubblico che lo aveva abbandonato perché frastornato dalla novità di I Malavoglia», p. 125) alle Novelle rusticane (1882), veri e proprî cartoni preparatorî del secondo grande romanzo, Mastro don Gesualdo (1889); dalle novelle — o, più precisamente, bozzetti — di Per le vie (1883), di cui il critico salva esclusivamente Il canarino del N. 15 con motivazioni persuasive, alla raccolta Vagabondaggio (1887); da Mastro don Gesualdo, in cui Verga, dopo essersi nel primo romanzo “eclissato” come autore, «torna ad essere il narratore che domina gli eventi e muove i personaggi, necessariamente onnisciente: un narratore che non solo presenta i personaggi per mezzo di ritratti quasi manzoniani ed interviene a commentare i loro fatti e le loro azioni, ma si fa spesso anche carico di far conoscere i loro segreti pensieri» (p. 180) alle undici novelle di Don Candeloro (1894), l’ultima fatica narrativa di Verga, che presto abbandonerà per sempre la letteratura.
Il settimo e ultimo capitolo è dedicato al teatro verghiano: Cavalleria rusticana (1884), In portineria (1885), La lupa (1896), i due bozzetti scenici in un solo atto Caccia al lupo e Caccia alla volpe (1901) e il dramma Dal tuo al mio (1903).
Riferimenti bibliografici
Marco Sterpos, Il primo Alfieri ed oltre, Modena, Mucchi Editore, 1993.
Id., (a cura di), Giosue Carducci ‒ Isidoro Del Lungo, Carteggio (ottobre 1858-dicembre 1906), «Nuova edizione nazionale delle opere di Giosue Carducci», Mucchi Editore, 2002.
Id., Interpretazioni carducciane, Modena, Mucchi Editore, 2005.
Id., Alfieri fra tragedia, commedia e politica, Modena, Mucchi Editore, 2006.
Id., Ottocento alfieriano, Modena, Mucchi Editore, 2009.
Id., L’artista e il vate. L’esperienza poetica di Giosue Carducci, Cosenza, Falco Editore, 2011.
Id., Il poeta, la donnissima e il generale. Il grande amore di Giosue Carducci, Modena, Mucchi Editore, 2020.
Id., Studi carducciani vecchi e nuovi, Castelfranco Piandiscò (AR), Edizioni Setteponti, 2021.
Id. (a cura di), Giosue Carducci, Giambi ed epodi, Firenze, Edimedia, 2021.